LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ
NELLO SPAZIO ARCHITETTONICO E FIGURATIVO ANTICO EGIZIO E NEL TIMEO DI PLATONE
Con un abbozzo della teoria dei campi unificati Antico Egizia
– probabilmente codificata nella Grande Piramide –
e un’appendice sulle sue possibili relazioni numerologiche
con il sistema calendario Maya Haab’-Tzolkin
A mio zio Ermanno, per essere stato il mio primo maestro di filosofia.
Donc tu te dégages
Des humains suffrages,
Des communs élans !
Tu voles selon…
A. Rimbaud
Parte Prima: LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ NELLO SPAZIO ARCHITETTONICO E FIGURATIVO ANTICO EGIZIO
Nei due precedenti articoli – “Ipotesi di lettura della stele di Snefru ” e “Le steli Antico Egizie: prime considerazioni storico-simboliche e nuove scoperte geometriche” – dall’analisi della stele di Snefru e di altre ben conosciute opere di epoche e dinastie diverse sembrava venir fuori in modo abbastanza chiaro l’esistenza un codice geometrico comune che legasse tutta quanta l’architettura e l’iconografia della cultura sacra Antico Egizia attraverso i millenni.
Il fenomeno geometrico per primo individuato è stato quello che si è definito come un sistema di “sovrapposizioni significanti” fra la stele di Snefru e le Piramidi della IV Dinastia, un sistema che pareva alludere senz’altro a un codice che lo avesse generato. Il passo successivo della ricerca ci aveva portato a ipotizzare che questo codice dovesse essere senz’altro basato sulla sezione aurea, anche se non ci eravamo addentrati nel problema fino al punto di fare supposizioni positive quanto al metodo con cui questo che possiamo senz’altro definire come uno “spazio aureo” fosse stato geometricamente costituito e utilizzato. Ma è bastato fare ancora pochi passi in avanti nella ricerca per arrivare al punto di avere a disposizione due ipotesi concrete e geometricamente credibili per la soluzione di questo che appariva come un problema particolarmente arduo persino nella sua definizione.
Queste soluzioni – pur risultando inquietanti o forse persino sconvolgenti rispetto alle nostre aspettative di storici educati nell’evoluzionismo – risulteranno forse alla fine di questa esposizione, almeno in un certo senso, meno “impossibili” di quanto non sembrava di poter per principio ipotizzare. Già eravamo consapevoli che la Grande Piramide e molti altri edifici Antico Egizi presupponevano una tecnica molto evoluta: ma una tecnica molto evoluta presuppone a sua volta conoscenze scientifiche e matematiche parimenti evolute. In questo senso le ipotesi che ci apprestiamo a esporre in questo articolo si pongono in piena continuità logica con i risultati delle indagini metrologiche e scientifiche che sono state fatte su questi capolavori dell’arte e dell’architettura preistorica.
2. L’analisi computerizzata di una stele come quella che è diventata famosa con il nome di “Djoser running” – di cui già avevamo osservato nella parte seconda di questo lavoro (“Le steli Antico Egizie: prime considerazioni storiche e nuove scoperte geometriche”) alcuni esempi che parevano davvero molto significativi di rapporti aurei fra le parti costitutive[1] – ha dato un risultato piuttosto interessante, dato che ne è risultato che il rapporto fra larghezza e altezza della stele risulta più o meno pari al numero d’oro (1,617 calcolati sull’immagine, contro gli 1,618 del numero d’oro). Dunque è risultato spontaneo osservare che uno spazio di questo genere – che quali che siano le sue misure effettive conserva delle qualità geometriche legate al numero d’oro (e dunque anche alla sezione aurea) – si presta a sua volta ad essere suddiviso in parti che conservano, magari in modo anche molto complicato, un simile rapporto. Andando avanti più o meno a caso, con il metodo tentativo-errore, abbiamo creduto di identificare nell’occhio del Faraone un punto caratteristico. Così, a partire da lì, abbiamo fatto partire un sistema di spirali logaritmiche della stessa forma, con la stessa distribuzione e lo stesso ritmo con cui le possiamo trovare nell’inflorescenza del girasole.
[1] Si veda in particolare la gallery, dove gli esempi di rapporti aurei fra parti di questa stele sono molto più numerosi rispetto a quelli che si possono vedere nel testo dell’articolo, e dove si possono trovare molteplici esempi di rapporti aurei anche in altre opere d’arte o architettoniche Antico Egizie – opere appartenenti a periodi dinastici e stilistici anche molto lontani nel tempo.
Per comprendere la ragione della nostra scelta, occorrerà forse una breve descrizione della struttura geometrica di questo meraviglioso fenomeno naturale. Le indagini statistiche ci dicono che in natura, nel caso più comune, si trovano 34 spirali logaritmiche avvolte in un senso e 55 nel senso opposto[1], ovvero due numeri della serie di Fibonacci, serie che è anche alla base delle proporzioni delle spirali stesse. Nel caso di girasoli di dimensioni maggiori della media si vede che passando dal centro dell’infiorescenza alla periferia il rapporto non rimane costante, ma passa da una coppia quale che sia di numeri di Fibonacci contigui a quella successiva (dunque, se il primo rapporto era 55/34, il secondo sarà 89/55). Possiamo osservare due schemi tipici dell’infiorescenza del girasole nelle immagini che seguono
[1] Ma è stato registrato un caso – evidentemente il caso di un girasole molto grande – in cui il rapporto era 233/144.
Ora, se ci proviamo a proiettare uno schema del genere sull’immagine di quella stele che abbiamo preso come punto di partenza della nostra analisi, “Djoser running”, il risultato appare a dir poco stupefacente, dato che il suo spazio interno sembra davvero trovare un sistema di punti caratteristici e proprio nel modo in cui accade nel caso dell’infiorescenza del girasole. Abbiamo scelto di partire dall’occhio del Faraone, un po’ in base a ragioni storico-simboliche (l’occhio umano è nella cultura Antico Egizia un simbolo divino), ma anche perché, come abbiamo detto, andando per tentativi ed errori, questo punto è sembrato a tutta prima anche geometricamente più significativo di altri.
Già in questo esempio possiamo vedere come il numero di “sovrapposizioni significanti” fra le spirali e il disegno della stele sia piuttosto cospicuo, e come tutti questi punti abbiano come caratteristica fondamentale quella di stare fra di loro in un rapporto geometrico determinato dal numero d’oro, anche se in modo molto complicato (in pratica, la coordinata di ogni punto di questo strano spazio spiraliforme si dovrebbe ottenere da un sistema di logaritmi).
3.
È del tutto possibile, e almeno intuitivamente pare quasi ovvio, che per ottenere uno spazio in cui i punti siano fra di loro ravvicinati in modo sufficiente per ottenere immagini figurative e geroglifiche complesse, occorra ipotizzare che questa suddivisione in punti dello spazio che dal nostro punto di vista appare complicata e molto scomoda – per non dire cervellotica o addirittura completamente assurda – avvenga a sua volta a partire da una molteplicità di poli, anche se ancora non è chiaro come si possa determinare il loro numero e la loro posizione esatta. Dunque, è probabile che per costruire il disegno di una stele come “Djoser running” non basti affatto, per esempio, partire da un centro e passare da una coppia di numeri di Fibonacci contigui a quella successiva – come si è visto che avviene a volte nell’infiorescenza dei girasoli di grandi dimensioni. Al contrario, c’è da immaginare che i poli di espansione di questi fitti vortici di spirali logaritmiche[1] siano distribuiti in modo tale che in tutto lo spazio della stele si trovi, diciamo così, un’equa distribuzione di punti equamente ravvicinati – punti le cui coordinate risultano sempre e comunque dall’incrociarsi di almeno due spirali.
[1] È questo il nome di battesimo “matematico” di quella spirale che è forse la più celebre fra i non specialisti con il nome di “spirale di Fibonacci” (in realtà è stata scoperta da Jaques Bernoulli).
Ma come possiamo constatare a partire dalle immagini sopra, alcuni punti vengono individuati già a quel livello dall’incrocio di tre spirali: c’è da immaginarsi che nel procedere della suddivisione e del moltiplicarsi dei poli il numero di spirali che per ciascun punto si sovrappongono possa crescere in modo anche vertiginoso, ammesso che ogni punto di questo strano genere di spazio non sia da pensarsi infine come un polo. E, in effetti, se spostiamo il nostro “girasole” dall’occhio del Faraone in altri punti della stele scelti più o meno a caso, ecco che troviamo che il sistema delle “sovrapposizioni significanti” si ricrea inesorabilmente.
Ora, se immaginiamo di avere a disposizione uno spazio suddiviso secondo questo metodo, tracciando un disegno qualsiasi unendo i punti stabiliti dall’incrociarsi di due o più spirali, ne viene fuori come logica conseguenza il fatto che tra questi punti e le linee che per mezzo di questi punti si sono tracciati vi sia una per quanto complessa forma di rapporto aureo, proprio come la si trova all’interno dell’infiorescenza di un girasole.
4. Con questa ipotesi sembra possibile spiegare in modo relativamente semplice e soddisfacente tutti quei fenomeni geometrici – a prima vista piuttosto incredibili – che abbiamo visto nei precedenti due articoli: le Piramidi che si trovano codificate entro le steli, le steli in cui si ricrea costantemente il fenomeno delle “sovrapposizioni significanti” anche se la sovrapposizione avviene fra opere eseguite a molti secoli di distanza (e dunque da artisti di diverse dinastie), oppure anche nel caso che sovrapponiamo il disegno di una singola stele con sé stesso. Ed è bene anche ricordare che questi fenomeni geometrici – del tutto sorprendenti e fin quasi impensabili in opere tanto antiche – continuavano a verificarsi anche nel caso che si differenziasse il rapporto fra le dimensioni delle immagini sovrapposte: per esempio, abbiamo visto già fin The Snefru Code parte 1 che la Piramide Rossa resta sempre e comunque congruente con parti e punti geometricamente significanti della stele anche nel caso che vi sia proiettata usando scale più piccole o più grandi – e lo stesso avveniva con la Grande Piramide, etc. Possiamo vedere nuovi esempi di questi fenomeni nelle immagini che seguono
Ma, se la nostra ipotesi corrisponde a verità, tutti questi fenomeni geometrici si spiegherebbero con una caratteristica fondamentale della spirale logaritmica, che è proprio quella di conservare in modo costante il suo modulo di accrescimento. Il che significa che le proporzioni fra le spire contigue rimangono identiche tanto crescendo verso l’infinitamente grande che diminuendo verso l’infinitamente piccolo. Quindi risulta abbastanza chiaro che tutte le figure costruite sulla base di coordinate come quelle che abbiamo ipotizzato sopra restino sempre e comunque fra di loro in qualche modo proporzionali e congruenti (magari anche in modo molto complicato) dato che i punti a partire dai quali sono state tracciate erano stati individuati e connessi per mezzo di un sistema di spirali logaritmiche anch’esse congruenti.
Ma è essenziale a questo punto ricordare che i fenomeni che abbiamo analizzato nei due precedenti articoli riguardavano tanto le Piramidi che le steli, tanto grandi spazi architettonici come Giza e Dahshur che un “rozzo” circolo megalitico quale quello di Nabta Playa: ne viene di conseguenza che per tutte queste opere, per quanto appartenenti a epoche e stili diversi e aventi forme e funzioni diversissime, il metodo con cui i punti dello spazio e dunque lo spazio stesso venivano generati era il medesimo: ovvero apparentemente piuttosto simile a quello che in natura troviamo nell’infiorescenza del girasole. E fin da subito possiamo fondare questa che in prima istanza può parere un’affermazione azzardata attraverso le tavole che seguono. Tavole in cui possiamo constatare che questo modo di stabilire le coordinate dei punti si può ritrovare in steli di epoca del tutto diversa rispetto a quella in cui fu scolpito “Djoser running” (presumibilmente 2700-2800 AC). Si tratta della stele di Snefru del Sinai, di quella di Ramses II e di quella di Seti I
Da quanto possiamo constatare per mezzo di queste immagini – pur non essendo ancora in possesso di una formula di derivazione – siamo però spinti dall’evidenza visivo-geometrica a ipotizzare che nella cultura Antico Egizia il punto di partenza di tutta l’arte figurativa – oltre che ovviamente di tutta l’architettura, a cominciare dalle Piramidi della IV Dinastia, che paiono in effetti enormemente più antiche delle altre – non sia affatto un’intuizione estetica nel senso in cui siamo portati a intendere queste parole nella modernità, ma invece un codice geometrico-matematico, che ha quasi certamente origini astronomiche (il compito di provare questa affermazione è oggetto di The Snefru Code part. 4).
In effetti, con ogni evidenza, le figure che vediamo sopra, non sembrano neppure a un primo sguardo l’esito di un tentativo di imitare la realtà così come si vede. Al contrario, esse paiono davvero esser state ottenute unendo dei punti individuati per mezzo di un sistema di “vortici” di spirali logaritmiche, di modo che quel che è decisivo per la determinazione dei loro contorni e delle loro proporzioni non è “l’occhio” dell’artista, ma la funzione matematica da cui sono generate. E questa affermazione ci risulta al tempo stesso più credibile e insieme forse molto più incredibile quando ci rendiamo conto che il diagramma proiettato sulla stele di Ramses (prima immagine a sinistra sulla seconda fila) non è quello dell’infiorescenza del girasole, ma invece un diagramma bidimensionale dello spazio-tempo realizzato da Vincenzo Fappalà e pubblicato su ASTRONOMIA.com, che possiamo vedere nell’immagine sottostante
Si nota come questo diagramma sembri già a prima vista descrivere meglio il sistema geometrico da cui le steli Antico Egizie sono state derivate. E, in effetti, se lo andiamo ad “appoggiare” sulla stele di Snefru, (immagine sotto), questo diagramma sembra “lavorare” in modo più efficace; né dopo quel che abbiamo visto nei precedenti articoli, ci stupisce di scoprire che esso si applica anche alla Grande Piramide e ad altri rilievi Antico Egizi, Djoser Running compreso
Lo shock che può risultare dall’attenta analisi di queste immagini, come accade ogni volta che constatiamo che in tempi vicini al Neolitico si avevano a disposizione strumenti tecnici e dunque intellettuali uguali o addirittura superiori a quelli della modernità, può spingere a voltare la testa da qualche altra parte e far finta di nulla. Cresciuti come siamo in una concezione dogmaticamente evoluzionista, quando scopriamo tratti di straordinarietà nella matematica o nell’astronomia di popoli molto antichi abbiamo la tendenza a spiegarci tutto con il caso e a tirare avanti con i nostri comodi dogmi storiografici. Ma sottoponiamo di nuovo alla nostra attenzione l’immagine della Grande Piramide e andiamo a vedere i punti caratteristici individuati dal diagramma di Fappalà: in questo modo potremo renderci conto fino in fondo di quanto queste due figure appaiono quasi logicamente connesse
In effetti, se osserviamo attentamente l’immagine vediamo che la sovrapposizione del diagramma dello spazio-tempo alla sezione della Grande Piramide – lungi dall’apparire un sistema di incidenti – sembra al contrario capace di svelare la geometria segreta da cui si è ricavato il progetto, dato che il vortice di cerchi e spirali logaritmiche si mostra capace di descrivere il suo angolo di base, la posizione della Camera del Re e della Regina, l’inizio e la fine della Grande Galleria, il punto di intersezione fra il Corridoio Ascendente e quello Discendente, l’altezza della collinetta di pietra inglobata nella struttura, la posizione e l’inclinazione dei due pozzi della Camera del Re e ancora altri dettagli architettonici della struttura, talmente minuti che portano a escludere l’operato del caso: tanto varrebbe a questo punto argomentare che quando si va al bar e si ordina un caffè, il fatto che il barista ci serve effettivamente un caffè è frutto anche quello di un caso. Che cosa può avere a che fare qualcosa come “il Caso” con i fenomeni geometrici che vediamo nelle immagini sottostanti?
Al contrario, la Grande Piramide, oltre a mostrare evidenti connessioni con il diagramma dello spazio-tempo elaborato da Fappalà, sembra avere qualcosa a che fare anche con il diagramma dell’atomo di idrogeno così come fu disegnato da Bohr all’inizio del secolo scorso: il che sembra dimostrare che tale diagramma (e dunque anche la struttura dell’atomo che esso descrive) si fonda a sua volta su π e ɸ, proprio come quello di Fappalà
Ma i “miracoli geometrici” della Piramide sembrano non fermarsi qui, dato che nelle sue misure potrebbe essere conservato anche il segreto della struttura – e dunque anche del “funzionamento” – dei sistemi solari. Infatti, se proviamo a sovrapporla a un sistema solare caratterizzato da orbite piuttosto “stressate”, simili cioè a quelle ovoidali dell’atomo di idrogeno, di nuovo troviamo quelli che sembrano dei sistemi di congruenze molto interessanti
La proiezione della geometria della Grande Piramide su quella del nostro Sistema Solare avviene in un modo solo appena meno intuitivo. Ma se osserviamo bene le immagini seguenti, la conclusione sembra inesorabile. La Grande Piramide sembra non poter esser altro che l’immagine architettonica delle proporzioni profonde che stanno alla base di qualsiasi ente esteso, misurabile, e dunque di qualsiasi oggetto possibile della regina delle nostre scienze empiriche: la fisica
La logica conseguenza di quanto abbiamo appena visto è che – siccome la Grande Piramide risulta geometricamente isomorfa con l’atomo di idrogeno – allora un tale isomorfismo deve anche riguardare l’atomo di idrogeno e il sistema solare. È proprio quello che sembra di poter dedurre dalle immagini che vediamo qui sotto
Per dare un’idea della quasi miracolosa complessità del sistema con cui sono state generate l’arte e l’architettura sacra Antico Egizie, dobbiamo pensare che se muoviamo il diagramma di Fappalà sul profilo della Grande Piramide , o se cambiamo la scala della proiezione, il sistema delle “connessioni” o “sovrapposizioni significanti”, si ricrea inesorabilmente, come possiamo vedere nelle immagini sottostanti
La congruenza fra la sezione della Grande Piramide e il diagramma dello spazio-tempo elaborato da Fappalà e con il diagramma dell’atomo di idrogeno elaborato da Bohr ci spinge a ipotizzare che essa possa sussistere anche da una sovrapposizione contemporanea di questi due diagrammi. E infatti questo sembra proprio quel che possiamo constatare a partire dalle immagini che seguono
Lungi dall’apparire come il frutto di un caso, a partire da quanto possiamo constatare per mezzo delle immagini che abbiamo visto, sembra a questo punto filologicamente possibile ipotizzare che proprio in questo modo di concepire lo spazio e le forme nello spazio – che appare molto più vicino a quello della scienza moderna di quanto in partenza non saremmo stati disposti a credere – troviamo un antecedente del pensiero pitagorico, per cui “le cose sono numeri”. A partire da queste immagini questa affermazione, che presa alla lettera appare piuttosto enigmatica, se non del tutto incomprensibile, si potrebbe tradurre in questo modo: le forme del mondo visibile derivano dalle forme astratte della geometria e della matematica, che a loro volta sono concepite come la forma invisibile della struttura microscopica della materia, come dei cicli cosmici attraverso i quali la vita viene continuamente generata e rigenerata (discuteremo in modo approfondito i fondamenti astronomici e matematici di questa tesi in The Snefru Code part. 4 e, più tardi, in The Snefru Code part. 7).
Le probabilità che questa ipotesi corrisponda a realtà crescono in modo esponenziale ove ci rendiamo conto che questo stesso diagramma sembra essere alla base di molte altre Piramidi Antico Egizie, e non solo di quella di Cheope, come possiamo constatare dalle immagini sottostanti
- Se l’ipotesi che abbiamo qui avanzato risultasse fondata, dovremmo accettare che l’arte e l’architettura più antiche e poderose che si trovano sul nostro pianeta non furono il frutto di una fantasia mitica e dell’istinto di artisti che a quella fantasia dettero un corpo formale e stilistico. Al contrario, un’opera grandiosa come la Grande Piramide non sarebbe stata altro che l’applicazione all’estetica e all’architettura sacra delle complesse formule di una scienza, di una matematica e di una geometria che, con ogni probabilità, vennero considerate dai loro scopritori come un simbolo del divino e della divina armonia che vedevano a fondamento del Cielo e della Terra. Un monumento come la Grande Piramide poteva essere il riflesso di un momento dei cicli divini – e dunque poteva essere “bello” – solo nella misura in cui le sue proporzioni fossero al tempo stesso un riflesso il più possibile esatto di quell’astronomia matematica, e dunque di quelle equazioni e di quei numeri fondamentali che dei cicli divini costituivano la legge segreta. E proprio questa potrebbe essere la ragione profonda della quasi inumana precisione dei suoi orientamenti, della sua ortogonalità, non meno che della precisione – paragonabile a quella dell’ottica di alto livello – con cui vennero lavorate le migliaia e migliaia di pietre di calcare finissimo del rivestimento, o il granito delle sue camere interne. Se un monumento come la Grande Piramide doveva essere la rappresentazione di una visione dello spazio-tempo divenuta celebre nel presente con il nome di “Teoria della Relatività” (e, di conseguenza, anche di un gran numero di dati fisici e astronomici che in effetti sono già stati individuati, sia pure con qualche approssimazione, quali la distanza fra la Terra e il Sole, la circonferenza e la massa della Terra, la distanza percorsa da un punto dell’equatore in un secondo di rotazione, la velocità della luce, che è una conoscenza logicamente implicita nella teoria della relatività, etc.), allora il suo quasi mostruoso rigore architettonico non ci appare più come un lusso inutile, come un cervellotico e inspiegabile dispendio di energie, ma come la logica conseguenza della natura dei contenuti teorici che nel monumento si volevano inglobare.
È però molto difficile pensare che questo modo di codificare delle nozioni matematico-scientifiche avesse lo scopo di conservarle o addirittura di comunicarle ai posteri perché, tanto per fare un esempio, uomini ignari della Teoria della Relatività e delle sue possibili rappresentazioni geometriche non potrebbero in nessun modo comprendere che questa teoria è contenuta nelle sue proporzioni. Nella tradizione copta vi sono dei racconti in cui si dice che in un tempo molto lontano un re fece costruire la Grande Piramide per inscrivere in essa tutto quanto il sapere che al suo tempo si possedeva: ma questa stessa tradizione, almeno nella forma in cui è arrivata a noi, non pare minimamente consapevole dei contenuti effettivi di questo sapere, anche se il suggerimento che essa contiene sembra venir confermato dalla scoperta di quella che appare come l’essenza profonda della geometria dell’edificio.
Parte Seconda: LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ NEL TIMEO DI PLATONE
- Ogni tanto si leggono cose che sconvolgono, nel senso che non si crede di poterle leggere proprio lì, dove di fatto si leggono. Il loro senso appare evidente, però è come se non potessimo capirlo, perché si è stati educati a pensare che deve essere diverso da quello che vediamo. Per spiegare questo concetto forse non c’è miglior esempio di queste parole che troviamo nel Timeo (62 C – 63 A).
Il pesante e il leggero potrebbero venir spiegati con la massima chiarezza esaminandoli in relazione a ciò che si chiama basso e alto. Infatti, non è in alcun modo giusto pensare che ci siano in natura due luoghi opposti che di dividano tra loro l’universo in due parti, l’uno in basso, verso il quale vengono trasportate tutte le cose che abbiano una massa corporea, e l’altro in alto, verso il quale tutto va suo malgrado. Infatti, il mondo è di forma sferica, e dunque tutte le che cose, siccome distano ugualmente dal centro, sono all’estremità e per natura debbono essere all’estremità tutte allo stesso modo. E allo stesso modo il centro, distando dagli estremi nella stessa misura, si deve considerare come opposto a tutte nella stessa misura.
Questo passo, così com’è, pare davvero oscuro. Ma un punto di chiarezza è rappresentato dall’affermazione che “tutte le cose, siccome distano ugualmente dal centro, sono all’estremità e per natura debbono essere all’estremità tutte allo stesso modo”. Quest’affermazione pare contenerne un’altra che, almeno per il fatto di averla sentita ripetere molte volte, ci risulta forse più familiare. Infatti, almeno riguardo al mondo così come lo vediamo, siamo costretti a pensare che se tutte le cose sono per natura all’estremità allo stesso modo, ne viene di conseguenza che tutte le cose debbono trovarsi al centro, o che possono essere considerate il centro tutte allo stesso modo (vedremo subito il motivo per cui abbiamo tratto questa conclusione, che il lettore esperto di fisica e di logica avrà tratto per suo conto). In modo un po’ ermetico sembra dunque che Platone, parlando del mondo come una sfera, si riferisca a quella definizione che la storia attribuisce a Ermete Trismegisto (l’equivalente Greco Classico del dio della sapienza Antico Egizio, il dio Toth), e non a quella del senso comune. È una cosa che si arguisce anche a partire dalla descrizione che si trova al momento in cui il Timeo parla della creazione del mondo (Timeo 33 B, 34 B)
“E diede ad esso una forma che gli era conveniente ed affine. Infatti al vivente che deve comprendere in sé tutti i viventi è conveniente quella forma che comprende in sé tutte quante le forme. Perciò lo tornì arrotondato, in forma di sfera che si estende dal centro agli estremi in modo eguale da ogni parte, ossia la più perfetta di tutte le forme e la più simile a sé medesima, ritenendo il simile più bello del dissimile.
E lo fece perfettamente liscio di fuori tutto intorno, per molte ragioni.
(…)
Tutto questo ragionamento il Dio che sempre è fece attorno al dio che a un certo momento doveva essere, e produsse un corpo liscio e omogeneo, da tutte le parti equidistante dal centro, perfetto ed intero, e costituito di corpi perfetti.”
Ora, è evidente che il mondo così come si offre all’osservazione immediata non è affatto in questo modo. Inoltre risulta particolarmente assurda l’idea di una sfera tridimensionale senza un fuori (o immersa in uno spazio che è paragonabile a un sogno, o a un incubo, come si dice in Timeo, 52, B). Dobbiamo dunque cercare di capire quale sia il significato che può avere questa strana descrizione di Platone.
- In effetti, se prendiamo in considerazione la sfera del senso comune e la confrontiamo con la realtà, l’affermazione che tutte le parti dell’Universo distano ugualmente dal centro come i punti della superficie di una sfera, risulta poco più che un non sequitur. Supponiamo infatti che il centro dell’Universo immaginato da Platone corrisponda al centro della Terra, come molti commentatori hanno fino ad adesso sostenuto a partire dall’affermazione che si trova in Timeo 40:
“La terra, nostra nutrice, si muove attorno all’asse che si estende per tutto l’universo, il Demiurgo la costituì custode ed artefice della notte e del giorno, la prima e la più antica fra gli dèi, quanti sono stati generati dentro al cielo” .
Come ben si vede, nel Timeo la Terra, come per altro verso tutte le altre entità celesti, viene concepita allo stesso modo in cui la concepiamo noi, ovvero come una sfera che gira su sé stessa: un fatto di cui per altro si era ben consci in quasi tutte le concezioni antiche e cosiddette “primitive”. In effetti, l’idea che nell’antichità si credesse generalmente che la Terra fosse piatta è nulla di più che una superstizione moderna, dovuta al fatto che non si è capito che nelle cosmologie antiche con la parola “Terra” non si intendeva per solito il pianeta Terra, ma bensì il piano dell’eclittica (che, per esempio, nell’Apocalisse viene chiamato “Gerusalemme Celeste”, con le Dodici Porte che altro non sono che le dodici case dello zodiaco; nella leggenda di Re Artù era la tavola rotonda, con i Dodici Cavalieri; il figlio di Parsifal, Lohengrin, viaggia su una nave trascinata da un cigno, una chiara allusione alla costellazione del Cigno; nella versione di Wolfram von Eschenbach il tempio del Santo Graal è «levigato e arrotondato come per opera di un tornio», proprio come l’universo descritto nel Timeo, etc.)
Ma se Platone era al corrente di nozioni astronomiche tanto raffinate, diventa difficile rendersi conto di come possa essere arrivato a credere che l’universo sia una sfera assolutamente uniforme, dato che osservazioni del tutto banali smentiscono immediatamente quest’ipotesi. La punta delle montagne, con ogni evidenza, non si trova distante dal centro della Terra allo stesso modo che il fondo del mare. A sua volta, le nubi distano dal centro della Terra più che la punta delle montagne, e la Luna più che le nubi etc. Anche i bambini lo sanno. Dunque, come faceva Platone a non saperlo, visto che si mostrava in possesso di nozioni ben più profonde?
- Però, a dispetto di qualsiasi evidenza sensibile, Platone insiste a lungo sul concetto dell’assoluta uniformità dell’universo, e pare voler a tutti i costi dissuadere il suo lettore dall’idea che in esso possa esistere un luogo che possa definirsi alto o basso, anche in un senso relativo
“Ora, poiché il mondo è fatto così per sua natura, quale mai delle parti di cui si è detto sarà quella che si potrebbe chiamare come alta oppure come bassa, senza sembrare di attribuire ad essa un nome che in realtà non le conviene affatto? Infatti, il luogo che nel mondo risulta essere al centro, non è giusto che si dica che per natura sia né il basso né l’alto, ma bisogna che si dica che è nel centro. E quello che è tutto intorno non è il centro, né alcuna sua parte si trova in rapporto differente in relazione al centro rispetto a un’altra che sia dalla parte opposta. E quando una cosa per sua natura è uniforme in tutte le sue parti, come si potrebbe imporre ad essa dei nomi contrari, e ritenere di dire bene?”
Ma qui dobbiamo notare di nuovo che l’affermazione che l’universo sia un’entità “uniforme in tutte le sue parti” non può assolutamente riferirsi all’universo oggetto della percezione sensibile. Questo perché, come è chiaro a tutti, stabilito un punto qualsiasi dell’universo fisico come suo centro, subito si osserva che vi sono dei luoghi che si trovano a esso più vicini o più lontani. Però Platone insiste di nuovo nella sua idea
“Infatti se nel centro dell’universo ci fosse un corpo solido equilibrato, esso non potrebbe mai portarsi verso nessuna delle estremità, perché esse sono da ogni parte uniformi. Ma se uno camminasse circolarmente intorno ad esso, fermandosi molte volte in punti opposti, dovrebbe denominare basso e alto lo stesso luogo di esso.
Dunque, essendo l’universo, come si è ora detto, di forma sferica, sostenere che un luogo di esso è in basso e uno in alto non è affatto sensato.”
- Questo di Platone, preso superficialmente, appare un cavillare attorno ad idee astratte, non una descrizione del cosmo. Supponiamo che la Terra sia da pensarsi davvero come il centro dell’Universo. Se prendiamo dei punti che si trovano alla stessa distanza da questo centro, troviamo che situandoci ora in uno ora nell’altro saremmo tentati di definire lo stesso punto ora come basso ora come alto, e cadremmo dunque in contraddizione. Ma, ammesso questo, resta però che l’universo non è affatto una sfera uniforme, e dunque non è vero che tutte le entità di cui è costituito si trovino distanti dal suo centro allo stesso modo. Anche se attuiamo la rivoluzione copernicana e prendiamo il Sole come centro dell’universo, subito si nota che vi sono dei pianeti che sono più vicini ad esso ed altri più lontani. Se prediamo una stella qualsiasi la conclusione cui arriviamo non può essere che la stessa. Inoltre, dalla lettura del Timeo ci si rende ben conto che Platone, lungi dall’essere un ingenuo, era perfettamente consapevole di queste cose, dato che parla di sfere maggiormente vicine o distanti dall’asse della Terra. Dunque perché poi insiste con il concetto che l’universo sia assolutamente uniforme?
Per poter dare un senso a questa parte del Timeo dobbiamo allontanarci dal senso comune, e passare dall’immagine di una normale sfera euclidea alla, diciamo così, “sfera assoluta” di cui parlava Ermete Trimegisto quando diceva che “l’universo è una sfera il cui centro è ovunque e la cui superficie è in nessun luogo”. È solo a partire da un concetto di questo genere che si può affermare sensatamente che tutte le entità che costituiscono l’universo si trovano alla stessa esatta distanza dal centro. Esse si trovano tutte alla stessa distanza dal centro perché ogni punto dello spazio così concepito è un possibile centro. Ma muovendoci in uno spazio cosiffatto non possiamo mai giungere a un punto privilegiato, che possiamo definire un “centro unico e assoluto”. Al contrario, nell’ambito di questa sfera assoluta ognuno dei suoi infiniti centri è un centro assoluto, perché questa sfera si costituisce esclusivamente di punti-centro.
- Nessun commentatore moderno posteriore all’invenzione della Teoria della Relatività si è accorto, o ha osato accorgersi, che la sfera di cui parla Ermete Trismegisto (e per conseguenza anche Platone) è una perfetta metafora dello spazio relativistico. Non se ne sono accorti nemmeno i lettori dotati di una profondissima preparazione scientifica, e nemmeno gli scienziati. Eppure, secondo la teoria di Einstein, proprio come nella sfera di Ermete Trismegisto (e dunque anche di Platone), ognuno dei punti dello spazio che ci circonda ha la stessa dignità in relazione al Tutto. Dunque, ognuno dei punti dello spazio è un punto di osservazione altrettanto valido che ogni altro, dato che da ognuno possiamo ottenere una descrizione vera dell’Universo. Tradotto in termini moderni, noi diciamo che ogni punto dello spazio relativistico è uno degli infiniti centri assoluti dell’universo relativistico.
Quest’affermazione assume ancor più consistenza quando ci ricordiamo che Platone fu erede, per mezzo di Socrate, del pensiero pitagorico, che venne in buona parte dal contatto con la cultura ermetica Antico Egizia. L’indizio più evidente è il modo in cui Platone descrive il fenomeno della vista in Timeo 45, B, C. Qui si asserisce che il fenomeno del vedere viene causato dal fuoco interno al corpo, che scorre verso gli occhi e va a comprimere in modo particolare la pupilla. In questo punto si incontra con quello che lui definisce “il fuoco che non brucia”, che è quello che ci offre “la mite luce propria di ogni giorno”. In questo modo il simile si unisce con il simile, così che il fuoco interno al corpo umano diventa parte del fuoco che il sole diffonde intorno a noi e avvolge o sommerge tutte le cose, quasi come una marea di fluido impalpabile
“E tutto questo corpo (il fuoco solare unito a quello che dall’interno degli occhi comprime la pupilla), divenuto capace delle stesse impressioni a causa delle somiglianze delle sue parti, quando tocca qualunque cosa o qualunque cosa tocchi lui, diffondendo i moti di questi per tutto quanto il corpo fino all’anima, fornisce questa sensazione, per la quale noi diciamo di vedere.”
Dunque l’occhio umano, secondo Platone, è fonte attiva di luce. Questa concezione platonica ci offre la più chiara spiegazione di come mai nell’iconografia sacra Antico Egizia il Sole viene rappresentato in modo quasi sistematico come un occhio. Perché, con ogni evidenza, gli Antico Egizi ritenevano il sole l’occhio di un dio che, ben più di quello umano, era capace di illuminare il mondo.
Ma poco sopra abbiamo raggiunto la prova che questa non è l’unica dottrina Antico Egizia che troviamo nel Timeo. Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto che gli Antichi Egizi conobbero una qualche versione della teoria della relatività, che inscrissero in tutti i loro spazi sacri. Dunque diventa storicamente del tutto ragionevole affermare che l’universo sferico assolutamente uniforme di cui Platone parla nel Timeo sia quello che è stato inscritto nelle Piramidi e nei rilievi Antico Egizi: si tratta di un universo che risulta da una contemplazione di tipo matematico, non dalle immediate percezioni dei sensi. Questo non stupisce più di tanto se
Guardare in su a bocca aperta o in giù a bocca chiusa e su per giù la stessa cosa finché indaghiamo un qualsiasi genere di oggetto sensibile … Il solo vero modo di guardare “verso l’alto” è l’indagare il puro Essere, che non si può affatto vedere. [Platone, citato da de Santillana]
- Siamo inclini ad attribuire a Platone la versione Antico Egizia della teoria di Einstein, non solo perché sembra che le dottrine del Timeo siano un’eredità Antico Egizia, ma anche perché altre idee non sembrano in grado di chiarificare la sua concezione dell’universo.
Per esempio, Newton immaginò lo spazio assoluto come una sorta, diciamo così, di cubo infinito, non come una sfera costituita di infiniti centri. Inoltre, nell’ambito della concezione newtoniana, i punti di osservazione non si equivalgono, perché l’unico punto di riferimento da considerarsi “vero” è proprio lo spazio assoluto, non le entità che in esso si muovono. In relazione a questo tutti gli altri punti di riferimento sono da considerarsi relativi ovvero: le descrizioni dell’universo che da essi si possono ottenere sono, propriamente parlando, false, o illusorie.
Al contrario, nella sfera di Ermete Trismegisto tutti i punti si equivalgono. Il che significa che da ognuno di essi è possibile ottenere una descrizione vera del cosmo. Nell’Occidente moderno un concetto dello spazio simile a questo – cioè a un concetto di spazio come sfera assoluta – lo ritroviamo solo nella visione di Einstein che, quasi senza accorgersene, costruì una teoria tanto metafisica che quantitativo-matematica tale per cui l’universo, proprio come la sfera assoluta di Ermete Trismegisto, non si può definire propriamente né infinito né finito (notiamo di passaggio che anche nel pensiero buddista si alludeva forse a concetto del genere quando si asseriva che il numero dei mondi che si trovano nell’universo non può essere definito né infinito né finito).
Infatti, nella concezione di Einstein l’universo deve essere inteso senz’altro come un sistema finito, almeno se pensiamo alla quantità di materia di cui è composto. Però questa materia si muove in uno spazio dove ogni punto, siccome è un punto di osservazione di pari dignità di qualsiasi altro, può essere pensato come un suo centro. Dunque, nessun punto dello spazio einsteiniano può essere pensato come il suo limite estremo. Per conseguenza Einstein avrebbe potuto tranquillamente usare come metafora della sua visione del cosmo la celebre frase di Ermete Trismegisto: “l’universo è una sfera il cui centro è ovunque e la cui superficie è in nessun luogo”.
- Non meno interessante e vicina alla nostra concezione del mondo appare la spiegazione che Platone da della caduta dei gravi. Vediamo cosa dice al riguardo in Timeo 63
“Noi infatti, stando sulla terra e staccando sostanze terrose e talvolta la terra stessa, le trasciniamo a forza e contro la loro natura nell’aria dissimile da esse, mentre entrambe tendono verso ciò che è a loro simile. Ma la minore cede alla nostra violenza più facilmente di quella maggiore, e si muove per prima verso ciò che è dissimile da essa. Dunque noi la definiamo “leggera” e chiamiamo “alto” il luogo verso cui la costringiamo a muoversi. L’effetto opposto noi lo definiamo “pesante” e diretto verso il “basso”.
Sulle prime, un discorso di questo genere ci può sembrare del tutto ingenuo e prescientifico. Ma, a ben vedere, i concetti espressi da Platone sono analoghi a quelli che possiamo ricavare dalla legge di Newton, che su questo punto è piuttosto diversa da quella di Einstein. La legge di Newton, nella sua forma matematica essenziale, la scriviamo così
F = G [(m1 · m2) : d2]
Dovendo tradurre in parole il significato di questa forma matematica, noi diciamo che la massa viene attratta da altra massa, e che tanto maggiore è quest’attrazione quanto maggiori sono le quantità di massa in gioco. Cioè, proprio come Platone, noi crediamo che il simile attragga il suo simile. E, ancora come Platone, crediamo che quanto più la massa sia maggiore, quanto più tenda a stare attaccata (cioè ad essere attratta) ad altra massa.
- Per essere ancora più chiari, possiamo provare a citare di nuovo quello stesso passo di Platone che abbiamo appena citato, sostituendo al concetto e al nome di “terra” il concetto e il nome di “massa”. Quello di “aria”, non potendo far di meglio, lo sostituiremo con quello di “vuoto” (ma è chiaro che se con la parola “terra” Platone allude davvero a un concetto paragonabile a quello moderno di “massa”, con quello di “aria” fa invece riferimento a qualcosa di diverso). E vedremo che in questo modo il discorso di Platone funziona ancora in modo perfetto.
“Noi infatti, trovandoci su un corpo dotato di massa e staccando da esso porzioni di massa, le trasciniamo a forza e contro la loro natura nel vuoto, che è dissimile da esse, mentre loro tendono verso ciò che è a loro simile. Ma la massa minore cede alla nostra violenza più facilmente di quella maggiore, e si muove per prima verso ciò che è dissimile da essa. Dunque noi la definiamo leggera e chiamiamo alto il luogo verso cui la costringiamo a muoversi. L’effetto opposto noi lo definiamo pesante e diretto verso il basso.”
Questi sono esattamente i concetti che ci insegna Newton. Il “basso” nella visione newtoniana, è il centro di un corpo dotato di massa. Ciò che chiamiamo “alto” è lo spazio che si trova da esso più lontano . E quanto maggiore sia una massa, e quanto maggiore sia la porzione di massa che cerchiamo di staccarne, quanto maggiore sarà lo sforzo che dobbiamo impiegare per compiere questo lavoro. Così che “leggeri” chiamiamo i corpi costituiti di poca massa e “pesanti” quelli costituiti di molta massa.
È vero però che Platone non introduce nella sua metafora il concetto che quanto maggiore è la distanza fra due masse, quanto minore è l’attrazione che queste esercitano fra di loro. Questo può essere avvenuto da un lato perché con le sue dottrine scritte Platone non sembra quasi mai interessato a chiarificare fino in fondo il senso delle dottrine non scritte. Le dottrine scritte, per quel che si può capire, sono un complicato e a volte confuso sistema di metafore con cui si allude a un sapere che solo gli iniziati di un certo livello potevano accedere e a cui, detto di passaggio, sembra che Aristotele non sia mai arrivato.
In effetti, le descrizioni aristoteliche del pensiero di Platone non sembrano altro che un modello di incomprensione e spaesamento, in specie per quanto riguarda l’importanza di geometria e matematica, che per Platone erano fondamentali, e che invece Aristotele considerava con ironia e forse persino con disprezzo. Anche quando nel celebre passo del “De Anima” Aristotele parla della concezione platonica dell’anima come di un’entità bidimensionale, non si avvede che Platone e i platonici alludevano a un’entità che si può descrivere per mezzo di un certo tipo di matematica, non di un’entità percepibile con i sensi. Come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, anche gli Antichi Egizi rappresentavano le figure umane in modo bidimensionale, però per mezzo di un complicatissimo sistema di derivate logaritmiche. Dunque la loro concezione “bidimensionale” dell’uomo e dell’anima non era affatto, come finora si è creduto, frutto dell’ingenuità sognante dello spirito mitico, ma di una scienza che per adesso non siamo minimamente in grado di comprendere.
Dunque può anche darsi che il motivo per cui la concezione della chimica e della fisica che compare nel Timeo ci risulta incomprensibile sia un altro, oltre alla nota ritrosia platonica a trasferire in toto le sue dottrine non scritte in quelle scritte. Ovvero, può darsi che la fisica e la chimica che lui – assieme a Socrate e ai Pitagorici – aveva ereditato dalle dottrine ermetiche Antico Egizie fosse strutturata in modo matematicamente e concettualmente molto diverso da quelle che ci sono familiari nell’Occidente moderno. Tanto diverso che non siamo capaci di comprendere o anche solo di immaginare il significato profondo dei concetti che espone nel Timeo.
- Molto spesso si è parlato della dottrina platonica dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) come di una sorta di ingenuità, o come a un complesso di quasi inspiegabili superstizioni, legate al mondo magico. Di sicuro, nessuno ha mai cercato di spiegare in profondità i motivi per cui un uomo come Platone, che di certo non era uno stupido, possa essere arrivato a convincersi della verità – cioè della “corrispondenza con i fatti” di un certo tipo di dottrine. Perché, se è vero che il loro significato profondo coincide con quello che appare a uomini con la nostra mentalità e alla nostra cultura, non si vede come un’intelligenza del calibro di quella di Platone non sia stata capace di accorgersi della loro grossolana falsità. Qui sotto riportiamo un passo in cui Platone si occupa della catena delle trasformazioni da elemento a elemento. Fra parentesi mettiamo alcuni commenti per indicare al lettore gli elementi problematici – anche solo a livello meramente psicologico – dell’interpretazione tradizionale del pensiero che Platone ha espresso nel Timeo.
“In primo luogo, quello che abbiamo chiamato acqua, quando si condensa, come ci sembra, lo vediamo diventare pietra e terra (qui nessun commentatore ha spiegato o si è domandato come è che Platone, o, se è per questo, qualsiasi altra persona ragionevole, possa essere arrivato a credere che l’acqua condensandosi possa trasformarsi in pietra: qui è del tutto chiaro che “l’acqua” a cui ci si riferisce non è quella del senso comune; e questo naturalmente vale anche per gli altri elementi: addirittura, in altro luogo, Platone attribuisce al fuoco l’origine di elementi oscuri), e quando si fonde e si discioglie lo vediamo diventare vento ed aria; e l’aria quando si infiamma la vediamo diventare fuoco; e, dal canto suo, il fuoco quando si condensa e si spegne ritorna ancora in forma di aria (qui non si capisce affatto quel che voglia dire che il fuoco spegnendosi ritorna in forma di aria: varrebbe lo stesso dire che l’aria, accendendosi, ritorna in forma di fuoco), e di nuovo quando l’aria si raccoglie e condensa si fa nuvola e nebbia, e da queste quando ancor più si condensano scorre acqua e da acqua ancora terra e sassi (nessuno al mondo ha mai “visto” una cosa del genere, che dall’acqua si formino terra e sassi).
In questo modo si trasmettono a vicenda in cerchio, come risulta, la generazione.
E così, poiché queste cose non appaiono mai le medesime, quale di esse qualcuno potrebbe non vergognarsi sostenendo con sicurezza che è proprio questa cosa e non altra?
Non è possibile a nessuno.
Timeo 48 E, 49 A, B, C.
- Qui bisognerebbe capire cosa è che esattamente significano queste proposizioni, perché prese alla lettera non significano proprio nulla. Si potrebbe dire: Platone pensa come un bambino, fantastica sulle cose e non le osserva. Ma i bambini non dicono affatto queste cose. Alzi la mano qualcuno che ha mai sentito un bambino che dice che il fuoco spegnendosi ritorna in forma di aria!
Al contrario, il modo dell’argomentazione platonica sembra alludere a un sapere di tipo chimico simile al nostro, anche se non uguale. In particolare, può darsi che l’antica chimica a cui Platone fa riferimento con la sua dottrina degli elementi, oltre a far uso di concetti diversi, potesse avere anche delle potenzialità diverse, che alla nostra restano per ora del tutto inaccessibili. In The Snefru Code parte 7 e 8 potremo vedere prove empiriche in grado di dimostrare irrefutabilmente che nell’antichità si era capaci di ridurre la pietra allo stato liquido e/o pastoso. Ma, se questo è vero, allora è possibile che un concetto come quello di “condensazione” potesse alludere a fenomeni del tutto diversi da quelli a cui alludiamo noi usando la stessa parola.
Invece, la dottrina platonica per cui ogni cosa si muta in ogni altra cosa, non dovrebbe sembrarci per nulla strana: questo è ciò che di fatto pensiamo anche noi, dato che anche noi crediamo che le diverse sostanze con cui siamo in contatto nella vita di tutti i giorni, pur nella loro straordinaria diversità, alla fine si risolvono nel comporsi e scomporsi di poche particelle elementari, elettroni, protoni e neutroni. Platone con la sua dottrina sembra alludere a una cosa di questo genere. Forse la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, rappresentati come corpi geometrici, non sono altro che un modo schematico di alludere alla struttura atomico-matematica di quattro diverse classi di elementi che forse si possono ricavare anche dalla nostra tavola degli elementi.
Ma la dimostrazione di questa ipotesi potrà avvenire solo con indagini future in grado di mettere in relazione quantitativo-matematica le dottrine scientifiche degli Antichi Egizi con quelle a cui siamo arrivati noi. Un compito che si preannuncia non facile, dato che queste genti avevano un modo di codificare dati scientifici che, come abbiamo visto sopra, non aveva molti punti in comune con il nostro, dato che quel che noi scriviamo su carta con la penna loro lo scolpivano sulla pietra con la geometria.
Horst Bergmann e Frank Rothe hanno calcolato che la Piramide di Cheope ha un volume di quasi 2.600.000 m³, che quella di Chefren arriva a 2.300.000, e quella di Micerino a circa 252.500, per un totale di 5.082.500. I due autori non sembrano aver notato che la prima cifra corrisponde più o meno a 1 + π/2 · 10⁶ = 2,57079… · 10⁶ = 2570900, e che il totale corrisponde invece in modo praticamente esatto a πɸ · 10⁶ = 5,0832 · 10⁶ = 5.083.200.
Per avere un’idea di quel che potrebbe essere l’importanza di numeri come ɸ e π in ambito scientifico, possiamo dire che la velocità della luce può essere ottenuta nel modo che vediamo sotto (ricordiamo che √5 = (ɸ + 1/ɸ)2)
π : 32√(2√5) = 3,141592653.. : 1,047921120.. = 2,9979285.. ≈ c = 2,9979246
Quest’approssimazione sembra davvero straordinariamente buona, ma è solo leggermente migliore di quella che possiamo ricavare dalla funzione logaritmica di ɸ che vediamo qui sotto
{[Ln (Ln ɸ) · -1] + 1}2 = 1,73144772107..2 = 2,9979112.. ≈ c = 2,9979246
Ciò significa che possiamo ricavare un’ottima approssimazione di ɸ da c = 2,9979246 nel modo che vediamo qui sotto
inv. Ln {inv. Ln [(√c – 1) · -1]}} = 1,618030978.. ≈ ɸ = 1,618033988..
La velocità della luce mostra simili rapporti – che forse potremmo definire di “proporzionalità inversa” anche con la costante gravitazionale G, dato che
2/(c/10) = 2/0,29979246 = 6,671281.. ≈ G = 6,672
Anche il rapporto fra la massa di un elettrone me e il suo raggio classico rp, escluse le potenze del 10, sembra, per così dire, girare intorno a ɸ
me/re = 9,1091/2,81777 = 3,232733.. ≈ 2ɸ = 3,236067..
11. Questo è un lavoro che svolgeremo più a fondo in The Snefru Code part. 7. Ma già dalle immagini che abbiamo visto nella prima parte di questo lavoro abbiamo avuto modo di renderci conto che per questa gente, con ogni probabilità, scienze come l’astronomia, la fisica e la chimica non erano altro che un branca della geometria, intesa a sua volta come una branca della teologia. Infatti, che altro può significare il fatto che un edificio sacro come la Grande Piramide non sia altro che uno strumento geometrico con cui è possibile riprodurre entità come l’atomo, il campo gravitazionale e i sistemi solari?
L’importanza di questa scoperta sembra confermata e al tempo stesso ampliata dal fatto che anche le strutture sacre di altre culture che provengono da tradizioni antichissime, quali quelle che troviamo nell’estremo oriente, hanno costruito i loro monumenti sacri seguendo la stessa “geometria profonda” con cui è stata costruita la Grande Piramide. Infatti, come possiamo vedere dalle immagini che seguono, i templi indiani come quelli cinesi sembrano fondarsi su un ritmo geometrico che sembra del tutto consonante a quello dell’atomo di idrogeno, che la Piramide sembra capace di descrivere tanto efficacemente
In effetti, se adesso proviamo a proiettare il profilo della Piramide e del Sistema Solare sul tempio cinese che abbiamo visto all’inizio di questa serie di immagini, vediamo che queste congruenze che abbiamo appena individuato risultano pienamente confermate
Queste cose che abbiamo appena scoperto ci spingono a pensare che quella tradizione scientifico-teologica che dall’Egitto, attraverso la mediazione dei Pitagorici, è passata nel Timeo di Platone sia antichissima, molto probabilmente ancora più antica di quella delle Piramidi. Se un sistema matematico-scientifico fondato su ɸ e su π è capace di coprire un’area del mondo tanto vasta, assumendo delle forme tanto diverse, questo può significare soltanto una cosa: che esso è antecedente a tutte queste culture, che nei millenni lo hanno trasformato in stili architettonici e forme di fede religiosa fra di loro diversissime.
La profondità di questa tradizione è per noi attualmente imperscrutabile, fino al punto che possiamo considerarla al di là di ogni ipotesi. Quel che in questo momento però ci preme di sottolineare è che, attraverso delle vie che in questo momento ci restano del tutto sconosciute, essa è giunta anche a influenzare lo stile gotico. Le immagini che mostriamo qui sotto sembrano testimoniarlo in un modo che pare inequivocabile, a partire da questo portale di cui era già stata scoperta la congruenza con il pentagono e il pentagramma, le figure che i Pitagorici consideravano le più sacre, e che sono ontologicamente legate alla sezione aurea. Osservando le immagini nel loro insieme, sembra che persino il dimensionamento delle pietre, come anche l’inclinazione di quelle che stanno sopra la volta a ogiva e che consentono l’equilibrio statico della struttura, siano il frutto di un accurato dimensionamento, che ha alla sua base quella stessa geometria che scandisce il ritmo spaziale delle orbite dell’atomo di idrogeno
Il rimo geometrico della porta gotica, come tutti ci aspettiamo, è lo stesso del complesso della struttura. In pratica, da quel che si vede, sembra di poter dire che lo stile gotico, quello del tempio Indo-Cinese, e ovviamente quello Antico Egizio, non siano altro che tre diverse proiezioni di una stessa geometria profonda, che è la stessa che è alla base della struttura fisica dell’universo
Dunque, nei ritmi geometrici dell’architettura sacra di tutto il mondo, consapevoli o meno che ne fossero gli architetti, è depositata quella matematica attraverso cui “il Dio sconosciuto” ha dato forma al mondo. Forse nel Medio Evo occidentale i monaci che hanno progettato le cattedrali, secondo dei canoni ermetici antichi forse come l’uomo, non sapevano nulla della sua connessione con la struttura dell’atomo. Anzi, quasi certamente non sapevano nulla nemmeno dell’esistenza dell’atomo. Per loro certi ritmi geometrici avevano probabilmente a che fare con i ritmi cosmici e un’astronomia limitata al sistema solare. Nulla a che vedere dunque con quella che Tom Brophy ha registrato in un sito Antico Egizio come Nabta Playa, dove addirittura sono indicate le distanze relative di alcune stelle di Orione, in maniera del tutto indipendente dalla loro luminosità (cfr. The Snefru Code parte 8, La Pietra di Alatri).
In effetti, la tecnologia e la precisione costruttiva medievale non ha tratti di eccezionalità tali da farci supporre che le matematica a disposizione dei progettisti fosse stata appresa e vissuta in modo diverso che un canone estetico sacro. Sacro perché simbolicamente connesso col divino, sacro perché connesso con dei numeri che comparivano nella Bibbia. Ma c’è da dubitare che queste persone avessero delle prove empiriche che le stesse proporzioni secondo le quali loro costruivano le cattedrali fossero le stesse con cui Dio aveva creato financo la polvere sparsa per l’universo.
Ma, quanto alla Grande Piramide, noi tutti sappiamo che le cose non stanno così. Tutti sappiamo che a Giza vi sono le tracce di una tecnica che sorpassa largamente – almeno per certi aspetti – quella che abbiamo attualmente a disposizione in Occidente. Dunque sembra praticamente certo che quelle genti fossero perfettamente consapevoli non solo del suo significato spirituale e del suo potere simbolico, ma anche del fatto che in quella matematica era riposto il segreto per poter padroneggiare le forze della natura. Forze che sono poi state utilizzate per costruire il complesso monumentale sacro più gigantesco e metrologicamente perfetto di cui l’uomo abbia conservato la memoria.
Appendice 1: UN ABBOZZO DELLA TEORIA DEI CAMPI UNIFICATI PROBABILMENTE CODIFICATA NELLA GRANDE PIRAMIDE
parte 1: DATI SCIENTIFICI CODIFICATI NELLE MISURE DEI MONUMENTI SACRI ANTICO EGIZI
- Nel 1836-37 Howard Vyse, durante un periodo di scavi intrusivi compiuti sulla Grande Piramide per mezzo della dinamite, scoprì all’uscita del Pozzo Sud della Camera del Re (quello che punta alla Cintura di Orione) una piastra di ferro di forma rettangolare. Secondo la descrizione fornita da Hancock e Bauval, essa era lunga circa 304,8 millimetri, larga 101,6 e spessa 3. Anche a prima vista si può notare una proporzione vicina al 3 sembra avere un ruolo particolare nella loro determinazione.
Dunque possiamo provare – come esperimento mentale – a ricostruire le sue dimensioni partendo da dei numeri che per gli Antichi Egizi erano molto importanti, supponendo che le misure siano state prese con un minimo di approssimazione.
Così, supporremo che lo spessore sia stato determinato con la formula 2ɸ (oppure √5 + 1) e che dunque risultasse originariamente 3,23606… mm. Supporremo poi che la larghezza fosse determinata dalla formula
2ɸπ · 10 = 101,66407… mm.
Per quanto riguarda la lunghezza, visto che abbiamo trovato un diagramma della relatività codificato nella Grande Piramide, supporremo che sia stata determinata usando la costante che ci serve per calcolare la velocità della luce, che è pari a c = 2,9979246 (un numero dunque molto vicino al tre). La lunghezza risulterebbe perciò dalla formula
2ɸπ · 10 · 2,9979246 = 304,7812.. mm
La differenza rispetto alla misura della lunghezza che di solito viene presa per buona sarebbe dunque di poco meno di due decimi di millimetro.
- Se questo esperimento mentale corrispondesse alla realtà, avremmo che la velocità della luce non sarebbe stata codificata solo nelle misure della Grande Piramide, ma anche in questa solo apparentemente anonima piastra di ferro che era stata collocata all’estremità del Pozzo Sud della Camera del Re. Bouval e Hancock hanno fatto eseguire dei test sul metallo, che hanno dimostrato che il ferro non era di origine meteoritica e che, molto probabilmente, in origine era stato dorato. Quest’ultimo fatto è molto importante in relazione alla nostra ipotesi, perché l’oro lo possiamo considerare senz’altro come una metafora della luce, di cui la piastra conterrebbe una caratteristica matematica fondamentale.
Considerando questo, possiamo andare avanti nel nostro esperimento mentale ipotizzando che anche gli altri numeri che caratterizzano l’oggetto contengano informazioni scientifico-astronomiche. Il caso del sarcofago della Camera del Re ci insegna che in delle misure, che nella nostra cultura sono ritenute banali, possono essere contenuti dati scientifici che per quelle genti erano importanti, anche e soprattutto perché ritenuti direttamente connessi con la creazione intesa come progetto di un divino architetto. Vedremo meglio queste cose in The Snefru Code parte 7. Per adesso ci limitiamo a un solo esempio, che però riteniamo molto significativo. Se prendiamo la lunghezza della piastra in decimetri vediamo che essa risulta 3,047822. Se facciamo il rapporto fra π e questo numero abbiamo che
π : 3,047822 = 1,030766..
Questa cifra pare a prima vista del tutto insignificante. Che dire poi, quando scopriamo che il rapporto fra il numero di giorni di un anno solare (365,25) e quello di un anno di fasi lunari (354,36) ci da un numero praticamente uguale a questo, vale a dire una cifra pari a 1,03073..? Un numero molto simile risulta anche da 2ɸ : π = 3,236067.. : 3,141592.. = 1,030072.. e naturalmente anche da ɸ/(π/2).
Inoltre, prendendo ogni millimetro come l’equivalente di un milione di chilometri, vediamo che i 304,78 mm di lunghezza corrispondono in modo quasi perfetto a due volte la distanza massima fra il Sole e la Terra, che è pari a 152,1 milioni di chilometri (152,1 · 2 = 304,2). Possiamo anche notare che, in termini numerologici, vi è una grande somiglianza fra la distanza media della Terra dal Sole e la velocità della luce divisa per due (149,5978875 contro 149,89623). Una cosa per noi priva di qualsiasi rilievo, ma che per quelle persone poteva avere un significato importantissimo.
- A questo punto, possiamo ricordare che il Pozzo Sud della Camera del Re è quello che punta alla Cintura di Orione. Alnilam, la stella centrale e più luminosa, dista dalla Terra circa 1000 anni luce. Intendendo ogni decimo di millimetro come un anno luce, potremmo supporre che la larghezza della piastra (1016 decimi di millimetro) rappresenti la distanza fra la Terra e Alnilam in anni luce (cioè in termini di tempo). La lunghezza invece la rappresenterebbe in termini spaziali (dato che la lunghezza risulta dalla larghezza moltiplicata per la costante da cui si ricava la velocità della luce).
Se siamo inclini ad accettare la plausibilità di questa ipotesi, allora possiamo o forse dobbiamo ipotizzare che anche le dimensioni della Camera del Re e di quella della Regina e quelle dei Pozzi Stellari contengano simili riferimenti a Orione e/o ad altre stelle e costellazioni che per gli Antichi Egizi erano molto importanti. Per esempio, la lunghezza della Camera del Re (che si misura lungo l’asse Est-Ovest) è di circa 10 metri: se prendiamo ogni decimetro di questa misura come un anno luce, abbiamo ancora una volta la distanza fra la Terra e Alnilam (teniamo presente che a Giza, all’equinozio di primavera, Orione sorge in direzione est).
Giunti a questo punto, siamo costretti ad ampliare la nostra ipotesi, e a ipotizzare che anche le altre caratteristiche metrologiche della Grande Piramide possano essere codificati importanti dati scientifici.
L’angolo di base della Grande Piramide – in gradi e sessantesimi di grado – risulta pari a circa 51°49’, mentre in gradi ed in centesimi di grado viene circa 51°,817. Su di esso sono già state dette molte cose. A queste possiamo aggiungere che esso risulta da una complessa funzione di approssimazioni di π e di ɸ. Possiamo cominciare dal seno
sen 51°,817.. = 0,786040344.. ≈ π/4 = 0,785398163.. (-6,421806485.. · 10-4
Qui possiamo notare che anche la differenza fra l’approssimazione codificata nell’angolo della Grande Piramide e il valore esatto sembra avere un importante significato scientifico, dato che
4√1/ 6,421806485.. · 10-4 = 4√1557,194229075.. = 6,281823.. ≈ 2π = 6,283185307..
Passando al coseno, vediamo che esso è pari a
sen 51°,817.. = 0,618175199706.. ≈ 1/ɸ = 0,618033988749.. (+1,41210956.. · 10-4
Anche in questo caso la differenza fra il valore esatto e l’approssimazione potrebbe avere un significato scientifico, dato che sembra rimandare, sia pure in modo indiretto, alla velocità della luce
(0,000141210956.. · 104)2 = 1,41210956..2 = 1,9940534.. ≈ c – 1 = 1,9979246
Infine, la tangente risulta pari a
tg 51°,817.. = 1,27154946.. ≈ √ɸ = 1,272019649.. (-4,701851883.. · 10-4
Anche in questo caso nella differenza fra il valore esatto e l’approssimazione pare annidarsi un qualche significato scientifico-matematico, dato che
16√1/4,701851883.. · 10-4 = 16√2126,821568767.. = 1,614766.. ≈ ɸ = 1,618033988..
Strano a dirsi, persino il seno iperbolico di 51°,817 pare avere un significato scientifico, dato che la sua radice 64sima va molto vicina a 2ħ2
64√15951707336853918556398,066643208 = 2,22289455.. ≈ 2ħ2 = 2,224242890..
- Abbiamo fornito poco sopra il dato dell’angolo di base della Grande Piramide sia in gradi e sessantesimi di grado, sia in gradi e centesimi di grado, non per pignoleria, ma perché, a quel che ci è dato di sapere, nell’antichità era tenuta in altissima considerazione una scienza che oggi consideriamo, quando va bene, alla stregua di una pseudo scienza, anche se per solito essa passa per una bestialità o una superstizione degna di menti aliene a qualsiasi nozione autenticamente scientifica: la numerologia.
A ben vedere però gli antichi potrebbero aver avuto una qualche ragione nel loro atteggiamento, dato che la numerologia, lungi dal rappresentare una superstizione, potrebbe esser stato un modo alquanto complesso di codificare nozioni scientifiche nei loro monumenti sacri. In questo caso, noi possiamo constatare come l’angolo della Grande Piramide espresso in gradi e sessantesimi di grado (51°49’) può contenere delle nozioni che con l’altro sistema sfuggirebbero.
Per esempio – ponendolo in relazione numerologica con la il numero di giorni delle fasi lunari e con ɸ – da esso possiamo ricavare un’ottima approssimazione della velocità della luce, dato che
[1 + (51,49.. : 354,36)] : 1/ɸ2 =2,9984453.. ≈ c = 2,9979246
Questo fatto risulta ancor più interessante se consideriamo che l’apotema della Grande Piramide risulta circa 356,08 metri. Però questo calcolo presuppone che i lati della Piramide siano perfettamente rettilinei. Invece essi sono formano una leggera coda di rondine verso l’interno. Ciò significa che l’apotema risulta di lunghezza leggermente inferiore a quello che viene calcolato a partire dall’altezza e dalla lunghezza di un lato. Dunque non ci sarebbe da stupirsi se la sua misura coincidesse in modo praticamente esatto con il numero di giorni di un anno di fasi lunari.
Se invece prendiamo lo stesso angolo e lo misuriamo in gradi e centesimi di grado (51°,817), abbiamo che il rapporto numerologico con l’anno delle fasi lunari ci porta molto vicini a ɸ, dato che
4√(51,817.. : 354,36) = 0,618382076.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346..
Lo stesso vale per la misura del lato. Se prendiamo la misura espressa in cubiti, noi vediamo che essa contiene senz’altro codificati sia ɸ, sia il numero di Eulero, sia il 10, dato che
(440 : 2,71828182..)/102 = 161,867062../102 = 1,61867062.. ≈ ɸ = 1,618033988.. (+0,0006355524
Si nota che anche la differenza fra l’approssimazione di ɸ sulla base della quale è stato costruito il lato della Grande Piramide e il suo valore esatto assume un significato geometrico e matematico che pare di rilievo, dato che in essa pare codificato anche un altro numero molto importante
(1/0,000635552404..)/103 = 1573,434374../103 = 1,573434374.. ≈ π/2 = 1,570796.. (-0,00263
L’approssimazione di π che possiamo ricavare da questa cifra non va molto lontana da quella che fu codificata nel rapporto fra la metà del perimetro e l’altezza (πCheope = 880/280 = 22/7 = 3,142857..). E a questo punto si fa fatica a pensare che sia un caso che – facendo per 3 volte consecutive il logaritmo naturale (cioè quello che ha come base il numero di Eulero) dell’inverso della differenza – quella che viene fuori sia un’approssimazione del numero caratteristico della costante che descrive il raggio classico del protone (rp = 1,535) meno 1
1,573434374.. · 2 = 3,146868748.. ≈ πCheope = 3,142857142857.. (+0,00401160514285..
Ln (Ln (Ln 1/0,00401160514285..) = Ln (Ln (Ln 249,276776..) = 0,535391.. ≈ rp – 1 = 0,535
Questo, che potrebbe essere visto con buone ragioni come un risultato casuale e banale, lo diventa molto meno, quando ci rendiamo conto che possiamo arrivare a un risultato molto simile a partire dal numero caratteristico della costante che descrive la carica elettrica unitaria (cu = 1,6022 · 10-19 coulomb), dato che
inv. Ln -1/1,6022 = e-0,624141805.. = 0,535720.. ≈ rp – 1 = 0,535
- A tutto questo dobbiamo aggiungere un altro fatto importantissimo. Ovvero che nel lato della Piramide espresso in cubiti pare codificata anche la sua stessa altezza espressa in metri (146,57), dato che 440 : 3 = 146,666..
Ma anche quest’ultimo dato, davvero stupefacente, non esaurisce le meraviglie di questo capolavoro dell’architettura, della matematica, della scienza e della filosofia dell’Età della Pietra.
La misura media di ognuno dei quattro lati – che variano da un minimo di 230,25 a un massimo di 230,44 metri – viene intorno ai 230,34 metri. Se la moltiplichiamo per la misura espressa in cubiti e poi facciamo la radice, otteniamo un numero molto vicino a 1000/π
√(440 · 230,34) = √101349,6 = 318,354519.. ≈ 1000/π = 318,309886..
Perciò, possiamo immaginare che la lunghezza “ideale” del lato della Grande Piramide espressa in metri potrebbe risultare da quest’equazione che vediamo sotto
(1000/π)2/440 = 101321,183642../440 = 230,275417..
L’altezza “ideale” dovrebbe essere questa che vediamo qui sotto
(230,275417.. · 2) : 22/7 = 146,538901..
Inoltre, anche a prima vista si nota che il valore dell’altezza espresso in metri contiene rapporti molto significativi con πCheope e con ɸCheope. Tenendo conto che πCheope corrisponde a 22/7 e che quello di ɸCheope – che si può ricavare dall’area delle 4 facce triangolari divise per quella della base – è uguale a 1,618590346796.., possiamo vedere qui sotto quelli che paiono più evidenti
(146,538901.. : 102)3 = 3,146725.. ≈ πCheope = 3,142857.. (+0,003868..
4√{[Ln (146,538901.. : 102)3] – 1} = 0,6185250149.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346796..
4√(146,538901.. : 103) = 0,618711563.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346796..
[(4√146,538901..) – 2]3/2 = 1,618501347.. ≈ ɸCheope = 1,618590346796..
Ovviamente, non potevano mancare dei rapporti con il numero di Eulero. Infatti, se al valore di e sottraiamo per 9 volte 1/π, otteniamo un’ottima approssimazione dell’altezza della Piramide espressa in metri divisa per -103, vale a dire
e – 9/π = -0,14650714.. ≈ 146,538901../-103 = 0,146538901.. (-0,000031761..
Si nota che il valore dell’approssimazione differisce dal valore esatto di circa 1/π · 10-4, e che da 9/π – e possiamo ottenere un’ottima approssimazione di ɸCheope – 1 nel modo che vediamo qui sotto
4√9/π – e = 4√0,146507147.. = 0,618678042.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346.. (8,769598944.. · 10-5
Anche in questo caso la differenza appare significativa, perché la sua radice nona è praticamente pari alla durata dell’anno delle fasi lunari (354,36 giorni solari) divisa per 103, mentre la sua radice 27sima è vicinissima a 1/√(c – 1)
9√8,769598944313.. · 10-5 = 0,354176.. ≈ 354,36/103 = 0,35436
27√8,769598944313.. · 10-5 = 0,707522067.. ≈ 1/√(c – 1) = 0,707473949..
- Queste scoperte sembrano davvero stupefacenti. In particolare, sembra del tutto assurdo che della gente che noi giudichiamo molto arretrata, avesse trovato il mondo di codificare addirittura in un solo lato di un monumento le tre costanti più importanti della matematica e della geometria (più il 10 che, come in parte abbiamo già visto, era parte integrante del loro sistema al pari di π, di ɸ e del numero di Eulero).
Questo fatto diventa forse un po’ meno scioccante – se non dal punto di vista storico, almeno da quello puramente matematico – quando ci rendiamo conto che queste costanti sembrano poter stabilire fra di loro una relazione che pare una via di mezzo fra una relazione armonica e una relazione logica. È un fatto questo che pare a prima vista ancora più scioccante e incredibile di quello che abbiamo visto, dato che fino ad ora, nella nostra epoca e nella nostra cultura, nessuno si era mai neppur sognato che potesse esistere un qualcosa del genere. Anche se qualche indizio di questo fatto era davvero evidente. Per esempio, se si prende π come un angolo diviso in gradi e sessantesimi di grado (cioè 3°14’15”) e lo traduciamo uno in gradi e centesimi di grado, ecco che si trasforma in un’ottima approssimazione di 2ɸCheope
3°14’15”92’’’.. = 3,23775737.. ≈ 2ɸCheope = 3,23718068.. (+0,000576..
Ma, al di là di questo fatto, che può parere una mera curiosità, il lettore dotato di un minimo di cultura matematica potrà constatare quale sia il fondamento matematico di quanto abbiamo detto sopra, se solo scorrerà con un minimo di attenzione e di pazienza le formule sottostanti
e2 + ɸ2 = 10,007090087.. ≈ 10
√π + √10 + e + ɸ + 1/ɸ = 3,144690973.. ≈ 2 + Ln π = 3,144729885..
e – 12√π = 1,618189449.. ≈ e – 1 – 1/10 = 1,618281828.. ≈ ɸ = 1,618033988..
(π – ɸ2)/2 = 0,2617793324.. ≈ ɸ2/10 = 0,2618033988.. (-0,000024..
(e – Ln π) · 2 = 3,147103.. ≈ (e – ɸ)12 = 3,146924.. ≈ π = 3,141592..
(π – e) · 1/ɸ = 0,2616204.. ≈ ɸ2/10 = 0,2618033.. (-0,0001829..
10 – π – ɸ – e = 2,52209152.. ≈ eɸCheope/2 = 2,522986097.. ≈ eɸ/2 = 2,521582..
3√(10π – 10e) = 1,617657.. ≈ ɸ = 1,618033
(eɸ)π = 161,28995248.. ≈ ɸ · 103 = 161,8033988
8√(eɸ)π = 1,887777.. ≈ (2/ɸ)3 = 1,888543..
(3√πɸ)(³√πᶲ) = 1,854108438570..1,854108438570.. = 3,141605.. ≈ π = 3,41592..
inv. Ln 4√(e – 1) = e1,144915933.. = 3,142177.. ≈ πCheops = 22/7 = 3,142857..
10ɸ√10π = 1,23745367.. ≈ 2(ɸCheops – 1) = 1,23718068.. (-0,00027299..
8√(10e – 10ɸ)/2 =1,237535215.. ≈ 2 ∙ (ɸCheope – 1) = 1,237180692..
e – Ln ɸ = 2,237070003.. ≈ ɸCheops + (ɸCheops – 1) = 2,23718068..
Ln [(3/ɸ) – 1]32 = Ln 0,006431482516.. = -5,046550204.. ≈ eɸCheope · -1 = -5,045972225..
9√[(3/ɸ) – 1]32 = 9√0,006431482.. = 0,570793488.. ≈ π/2 – 1 = 0,5707963267..
Ln (π/2 – 1)9 = Ln 0,006431770316.. = -5,046505457.. ≈ eɸCheope · -1 = -5,045972225..
9√[inv. Ln (eɸ · -1)] = 9√inv. Ln -5,043165643.. = 9√0,006453287.. = 0,571008.. ≈ π/2 – 1 = 0,570796..
(1/e)9 · 104 = 1,23409804086.. ≈ 2/ɸ = 1,23606797749.. (-0,001969..
[(1/e)1458 · 10634]/2 = 3,144961906.. ≈ 2 + Ln πCheope = 3,145132304..
360°/2(e°/sen e° = 360°/2(2°,71828182../sen 2°,71828182..) = 360°/114,634.. = 3°,140414.. ≈ π = 3,141592..
La scoperta delle relazioni armoniche fra π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero sembra davvero molto importante. Con essa abbiamo la prova definitiva che la Grande Piramide, lungi dall’essere un monumento costruito più o meno a casaccio da dei semibarbari, sarebbe invece un capolavoro matematico di altissimo livello, in cui sono state codificate già a partire dalla misura del lato le costanti più fondamentali della geometria, della scienza e della matematica. Ma già da quel che abbiamo visto, possiamo ipotizzare che queste stesse costanti – cioè ɸ, π, il numero di Eulero e il 10 – abbiano qualcosa a che vedere con la scienza e dunque con la realtà empirica, dato che abbiamo già scoperto che nella struttura della Grande Piramide sono codificate anche la velocità della luce c = 2,9979246 e il diagramma dello spazio tempo elaborato da Fappalà, fondato su π e ɸ. Questo ci fa supporre che quegli stessi numeri a partire dai quali è stata generata la struttura della Grande Piramide possano a loro volta generare in modo diretto anche i numeri caratteristici di altre costanti fisiche molto importanti. Ma questo è proprio quello che possiamo constatare osservando le formule sottostanti (i simboli sono da leggersi nel modo seguente: rp = raggio classico protone; mp = massa del protone; ħ = costante di Dirac; h = costante di Planck; cu = carica unitaria; c = velocità della luce)
32√(10e – 10ɸ)/2 = 1,054725367.. ≈ ħ = 1,054571688..
(10π – ee)/10 + (ɸ + 1/ɸ)2 = 1,626166.. + 5 = 6,626166.. ≈ h = 6,626 ≈ 5 + 4√7 = 6,626576..
(πe)ɸ = 153,674057.. ≈ rp · 103 = 1,535 · 103 = 153,5
8√(ɸe)π = 1,671426.. ≈ mp = 1,6725
10π√10e = 1,110848.. ≈ ħ2 = 1,112121..
√[(Ln ππ/ɸ)/2] = √(2,222620../2) = √1,111310.. = 1,054186.. ≈ ħ = 1,054571..
[3√(ɸ√π)]2 = 1,602643.. ≈ cu = 1,6022
(ɸCheops – Ln ɸCheops)4 = 1,671455.. ≈ mp = 1,6725
πCheops – Ln πCheops = 1,9977248.. ≈ c – 1 = 1,9979246
{[(2 + Ln π) – 1/(2 + Ln π)]/2}2 = [(3,144729885.. – 1/3,144729885..)/2]2 =
= (2,826737550641../2)2 = 1,413368775..2 = 1,9976112.. ≈ c – 1 = 2,9979246
Nelle ultime due formule che abbiamo esposto vediamo come la velocità della luce si possa dedurre con ottima approssimazione da funzioni di π e di πCheope. Questo sembra un indizio di un legame speciale fra π e c, un indizio che viene confermato dal fatto che possiamo a sua volta ricavare un’ottima approssimazione di π dalla funzione di c che possiamo vedere qui sotto che, oltre ad essere particolarmente precisa, sembra anche esteticamente piuttosto bella
(c-1√Ln c) · c = (1,9979246√Ln 2,9979246) · 2,9979246 = 3,141428470.. ≈ π = 3,1415926535..
Una cosa del genere viene fuori anche dal 3
(2√Ln 3) · 3 = 3,14444122.. ≈ 2 + Ln π = 3,144729885..
- Queste scoperte possono sembrare già molto importanti, se non addirittura sconvolgenti. Numeri di cui credevamo di sapere tutto, π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero tendono a stabilire fra di loro dei rapporti armonici e sembrano in grado di generare le costanti della regina delle scienze empiriche, la fisica. Questo, fra l’altro, ci fa venire il sospetto che le proprietà armoniche di questi numeri possano proiettarsi anche sulle costanti della fisica, di modo che anche queste vadano dunque a formare un sistema armonico, di cui fino ad ora neppure avevamo sospettato l’esistenza.
Riferito alla Grande Piramide, ciò significherebbe che, non solo delle genti da noi considerate semibarbare erano arrivate a rendersi conto di queste verità matematiche di cui noi non avevamo finora avuto il sospetto, ma erano riuscite a simbolizzare la loro conoscenza nel più maestoso ed imponente degli edifici sacri lasciatici in eredità dalla cosiddetta “Età della Pietra”!
Eppure questo non è ancora tutto, dato che ancora ci resta da comprendere il ruolo che π, ɸ e il numero di Eulero di fatto rivestono nell’ambito della trigonometria basata sull’angolo giro diviso in 360 parti. Infatti, tanto π, che ɸ che il numero di Eulero corrispondono a tre importantissimi momenti unicità del sistema. Tratteremo più a fondo questo argomento in un lavoro successivo. Per il momento ci limitiamo a mostrare le formule, per prime quelle riguardanti π e ɸ, che sono le più semplici. Per quanto riguarda π, la formula sottostante ci mostra come esso possa essere considerato un limite del rapporto fra l’angolo giro e la funzione x/sen x. Per quanto riguarda ɸ, noi possiamo constare che il punto in cui la funzione e la tangente vanno a coincidere è un angolo il cui seno, coseno e tangente sono funzioni “perfette” del numero d’oro
Limx→0 [360 : (x : sin x)] = 360 : 57,295779513082.. = 2π
Limtg x → cos x = 0,786151377.. = 1/√ɸ; x = 38°,172707..; sen 38°,172707.. = 1/ɸ
La situazione riguardante il numero di Eulero è un po’ più complicata. Possiamo riassumerla dicendo che il seno e il coseno dell’angolo uguale a 360/e2 = 48,720.. sono la x e la y capaci di risolvere le equazioni che vediamo qui sotto. Il significato di queste equazioni sembra essere che i tre numeri che costituiscono il seno, il coseno e la tangente di 360/e2 possono essere ottenuti da funzioni di uno solo di essi, aggirando i consueti metodi trigonometrici.
y = x/{1/√[√(1/x4) – 1]}
x = 4√1/{[1 + (1/(x/y)2]2}
x/y = x/{1/√[√(1/x4) – 1]}
Conoscenze di questo genere erano finora sfuggite alla nostra matematica e alla nostra geometria, e quindi saremmo tentati di pensare che quelle che abbiamo sopra esposto siano delle novità assolute, ovvero, come spesso si dice, qualcosa di mai visto. Ma siamo costretti a frenare il nostro entusiasmo e invece ad attribuire tali conoscenze a coloro che noi chiamiamo “Antichi Egizi”. Infatti, se queste genti ebbero il genio matematico di riuscire a codificare tali numeri già a partire dalla misura del lato della loro costruzione sacra più importante, dobbiamo per forza di cose dedurne che essi erano perfettamente coscienti del loro ruolo tanto nella matematica, che nella geometria che nella scienza (e dunque anche nella struttura matematica profonda del cosmo).
In effetti, noi siamo potuti arrivare a scoprire queste cose non seguendo un percorso di ricerca originale e autonomo, ma solo seguendo le tracce lasciateci da questi saggi dell’antichità. Dobbiamo quindi confessare che qui non stiamo affatto scoprendo o men che meno creando qualcosa di nuovo. Stiamo solo imparando una sapienza molto antica, scolpita in pagine di pietra secondo un codice che pare molto più inconsueto che complesso.
- Tutte queste considerazioni sono venute fuori a partire dall’analisi della misura del lato della Grande Piramide misurato in cubiti. Quindi sembra piuttosto logico che anche nella sua altezza possano essere codificate importanti nozioni di tipo matematico o scientifico. In effetti, se la dividiamo per 1 + (1/ɸCheope) · 10 e poi eleviamo il risultato al quadrato, quella che viene fuori è una discreta approssimazione di c = 2,9979246
{280 : {[1 + (1/ɸCheope)] ∙102}}2 = {280 : [(1 + 0,617821552..) ∙ 102]}2 =
(280 : 161,782155..)2 = 1,730722397..2 = 2,9954000.. ≈ c = 2,9979246
Oppure, se la dividiamo per πCheope e poi facciamo la radice quarta, quella che otteniamo è un’ottima approssimazione del numero caratteristico della costante che descrive il diametro classico del protone dp = 3,07
4√(280 : πCheope) = 4√89,090909.. = 3,072262.. ≈ dp = 3,07
Invece, facendone per 4 volte consecutive il logaritmo naturale, otteniamo il valore della carica unitaria (cu = 1,6022) meno 1
Ln (Ln (Ln (Ln 280) = -0,602356.. ≈ (cu – 1) · -1 = -0,6022
Ma la scoperta forse più scioccante la facciamo nel momento in cui ci rendiamo conto che per mezzo del 280 e del numero di Eulero possiamo ricostruire il rapporto 2ɸ/π con una precisione davvero sconcertante, pari a circa 10 milionesimi
280 : (e · 102) = 280 : 271,8281828.. = 1,030062435.. ≈ 2ɸ/π = 1,030072429.. (-0,00000999432..
Facendo la radice 24sima di questa differenza arriviamo di nuovo a un’ottima approssimazione di ɸCheope
24√9,9943209292295470636466967317891 · 10-6 = 0,618951168.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,61859034..
Elaborando il 280 per mezzo del logaritmo a base 10, oltre che con il logaritmo naturale, possiamo arrivare a un’approssimazione straordinariamente buona di π nel modo che possiamo vedere qui sotto
inv. Ln {1 + [(log 280 – 1)/10]} = inv. Ln {1 + [(2,447158031.. – 1)/10]} =
= inv. Ln (1 + 1,447158031../10) = inv. Ln 1 + 0,1447158031.. = e1,1447158031.. =
= 3,1415484117.. ≈ π = 3,1415926535.. (-4,424184.. · 10-5
Notiamo infine che le misure in cubiti della Grande Piramide possono risultare direttamente dal numero di giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio (360), semplicemente sommando e sottraendo 80, dato che
360 + 80 = 440 lato; 360 – 80 = 280 altezza;
Quindi, ci è lecito supporre che anche l’80 e il 160 possano avere un significato speciale. In effetti, se facciamo la radice (c – 1)2 dell’80 quella che otteniamo è una buona approssimazione di c, mentre diviso per ɸ3 ci da (2/ɸ)3 · 10
(c – 1)²√80 = 1,9979246²√80 = 3,9917027..√80 = 2,9975156.. ≈ c = 2,9979246
80 : ɸ3 = 80 : 4,23606.. = 18,885438199.. = (2/ɸ)3 · 10
Invece, il logaritmo naturale di 160 ci da un valore molto vicino al prodotto di ɸ · π
Ln 160 = 5,0751738.. ≈ ɸ · π = 5,083203692..
Concludiamo con un inciso, riguardante il numero di Eulero. Infatti, ancora non avevamo notato che da questo numero possiamo ricavare un’ottima approssimazione di π/c, con la mediazione del seno iperbolico di ee
ee/Ln sinh ee = 15,15426224.. : Ln 1907139,552379979.. =
= 15,154262.. : 14,461115.. = 1,047931793.. ≈ π/c = 1,047922503984..
- Se soltanto a partire dal lato e dall’altezza della Grande Piramide abbiamo ricavato tutti questi dati scientifici, sarebbe stupefacente se le altre strutture similari appartenenti alla IV Dinastia non ne contenessero nessuna. E, in effetti, come osserviamo con un minimo di attenzione le loro misure fondamentali, vediamo che qualcosa di significativo viene fuori.
L’inclinazione della Piramide di Chefren viene calcolata intorno ai 53°,13.., cioè pari all’inclinazione dell’angolo opposto al cateto maggiore del triangolo rettangolo “magico” le cui misure sono 3, 4 e 5 (il cui valore è appunto 53°,130102354..). La radice quarta del numero dei giorni di un anno solare (365) diviso numerologicamente per 53°13.. ci da
4√(365 : 53,13..) = 4√6,869 = 1,61896799.. ≈ ɸCheope = 1,61859034..
Invece, il logaritmo dell’angolo opposto (36°,869897..) diviso per la lunghezza dell’ipotenusa (5) ci da un’ottima approssimazione di c – 1
Ln (36°,869897.. : 5) = Ln 7,373979529.. = 1,9979575.. ≈ c – 1 = 1,9979246
Utilizzando la durata dell’anno lunare otteniamo un numero molto vicino alla costante di Newton, dato che
354,36 : 53°,13 = 6,6696.. ≈ G = (6,67)
Questo rapporto ci rimanda numerologicamente al biblico Numero della Bestia, il 666, che dunque potrebbe essere un modo ermetico di alludere alla costante di Newton.
Qui val la pena di osservare che questo celebre numero biblico potrebbe esser stato simbolizzato architettonicamente anche a Teotihuacan, seppure in modo enormemente più complesso, ovvero per mezzo del tempo. In “Impronte degli Dèi” Hancock parla di un effetto luminoso che si realizza in occasione degli equinozi
“Allora, a mezzogiorno, il passaggio dei raggi del sole da sud verso nord causava l’obliterazione progressiva di un’ombra perfettamente dritta che correva lungo uno degli ordine inferiori della facciata occidentale. L’intero processo, dall’ombra totale all’illuminazione totale, si compiva esattamente in 66,6 secondi”
Se usiamo ancora una volta l’angolo di base della Piramide di Chefren per dividere la durata dell’Anno delle Eclissi troviamo un dato scientifico piuttosto interessante, dato che risulta una cifra molto vicina al numero caratteristico della costante di Planck calcolata da Planck stesso all’inizio del secolo, pari a hPlanck = 6,55 · 10-34 joule · sec (quella attualmente considerata più esatta corrisponde invece a 6,626).
346,6 : 53°,13.. = 6,523.. ≈ hPlanck = 6,55
Come abbiamo detto, l’angolo di base della Piramide Chefren è molto simile all’angolo opposto al cateto maggiore del triangolo rettangolo con cateti di 3 e di 4 e ipotenusa di 5, che ha un seno di 0,8 ed è pari appunto 53°,130102. Però, se alteriamo minimamente le misure canoniche di questa celebre terna pitagorica, possiamo immaginare che le proporzioni della Piramide di Chefren corrispondano nel caso del cateto minore a c = 2,9979246, nel caso del cateto maggiore a 4, e nel caso dell’ipotenusa a 4,998755.. (la misura dell’ipotenusa che risulta dai due cateti). L’angolo che ne viene fuori sarebbe 53°,149.
In questo modo gli Antichi Egizi avrebbero trovato il modo di codificare architettonicamente la velocità della luce utilizzando un’approssimazione quasi perfetta di una terna pitagorica fondamentale.
- Anche il valore dell’angolo di base della Piramide Romboidale, pari a circa 54°30’, sembra contenere delle informazioni di gran rilievo scientifico. Dividendo i 360 gradi dell’angolo giro (che, è bene ricordarlo, corrispondono ai giorni “puri” del calendario Antico Egizio) per questo angolo, arriviamo a una discreta approssimazione della costante di Planck, mentre dividendo allo stesso modo la durata dell’anno solare arriviamo a una discreta approssimazione di (2/ɸ)6, che corrisponde a sua volta a un numero piuttosto particolare
360 : 54,30 = 6,629834.. ≈ h = 6,626
365,25 : 54,30 = 6,726519.. ≈ (2/ɸ)6 = 6,735676.. ≈ (mp – 1) · 10 = 6,6725 ≈ G = 6,672
Ma la cosa più importante sembra essere il fatto che, se sommiamo seno e coseno di quest’angolo, abbiamo la radice cubica del numero di Eulero, come possiamo vedere qui sotto
(cos. 54°,303… + sen. 54°,303…)3 = (0,583498… + 0,8121140)3 = 1,39561..3 = 2,7182818.. = e
Se poi trasformiamo numerologicamente l’angolo di circa 54° 30’, calcolato in gradi e sessantesimi di grado in quello calcolato in gradi e centesimi di grado, abbiamo un angolo pari a circa 54°,5. Se dividiamo questa cifra per 103, e vi aggiungiamo uno abbiamo
1 + (54,5 : 1000) = 1 + 0,0545 = 1,0545 ≈ ħ = 1,054571..
Anche l’angolo di base della Piramide di Micerino (circa 51°,367..) sembra contenere informazioni molto interessanti. La sua tangente è pari a 1,251199.., un numero molto simile a √π/2 = 1,25331.. (se la tangente fosse uguale a √π/2 l’angolo risulterebbe 51°,41417.. ≈ 50 + √2 = 50°,41421..). Di questo angolo sembra interessante anche il coseno, dato che
1/cos 51°,367.. = 1/0,624329616.. = 1,601718.. ≈ cu = 1,6022
Se invece al valore del coseno sommiamo quello del suo inverso, quella che otteniamo è una buona approssimazione di 2ħ2
cos 51°,367.. + 1/cos 51°,367.. = 0,624329616.. + 1,601718.. = 2,226047.. ≈ 2ħ2 = 2,224242..
L’angolo di base della Piramide Rossa è di circa 43°,35. Moltiplicandolo per 2 arriviamo a un angolo di circa 86°,7812…: anche in questo caso la somma di seno e coseno ci da il valore di ħ
0,998422… + 0,056149… = 1,054571.. = ħ
E qui possiamo notare che delle ottime approssimazioni di questo valore fisico fondamentale possiamo calcolarlo in almeno due modi partire dai numeri che furono codificati dagli Antichi Egizi nella Grande Piramide, vale a dire π e ɸ, come possiamo vedere qui sotto
9√ɸ = 1,054923.. ≈ ħ = 1,054571..
sen + cos + tg (22/7)/2 = 0,02742… + 0,99962… + 0,02743 = 1,054480.. ≈ ħ = 1,054571..
Parte Seconda: LA TRIGONOMETRIA COME CODICE SCIENTIFICO
- A conclusione di questa indagine sembra che possiamo affermare con un discreto fondamento empirico che gli Antichi Egizi hanno codificato nei loro monumenti sacri – in primo luogo nella Grande Piramide, ma anche in tutti gli altri – delle importanti nozioni scientifiche. Il metodo numerologico utilizzato sembra coinvolgere la trigonometria a base 360, che, via via che andiamo avanti nella nostra analisi, sempre di meno ci appare come il frutto di una scelta casuale e sempre di più come codice scientifico appositamente costituito, se non proprio come uno specchio della struttura matematica profonda dell’universo.
Infatti, cosa dobbiamo dire quando scopriamo che due dati empirici – che di solito siamo inclini a giudicare casuali e non ulteriormente spiegabili – l’errore minimo possibile nella determinazione di posizione e velocità di una particella e il quanto d’azione – risultano entrambi contenuti in un valore geometrico fondamentale che fino ad ora si era creduto completamente astratto e avulso dalla realtà empirica quale π?
Sopra abbiamo visto che una buona approssimazione della costante di Dirac può essere derivata in vario modo dai quattro numeri che furono codificati nelle misure fondamentali della Grande Piramide, vale a dire π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero. In particolare, l’ultimo che abbiamo visto era la sommatoria di seno, coseno e tangente di un angolo pari a πCheope/2.
Un fatto come questo significa, come minimo, che la formula per derivare il numero quantico principale (N) – che scriviamo n · h/2π dopo averla derivata per mezzo di faticose ricerche empiriche – avrebbe essere potuto derivata con un procedimento a priori condotto su basi esclusivamente trigonometriche. Persino il rapporto fra la costante di Planck e quella di Dirac, che è pari a ħ = h/2π adesso sappiamo che possiamo derivarlo per via trigonometrica. Infatti, la funzione che vediamo sotto da come risultato proprio 2π
Limx→0 [360 : (x : sin x)] = 360 : 57,295779513082.. = 2π
Quindi la classica formula della nostra fisica che abbiamo visto sopra – ħ = h/2π – potrebbe essere trasformata in una funzione esclusivamente trigonometrica, che, almeno in un certo senso, potrebbe interamente fare a meno di riferimenti alla realtà empirica.
- Un’obiezione che possiamo fare a questo ragionamento viene dal fatto che i numeri che abbiamo utilizzato fino ad adesso sono solo una parte, per quanto significativa, delle costanti che descrivono l’universo, cioè il loro numero caratteristico. Ma se vogliamo ricavare le potenze del 10, ecco che allora il rapporto con la realtà empirica si rende di nuovo necessario.
Ebbene, dobbiamo dire che, almeno per quanto riguarda la costante di Planck questo non è vero. Infatti, a partire da un’approssimazione di ħ – che comunque sia risulta anche uno dei suoi valori resi sperimentalmente possibili dal principio di indeterminazione – possiamo dedurre il valore di h – incluso le potenze del 10 – senza che la realtà empirica venga minimamente interrogata.
Conviene forse esporre il metodo della deduzione passo dopo passo. Come prima cosa, prendiamo l’approssimazione di ħ e la usiamo come divisore di -1, facendo dunque -1/ħ. Poi, facendo per 3 volte l’inverso del logaritmo del risultato che otteniamo, ne deriviamo un numero che interpreteremo numerologicamente come una tangente, da cui ricaviamo l’angolo connesso
tg x = inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -1/ħ) =
= inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -1/1,0544347222354897067751354561393) =
= inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -0,948375446..) = 4,3627437790316588045022941660628
x = 77°,0900390384797944467906236344
Orbene, se adesso andiamo a controllare il seno iperbolico di questo angolo, ecco che ci rendiamo conto che si tratta proprio dell’inverso del valore oggi giudicato più esatto della costante di Planck h, comprese la potenza del 10
sinh 77°,090039.. = 1,5092061575611228493812254753994 · 1033
1/sinh 77°,090039.. = 6,626.. · 10-34
Se usiamo l’approssimazione che abbiamo derivato sopra a partire dall’angolo di π/2 il risultato che raggiungiamo è senz’altro da considerarsi entro dei limiti sperimentalmente accettabili, dato che
-1/(sen + cos + tg π) = 1/-1,0544587889336236715.. = -0,948353800541889402683153..
tg x = inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -0,948353..) = 4,362797..
x = 77°,09019315686377419238544439876
1/sinh 77°,090193.. = 6,62497889.. 10-34
L’approssimazione di π che riusciamo a dedurre dal rapporto fra il numero caratteristico di h che abbiamo appena ottenuto e quello di ħ da cui siamo partiti pare veramente buono e, curiosamente, quasi identico a quello che poco sopra siamo riusciti a ottenere da c
(6,62497889.. : 1,054458788..)/2 = 3,141411954.. ≈ (c-1√Ln c) · c = 3,141428470.. ≈
≈ π = 3,141592653..
Possiamo infine notare che prendendo la tangente di 77°,090.. e trasformandola numerologicamente in un angolo, dall’inverso del seno di questo nuovo angolo così ricavato possiamo trarre una buona approssimazione del numero caratteristico del raggio classico del protone rp = 1,535, come anche di π + 10
x = tg 77°,090039.. = 4°,3627437790316588045022941660629
sen 4°,362743.. = 0,07607068466007144539865045560516
6√1/0,076070684.. = 6√13,145668.. = 1,536256.. ≈ rp = 1,535
(1/0,076070684..) – 10 = 13,145668.. ≈ 10 + π = 13,141592.. ≈ 10 + (2 + Ln πCheope) = 13,145132..
- Dobbiamo inoltre notare che buone approssimazioni di ħ le possiamo ricavare anche per vie diverse, ma non meno scientificamente e matematicamente interessanti, di quelle che, diciamo così, passano per π. Quella che fra tutte pare la più significativa è quella a cui possiamo arrivare attraverso la trasformazione numerologica di 2cu = 3,2044 in un angolo pari a 3°,2044, come possiamo vedere qui sotto
x = 2cu = 3°,2044; sen + cos 3°,2044 = 1,054422189.. ≈ ħ = 1,054571688..
L’approssimazione di h che possiamo ottenere per mezzo di quest’approssimazione di ħ sembra di nuovo restare entro i limiti consentiti dal principio di indeterminazione
tg x = inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -1/1,054422189..) =
= inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -0,948386718747..) = 4,362715715..
x = 77°,0899587..
sinh 77°,0899587.. = 1/6,626531.. · 10-34 ≈ 1/h = 1/6,626.. · 10-34
Un altro valore interessante di ħ lo possiamo ottenere per mezzo della x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo qui sotto
x64 = x + 2 = 3,0174059596046100301486469665822; x = 1,017405959604610030148646966;
Ebbene, se eleviamo x = 1,017405.. alla potenza del diametro classico del protone (dp = 3,07) otteniamo un valore di ħ in grado di farci arrivare di nuovo a un’ottima approssimazione di h
1,017405..3,07 = 1,05440493.. ≈ ħ = 1,054571688..
tg x = inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -1/1,05440493..) = 4,3626770882178721125504067834105
x = 77°,089848300400557378212735849742
1/sinh 77°,089848.. = 6,627263.. · 10-34 ≈ h = 6,626.. · 10-34
Queste connessioni paiono già di per sé stesse qualcosa di molto rilevante, ma non sono ancora tutto. Infatti se prendiamo il valore dell’angolo pari a 77°,090193.. e ne facciamo il prodotto fattoriale, scopriamo che esso è pari al seno iperbolico di un angolo un po’ particolare
sinh x = 77,090193.. n! = 2,1495170058908463028249438433108 · 10113
x = 261°,650505..;
1/√(261,650505../102) = 1/√2,616505.. = 1/1,6175614.. = 0,61821453.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,61859034..
Si nota inoltre che l’angolo 77,090193.. è molto vicino alla x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo sotto
Ln x = tg x = 4,3442863164220668163248804578708
x = 77°,037037786686931.. ≈ 77°,090039038479794.. (-0,053001251792863237800162771538
L’inverso della differenza fra i due valori divisa per 6 corrisponde in modo quasi perfetto con 2 + Ln π
(1/0,053001251..)/6 = 18,867478../6 = 3,144579817.. ≈ 2 + Ln π = 3,144729885.. (-1,5006.. · 10-4
Anche in questo caso la differenza fra l’approssimazione e il numero esatto pare avere un significato, anche se questa volta “solo” di tipo numerologico, dato che il suo inverso non può ricordare il biblico Numero della Bestia (666)
1/-1,50068791.. · 10-4 = -6663,610..
- Qualcuno potrebbe pensare che questa relazione – che davvero viene spontaneo definire “iperbolica” – fra h e ħ, capace addirittura di bypassare anche π, possa essere il frutto di un caso. Un caso tanto incredibile da parere infine ridicolo, quasi un’improvvisa intromissione della commedia dell’assurdo nella serietà della fisica. Ma, comunque sia, infine, solo un caso. Però, se andiamo a controllare, vediamo che relazioni di questo genere si possono riscontrare anche nel caso di altre costanti, sia che ne prendiamo i numeri caratteristici (cioè escludendo le potenze del 10), sia nel caso che ne prendiamo in considerazione i valori assoluti (cioè includendo le potenze del 10).
Per iniziare la nostra analisi, possiamo partire dal numero caratteristico della carica unitaria elevato al quadrato (cu2 = 1,60222 = 2,56704484). Questo è un valore molto interessante perché coincide in modo quasi perfetto con il prodotto numerologico dei numeri caratteristici della massa e del raggio classico del protone (mp · rp = 1,535 · 1,6725 = 2,5672875). Dunque, nel mentre procediamo nella nostra analisi, il lettore dovrà tenere presente che i risultati che conseguiamo valgono anche per quest’altro dato.
Dal punto di vista numerologico, noi possiamo interpretare cu2 o come un angolo o come un seno iperbolico. Se lo interpretiamo come un seno iperbolico, vediamo che cu2 corrisponde a un angolo pari a
sinh x = 2,56704484; x = 1°,671847..
Subito si nota che questo angolo è molto particolare, dato che, dal punto di vista numerologico, esso va davvero molto vicino al numero caratteristico della costante che definisce la massa del protone, dato che
1°,671847.. ≈ mp = 1,6725
Inoltre – e questo sembra un fatto molto importante – se aggiungiamo 1 al valore dell’angolo possiamo poi dedurne – ovviamente sempre per via numerologica – un valore assoluto di h molto vicino a quello che fu calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso (hPlanck = 6,55 ∙ 10-34 joule ∙ sec)
tg x = [√(1 + 1,671847..)]3 = 4,3673441823127411700155388049472
x = 77°,10318299464245442893316106092
1/sinh 77°,103182.. = 1/1,529174.. 1033 = 6,539478.. ∙ 10-34 ≈ hPlanck = 6,55 ∙ 10-34
Se adesso consideriamo invece cu2 come un angolo pari a 2°,56704484.. ci aspetta un’altra sorpresa, dato che il suo seno iperbolico corrisponde in modo praticamente esatto a 4ɸCheope
x = cu2 = 2°,56704484; sinh 2°,56704484 = 6,475253890.. ≈ 4ɸCheope = 6,47436136..
Tutto questo sistema di connessioni sembra di per sé stupefacente o addirittura quasi incredibile: come è possibile che in un solo numero siano possa stare in diretta connessione trigonometrica con così tanti elementi della fisica e della matematica? Eppure dobbiamo trattenere il nostro stupore, perché vi sono altre connessioni ancora da esplorare. Infatti, se andiamo a prendere il coseno iperbolico di cu2 = 2°,56704484, noi vediamo che esso contiene un’altra nozione molto importante, vale a dire il numero caratteristico della costante di Planck così come fu calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso
cosh 2°,56704484 = 6,552015.. ≈ hPlanck = 6,55
- Un altro elemento di straordinarietà di queste relazioni è che esse sembrano potersi invertire in modo speculare, almeno se siamo disposti ad accettare un margine di errore – che del resto la meccanica quantistica non solo ci consente ma addirittura ci prescrive come necessario. Poco sopra abbiamo visto che in corrispondenza di un seno iperbolico pari a cu2 (sinh x = 2,56704484) abbiamo trovato un angolo molto vicino al numero caratteristico della massa del protone (x = 1°,671847.. ≈ mp = 1,6725). Adesso scopriamo che la costante che descrive la massa del protone sembra mantenere un significato scientifico-matematico anche se teniamo conto della potenza del 10. Infatti, sia il seno, che il coseno che la tangente dell’angolo che otteniamo per mezzo della funzione 1/sinh mp sembrano delle funzioni molto ben approssimate di ɸ e di π, come possiamo vedere qui sotto
sinh x = 1/mp = 1/1,6725 · 10-27 = 597907324364723467862481315,39611
x = 62°,348625178378932314742098103575;
cos 62°,348.. = 0,46409047188384471805523196911689
cos 62°,348.. + 1/cos 62°,348.. = 0,464090.. + 1/0,464090.. = 2,618842746.. ≈ ɸ2 = 2,618033988..
L’approssimazione di ɸ che possiamo ricavarne è pari a
√2,618842746.. = 1,618283889394.. ≈ ɸ = 1,618033988749..
Nel caso del seno abbiamo che
sen 62°,348.. = 0,88578780410808904703597931630208.. ≈ (2/ɸ)3 – 1 = 1,888543819..
L’approssimazione di ɸ che possiamo ricavarne è pari
1/[3√(1 + sen 62°,348..) : 2] = 1/[3√(1 + 0,885787..) : 2] = 1/[3√(1 ,885787..) : 2] =
= 1/(1,235466406.. : 2) = 1/0,617733203.. = 1,618821839..
Se aggiungiamo 1 a quest’approssimazione di ɸ che abbiamo appena ottenuto, arriviamo a un risultato praticamente identico all’approssimazione di ɸ2 che abbiamo ottenuto per mezzo del coseno
{1/[3√(1 + sen 62°,348..) : 2]} + 1 = 1,618821839.. + 1 = 2,618821839.. ≈
≈ cos 62°,348.. + 1/cos 62°,348.. = 2,618842746..
Quanto alla tangente, quella che scopriamo è una funzione di π, dato che
1/tg 62°,348.. · 6 = 1/1,908653285.. · 6 = 0,523929624.. · 6 = 3,143577.. ≈ πCheope = 3,142857..
Il raggio della prima orbita 1bohr pare avere a sua volta delle connessioni con il numero caratteristico della costante che descrive la massa del protone, di nuovo attraverso la mediazione del seno iperbolico
sinh x = 1/1bohr = 18867924528,301886792452830188679
x = 24°,353876382936371683489362688641
√tg 24°,353876.. = √0,452649.. = 0,672792.. ≈ mp – 1 = 0,6725
La somma di seno e coseno di quest’angolo, elevata alla quarta potenza, ci dà un’ottima approssimazione del numero caratteristico del diametro classico del protone. Si nota che la parte decimale corrisponde ancora una volta a un valore molto vicino a (mp – 1)/10 = 0,06725
(sen + cos 24°,353876..)4 = 1,323387..4 = 3,0672388.. ≈ dp = 3,07
Invece, la somma di seno, coseno e tangente di 24°,353876.. si lega alla x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo qui sotto
xx = x + 1 = 2,7767750400967.. x = 1,776775040097..
sen + cos + tg 24°,353876.. = 1,776036921.. ≈ 1,776775040097..
- Quel che pare emergere con chiarezza dalle nostre analisi, è quello che potremmo definire come un sistema armonico di connessioni fra numeri fondamentali della fisica e della matematica. Un sistema armonico di cui in questo momento non sappiamo dire fino in fondo che parte possa avere la trigonometria: essa ne è il suo fondamento oppure ne è una sua parte? Lo costituisce oppure ne è costituita? Ha davvero senso – in un contesto di questo genere – parlare di una differenza fra matematica pura, fisica, e trigonometria?
Però ci rendiamo conto che non ostante tutte le connessioni rilevanti che abbiamo fino ad adesso registrato, siamo certi che – date le inclinazioni intellettuali e i pregiudizi culturali tipici del nostro tempo – ci sarà senz’altro qualcuno che sarà incline a rimanere attaccato all’idea che – comunque sia – tutto quel che abbiamo visto fino ad adesso non è solo frutto di un caso. Ma questo genere di dubbio tenderà senz’altro ad attenuarsi, quando scopriamo che quel che abbiamo visto accadere nel caso della costante di Planck, della carica unitaria e della massa del protone, accade anche nel caso delle altre costanti che descrivono l’atomo, che, una volta inserite nel sistema trigonometrico attraverso, diciamo così, la porta del seno iperbolico, generano degli angoli che sembrano in ogni caso avere delle caratteristiche rilevanti.
Cominciando dal raggio classico dell’elettrone re = 1/2,81777.. · 10-15 m, subito ci possiamo rendere che anche in questo caso l’angolo che otteniamo pare avere una connessione con ɸ, del tutto simile a quella che abbiamo trovato nel caso della massa del protone
sinh x = 1/re = 1/2,81777.. · 10-15 = 354890569492896,86525159966924199
x = 34°,195977783494000212233429722957
cos 34°,195977.. = 0,82712003100748174203246147109593
√[(1/cos 34°,195977..) – cos 34°,195977..] = √0,381894335.. = 0,617975998.. ≈ 1/ɸ = 0,618033988..
L’approssimazione di ɸ che possiamo ricavare è quella che vediamo qui sotto, del tutto simile a quelle che abbiamo ricavato a partire dalla massa del protone e dalla carica unitaria
1/0,617975998822103.. = 1,618185822.. ≈ ɸ = 1,618033988..
Anche nel caso della massa del neutrone mn = 1/1,6748 · 10-27 kg troviamo dei rapporti significativi, alcuni dei quali sono però di tipo un po’ diverso da quelli che abbiamo riscontrato fino ad adesso. Presi in sé e per sé possono essere considerati un po’ generici e casuali, ma dato il contesto sembra esserci una buona probabilità che anch’essi in qualche modo possano far parte di quel sistema armonico che abbiamo riscontrato fino ad adesso
sinh x = 1/mn = 1/1,6748 · 10-27 = 597086219250059708621925005,97086
x = 62°,347250936236327566823088293247
cos 62°,347.. + 1/cos 62°,347.. = 0,464111717.. + 1/0,464111717.. =
2,618765354.. ≈ ɸ2 = 2,618033988749894848.. (+7,313658.. · 10-4
In questo caso sembra che anche la differenza fra l’approssimazione ottenuta e il valore effettivo di ɸ2 possa avere, diciamo così, un significato armonico, dato che la radice sedicesima del suo inverso risulta molto vicina a π/2
16√1/7,3136587429153378589831614942474 · 10-4 = 1,570332.. ≈ π/2 = 1,570796..
- Anche il seno iperbolico pari a 1/mn in quanto tale sembra in questo caso avere un significato, dato che facendone la radice 128sima arriviamo a un’approssimazione di ɸ
128√1/1,6748 · 10-27= 128√597086219250059708621925005,97.. =
= 1,618779848.. ≈ ɸCheope = 1,61859034..
Quest’approssimazione di ɸ differisce veramente di poco da quella che viene fuori sottraendo 1 a quella di ɸ2 che abbiamo ottenuto da cos 62°,347.. + 1/cos 62°,347..
128√1/1,6748 · 10-27 – [(cos 62°,347.. + 1/cos 62°,347..) – 1] =
1,618779848.. – (2,618765354.. – 1) = 1,618779848.. – 1,618765354.. = 0,000014494..
Anche facendo per quattro volte consecutive il logaritmo naturale di 1/1,6748 · 10-27 arriviamo a un risultato che pare significativo, e altrettanto significativo pare – diciamo così – il logaritmo semplice, dato ce ne possiamo ottenere un’ottima approssimazione del numero caratteristico della lunghezza di Planck ℓP = 1,616252.. · 10-35 m (la lunghezza di Planck sarebbe quel “quantum” di spazio al di sotto del quale la parola “distanza” non ha più alcun senso fisico)
Ln 1/1,6748 · 10-27 = 61,654103.. ≈ (ℓP – 1) ∙ 102 = 61,6252..
Ln (Ln (Ln (Ln (Ln 1/1,6748 · 10-27) = -1,055563.. ≈ ħ = 1,054571..
E qui è opportuno soffermarci sul fatto che potremmo ricostruire la massa del protone per una via assolutamente astratta. Se infatti prendiamo quel numero che sottratto al suo inverso, ci da 6, noi vediamo che lo possiamo dedurre direttamente dal 10 (cioè da uno dei numeri che sono stati codificati nella Grande Piramide) nel modo che segue
1/(√10 – 3) = 1/(3,162277660168.. – 3) = 1/0,162277660168.. = 6,162277660168..
6,162277660168.. – 1/6,162277660168.. = 6,162277660168.. – 0,162277660168.. = 6
Ebbene, se noi prendiamo questo numero e lo moltiplichiamo per -3, e ne facciamo l’inverso, facendo l’inverso del logaritmo naturale possiamo arrivare a un’approssimazione di ħ estremamente vicina a quella che abbiamo dedotto a partire dalla costante che descrive la massa del neutrone, dato che
-1/inv. Ln [1/(-3 · 6,162277660168..)] = -1/inv. Ln (1/-18,486832980..) =
-1/e-0,054092553.. = 1/0,947344422.. = -1,0555822.. ≈ Ln (Ln (Ln (Ln (Ln 1/1,6748 · 10-27) = -1,055563…
L’approssimazione della massa del neutrone che possiamo ottenere a partire da questo numero sembra piuttosto buona
1/inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -1,055582295..) =
= 1/595704607411712513087898950,72054.. = 1,6786.. · 10-27 ≈ mn = 1,6748 · 10-27
- Le relazioni che ci apprestiamo ad esporre d’ora in avanti sembrano un po’ meno pregnanti di quelle che abbiamo visto fino ad adesso, ma dato il contesto, ci sembra il caso di non trascurarle del tutto, dato che ulteriori progressi nel nostro lavoro di indagine potrebbero ben presto rivelarci dei significati capaci di farcele apparire in una luce del tutto diversa.
Nel caso della costante della massa dell’elettrone, il valore significativo sembra quello dell’angolo che otteniamo a partire dalla trasformazione numerologica del suo inverso in un seno iperbolico. Infatti, da esso possiamo ricavare una buona approssimazione sia della carica unitaria sia della velocità della luce, come possiamo vedere qui sotto
sinh x = 1/me = 1/9,1091.. · 10-31 = 1097803295605493407691209889012,1
x = 69°,864011149519473623667309087429
9√69,864011.. = 1,602939.. ≈ cu = 1,6022
2 + [Ln (Ln (Ln (Ln 69,864011..) · -1] = 2 + [-0,9972970.. · -1] = 2,9972970.. ≈ c = 2,9979246
Possiamo però notare che la tangente di quest’angolo è piuttosto vicina al numero di Eulero
tg 69°,864011.. = 2,727319056202.. ≈ e = 2,718281828459..
Anche nel caso del raggio classico del protone sembra che il numero significativo sia quello dell’angolo, dato che la sua radice 81sima corrisponde a un’ottima approssimazione di π/3
sinh x = 1/1,535 · 10-18 = 651465798045602605,86319218241042
x = 41°,711148473413607145595830769236
(81√41,711148..) · 3 = 1,047136053687.. · 3 = 3,141408.. ≈ π = 3,141592.. (-1,844925.. · 10-4
Anche in questo caso, come abbiamo fatto oramai molte altre volte durante questo lavoro, dobbiamo notare che la differenza fra l’approssimazione e il suo valore esatto potrebbe avere un significato, dato che la radice 162sima del suo inverso corrisponde a una buona approssimazione della costante di Dirac
162√1/1,8449252829481615995484190150288 · 10-4 = 1,054507113.. ≈ ħ = 1,054571688
- Possiamo infine prendere in considerazione alcuni dei rapporti spaziali che si instaurano fra i raggi delle diverse entità che costituiscono l’atomo. Come primo esempio, prenderemo il rapporto fra il raggio della prima orbita dell’elettrone intorno al nucleo (pari a 1bohr = 0,53 · 10-10 m) con quello dell’elettrone stesso (re = 2,8179403267 · 10– 15 m), intendendo numerologicamente il risultato come un seno iperbolico, da cui possiamo ovviamente dedurre l’angolo connesso
sinh x = 1bohr/re = 0,53 · 10-10 : 2,8179403267 · 10– 15 = 18808,0632…
x = 10°,535188..
Ebbene, già a prima vista notiamo che quest’angolo ha qualcosa di particolare, dato che corrisponde a un funzione particolare del raggio classico del protone, che ci diventerà familiare a partire da The Snefru Code parte 13
10°,535188.. ≈ 10 + (rp – 1) = 10,535
Se poi quello stesso rapporto lo dividiamo per 10, il risultato che possiamo ottenere sembra ancora più significativo, dato che la tangente dell’angolo che otteniamo corrisponde con approssimazione veramente buona al logaritmo naturale di π meno 1
sinh x = (1bohr/re)/10 = 18808,0632…/10 = 1880,80632..
x = 8°,2326031087251048039890786155125
tg 8°,232603.. = 0,14468309682061776646402594886423 ≈ Ln π – 1 = 0,144729885.. (-4,67.. · 10-5
Anche in questo caso la differenza fra l’approssimazione che abbiamo ottenuto e il valore esatto di Ln π – 1 potrebbe avere un significato, dato che ci porta, diciamo così, dalle parti del raggio classico del protone
16√(4,6789028782407679401402488824992 · 10-5) = 0,536270.. ≈ rp – 1 = 0,535
La radice 27sima dell’inverso invece ci porta di nuovo piuttosto vicini a un funzione del 10 e di π, dato che
27√(1/4,678902.. · 10-5) = 27√21372,531.. = 1,4466552.. ≈ (Ln π – 1) · 10 = 1,44729885..
- Anche dal rapporto fra il raggio della prima orbita e quello del protone possiamo ottenere delle connessioni interessanti
1bohr/rp = 0,53 · 10-10 : 1,535 · 10-18 = 34527687,296
In un primo senso, possiamo notare che questo numero è singolarmente vicino alla durata di un Anno delle Eclissi (346,6 giorni solari) moltiplicato per 105. In effetti, se solo adottassimo un valore leggermente diverso della prima orbita (uno di quelli però resi sperimentalmente possibili dal principio di indeterminazione), la connessione sarebbe perfetta dato che
0,532031 · 10-10 : 1,535 · 10-18 = 34660000 = 346,6 · 105
Un’osservazione di questo genere sul momento può sembrarci strana o del tutto estemporanea, ma vedremo andando avanti nel lavoro che cose di questo genere ci diventeranno familiari. In particolare, nella seconda appendice, avremo modo di renderci conto che i cicli astronomici che furono importanti per gli antichi sembrano davvero avere un significato scientifico che, con ogni probabilità, nella loro cultura andava accanto a quello sacro.
Comunque sia, se prendiamo il valore di 1bohr/rp che abbiamo ottenuto con il valore ottenuto sperimentalmente accertato e lo trasformiamo numerologicamente in un seno iperbolico, notiamo che corrisponde a un angolo con una tangente pari all’inverso del numero caratteristico del diametro classico del protone (che ovviamente è pari a 2rp = 2 · 1,535 = 3,07)
sinh x = 1bohr/rp = 34527687,296..; x = 18°,050419..;
1/tg 18°,050419.. = 1/0,325892.. = 3,068493.. ≈ dp = 3,07
Se dividiamo per 10 il risultato di 1bohr/rp e poi facciamo la radice il risultato che otteniamo appare anche più significativo, dato che di nuovo vediamo ritornare fuori un valore strettamente connesso al valore del logaritmo naturale di π: quello stesso che abbiamo ottenuto a partire da 1bohr/re
√(34527687,296… : 10) = √3452768,7296… = 1858,162729..
sinh x = 1858,162729..; x = 8°,2204907513890471562177083013665
tg 8°,220490.. = 0,14446727.. ≈ Ln π – 1 = 0,144729885..
cos 8°,220490.. = 0,989725159.. ≈ πCheope2/10 = 0,987755102..
Inoltre, ben più importante di questo sembra il fatto che la radice ottava del rapporto fra il raggio dell’orbita dell’elettrone e il raggio classico del protone differisce di soli 4/1000 da quel numero la cui radice è uguale al numero stesso meno 4. Questo significa che, alterando 1bohr e rp di valori ben al di sotto di quelli consentiti dal principio di indeterminazione, noi potremmo portare a coincidere 8√(1bohr/rp)/10 e la x in grado di soddisfare l’equazione √x = x – 4
8√(1bohr/rp)/10 = 8√3452768,729641693.. = 6,565547326713803529755931462487
x = 6,561552812808830274910704927987
√x = x – 4 = 2,561552812808830274910704927987
A sua volta, la radice cubica di 6,561552812.. differisce di pochissimo da quel numero che, elevato alla potenza di sé stesso, ci dà 2ɸ
³√6,561552812.. ³√6,561552812.. = 1,872128018..1,872128018.. = 3,2347967655237935623709890057331
Il numero esatto è quello che vediamo qui sotto
1,8723694866087.. 1,8723694866087.. = 3,2360679774997.. = 2ɸ
Notiamo anche che 6,561552812.. va davvero molto vicino al valore del numero caratteristico di h che fu calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso (hPlanck = 6,55), ma anche questo fatto appare banale in relazione a un’altra delle sue, diciamo così, caratteristiche armoniche, di cui possiamo renderci conto osservando la formula sottostante
8√(6,561552812.. + √6,561552812..) = 8√9,123105625.. = 1,318310884.. ≈ 1 + 1/π = 1,318309886..
- Concludiamo con una nota che solo in apparenza è di pura matematica, dato che immediatamente si disveleranno i suoi rapporti con il lavoro che abbiamo svolto fino ad adesso.
Il seno iperbolico di un angolo qualsiasi x ha un rapporto con il suo logaritmo. Prendiamo infatti un valore che abbiamo già usato, l’inverso della costante di Planck h, pari a
1/h = 1/6,626.. · 10-34 = 1,5092061575611228493812254753994 · 1033
Ebbene, abbiamo visto che questo valore corrisponde al seno iperbolico di
sinh x = 1/h; x = 77°,0900390384797944467906236344
Ma se del seno iperbolico facciamo il logaritmo, vediamo che esso va piuttosto vicino al valore dell’angolo che abbiamo ottenuto, dato che
Ln 1,5092061575611228493812254753994 · 103 = 76,396891857919849137373391512942
La differenza con l’angolo è pari a
76,396891857919849.. – 77°,090039038479794.. = -0,69314718055994530941723212145842
Ebbene, questo numero ha almeno 2 caratteristiche notevoli. La prima è che esso, con il crescere del valore di x, tende a divenire costante. Tanto per dare un’idea, la differenza fra il logaritmo del seno iperbolico dell’angolo pari a 10° e l’angolo stesso rimane identica a quella dell’angolo pari a 77° per 9 cifre (ovvero fino ai miliardesimi). Per veder cambiare la terza cifra dopo la virgola occorre scendere fino a un angolo pari a circa 3°,7 gradi.
La seconda è che, se facciamo l’inverso del logaritmo naturale di questa differenza, vediamo che esso corrisponde al coseno di un angolo molto caratteristico, dato che
inv. Ln -0,69314718055994530941723212145818 = 0,5 = cos 60°
- Questo angolo, a parte tutto il suo enorme e ben conosciuto significato geometrico, sembra capace di stabilire relazioni significative con almeno due costanti scientifiche. Infatti, se eleviamo 10 alla potenza del suo seno, quel che viene fuori è un numero che si trova a mezza strada fra il numero caratteristico della costante gravitazionale e di quello della massa del protone
10sen 60°/2 = 100,866025403.. = 3,672784.. ≈ G – 3 = 3,672 ≈ mp + 2 = 3,6725
Si nota che i due numeri che lo separano dai valori esatti sono rispettivamente il terzo e il quarto della serie di Fibonacci (che, come tutti sappiamo, è intimamente connessa con il numero d’oro), e dunque la loro somma da luogo al quinto, che sarebbe il 5, dalla cui radice si può derivare ɸ in modo piuttosto diretto e viceversa (dato che ɸ = (√5 + 1)/2; 5 = (ɸ + 1/ɸ)2).
Altre connessioni con costanti della fisica emergono se utilizziamo il seno di 60° in connessione con il numero di Eulero, oppure aggiungendovi uno ed elevando il risultato alla potenza di sé stesso
√(e · sen 60°) = √2,354101.. = 1,534308.. ≈ rp = 1,535
2 · [(tg 60°)2 + (e/sen 60°)/10] = 2 ∙ 3,313880.. = 6,627760..
(1 + sen 60°)1 + sen 60°/2 = 1,866025.. 1,866025../2 = 3,202867../2 = 1,601433.. ≈ cu = 1,6022
Inversamente, possiamo ottenere un’ottima approssimazione del numero di Eulero a partire dal seno di 60° nel modo che vediamo qui sotto
{[9√(1 + sen 60°) – 1] · 10} + 2 = 2,717708728800.. ≈ e = 2,718281828459.. (-5,73.. · 10-4
Sembra piuttosto buona anche l’approssimazione di π che riusciamo a ottenere da questo stesso angolo che, come tutti sappiamo, non è altro che una funzione del 3
√(tg 604 + sen 60°) = √(9 + 0,866025403..) = √9,866025403.. = 3,141022.. ≈ π = 3,141592..
Sul piano matematico questo vuol dire che
√(32 + √3/2) = 3,141022.. ≈ π = 3,141592..
Inoltre, a partire dal seno di 60° possiamo arrivare a un’ottima approssimazione di ɸCheope, un numero che, come abbiamo visto abbondantemente fino ad adesso, sembra avere un significato scientifico di cui fino ad adesso non sospettavamo nulla (quello geometrico invece, almeno in parte, era già noto da molti secoli)
Ln (Ln (Ln (sen 60° · 10) = Ln (Ln (Ln 8,660254..) = -0,261979761.. ≈ -ɸ2/10 = -0,26180339…
A partire da quest’approssimazione di ɸ2/10 possiamo facilmente arrivare a quell’approssimazione di ɸCheope di cui dicevamo sopra
√(-0,2619797617969.. · -10) = √2,619797617.. = 1,618578888398.. ≈ ɸCheope = 1,61859034..
Da quel che abbiamo visto sopra, è facile capire che a partire da ɸCheope possiamo arrivare al seno di un angolo vicinissimo a quello di 60° (di fatto risulta pari a 59°,999388..). Ma e anche a partire da ɸ2 possiamo arrivare a un’ottima approssimazione di questo stesso angolo fondamentale, come possiamo vedere qui sotto
inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln -ɸ2/10) = 8,6627920523986648040438170753434
8,66279205../10 = 0,866279205.. = sen 60,029096301986660558834116477316
- Inoltre seno, coseno e tangente dell’angolo di 60° sembrano avere delle caratteristiche armoniche molto simili a quelle che π, ɸ, il numero di Eulero, il 10 e le costanti della scienza empirica hanno mostrato di avere fra di loro. Per esempio, a partire dal seno di 60° possiamo costruire la x in grado di soddisfare la, diciamo così, “equazione armonica” che possiamo vedere qui sotto
x – √x = 1/2 x = 1,8660254037844386467637231707529
1,8660254037844386467637231707529 – 1 = sen 60°
Sembra anche molto notevole il fatto che l’inverso di 1 + sen 60° risulti pari a un’ottima approssimazione del raggio classico del protone meno 1, dato che
1/1,8660254.. = 0,535898.. ≈ rp – 1 = 0,535
Un’altra connessione con le costanti della fisica viene fuori quando, elevando 1 + cos 60° alla potenza di sé stesso, scopriamo che si tratta di una buona approssimazione della carica unitaria moltiplicata per 2
1,8660254..1,8660254.. = 3,202867.. ≈ 2cu = 3,2044
Inoltre, questo numero mostra una “caratteristica armonica” paragonabile a quella del numero d’oro. Come noto, l’inverso del numero d’oro è identico al numero d’oro, e ad cambiare è solo la prima cifra (1/1,618033.. = 0,618033..). Nel caso di √(sen 60° + 1), a cambiare è solo la seconda cifra, come possiamo vedere qui sotto
√1,866025403784.. = 1,366025403784.. = sen 60° + cos 60° = cos 60° – sen 60° + tg 60° =
1 + (cos 60° – sen 60°) = (cos 60° + sen 60°) = 1,366025403784..
Parte Terza: ALTRE CONNESSIONI FRA I VALORI CARATTERISTICI DELLE COSTANTI SCIENTIFICHE E PUNTI DI UNICITÀ DELLA TRIGONOMETRIA E ALCUNI RAPPORTI NUMEROLOGICI CON I CICLI COSMICI SACRI AGLI ANTICHI EGIZI
1.Lo riconosciamo: tutto quel che abbiamo visto fino ad adesso – per tutto quello che è e per tutto quello che significa – appare più il frutto della fantasia di uno scrittore di fantascienza che di un paziente e a volte perfino un po’ pedante e noioso lavoro di analisi matematica. La Grande Piramide sarebbe dunque la proiezione-codificazione architettonica di una teoria fisico-matematica più avanzata di quelle attualmente in voga nell’Occidente moderno: chi, se non un pazzo, può credere di aver visto le prove matematiche di qualcosa del genere?
In effetti, la sensazione che si può aver avuto, rialzando lo sguardo al termine della lettura delle pagine precedenti, può essere quella di chi, dopo aver scambiato un sogno per realtà, apre gli occhi e guardandosi intorno, un po’ rassicurato e un po’ deluso, ritorna a distinguere la realtà dall’illusione.
Ma, in questo caso particolare, sembra che dobbiamo renderci disponibili a invertire il nostro punto di vista, e a prendere sul serio l’ipotesi contraria: ovvero, che tutto quello che fino ad adesso avevamo definito “la realtà” non è stata altro che un’illusione, e tutto quel che avevamo creduto un’illusione è invece la solida realtà.
Infatti, che in questo caso siamo in contato con la solida realtà di un codice trigonometrico-matematico fattosi architettura ce lo conferma il fatto che quelli che possiamo definire come “punti caratteristici”, oppure “punti di unicità” della trigonometria sembrano contenere sistematicamente dei numeri importanti e per la matematica e per la fisica. Le connessioni che a volte si riescono a trovare sono davvero vertiginose. In più di un caso si fa davvero fatica a credere che di matematica si tratti, e non di stregoneria. Per fare un esempio, esiste un angolo la cui tangente elevata al quadrato è pari a 1/10 del valore dell’angolo stesso (è quello stesso angolo che, diviso per la sua tangente, ci da un valore pari a 10 volte la tangente)
(tg x)2 = x/10 = 6,918382772385..; x = 69°,18382772385..
Ebbene, se eleviamo il numero di Eulero al valore di quest’angolo e poi lo dividiamo per 1030 ci aspetta una sorpresa di quelle che tendono a lasciare senza fiato, dato che troviamo il valore della costante di Dirac elevato al quadrato, con una differenza di poco superiore ai 6 milionesimi
e69,18382772385../1030 = 1,11212759619860470.. ≈ ħ2 = 1,112121445131169344.. (-0,00000615106..
Oppure, esiste un angolo x la cui tangente è pari alla somma di seno e coseno moltiplicata per c = 2,9979246
tg x = c · (sen x + cos x); x = 74°,7946954..
Ebbene, come prima cosa possiamo notare che la metà della tangente elevata alla potenza di sé stessa ci da un risultato molto vicino al diametro classico del protone,
tg 74°,7946954.. = 3,679265122..
(3,679265122../2)(3,679265122../2) = 1,839632561..1,839632561.. = 3,069078.. ≈ dp = 3,07
Invece, se facciamo la radice c² del suo valore nominale otteniamo un’ottima approssimazione del numero caratteristico della lunghezza di Planck ℓP = 1,616252.. · 10-35 m
c² √74°,7946954.. = 1,616204.. ≈ ℓP = 1,616252..
Anche l’angolo la cui tangente risulta pari a 4 volte la somma di seno e coseno sembra piuttosto interessante. Però, le connessioni che si creano paiono di tipo puramente geometrico- matematico, e, almeno su un piano immediato, non sembrano avere un rilievo scientifico
tg x = 4 · (sen x + cos x); x = 78°,086016..
Questo angolo possiede una serie di caratteristiche armoniche, ma quella più rilevante sembra il fatto che il suo seno, elevato alla quarta potenza, ci da la tangente di un angolo pari a circa 222°,50, vicinissimo a quello corrispondente alla sezione aurea dell’angolo giro, mentre diviso per la sua tangente ci da un risultato pari a circa 10 + 4ɸ
tg x = sen 78°,086016..4 = 0,978458628..4 = 0,916578929462..
x = 222°,507715321.. ≈ 360°/ɸ = 222,492235949.. (+0,015479..
78°,086016.. /tg 78°,086016.. = 16,475210091.. ≈ 10 + 4ɸCheope = 16,47436136..
- Ma l’esempio forse più significativo è quello che troviamo in corrispondenza di quell’angolo caratterizzato dal fatto che sottraendo alla tangente la somma di seno e coseno otteniamo 0. Quest’angolo è quello che vediamo qui sotto
tg x = sin x + cos x = 1,395336994464..; x = 54°,3718624597..
Ebbene, in primo luogo, possiamo notare che dividendo l’angolo giro per questo angolo particolare, otteniamo un valore molto vicino alla costante di Planck
360° : 54°,3718624597.. = 6,621071.. ≈ h = 6,626 (-0,00492..
In secondo luogo, dobbiamo notare che la tangente di 54°,3718624597.. è praticamente identica alla radice cubica del numero di Eulero. Quindi, anche a partire dal numero di Eulero possiamo ottenere il valore caratteristico della costante di Planck per via trigonometrica
tg x = 3√e = 1,395612425..; x = 54°,377216765766457143046480646494
360° : 54°,377216765.. = 6,620419.. ≈ h = 6,626
E qui è davvero molto interessante il fatto che la differenza fra i due angoli corrisponde molto bene al raggio classico del protone
54°,3718624597.. – 54°,377216765.. = 0,005354.. ≈ (rp – 1)/102 = 0,00535
Si nota anche che l’inverso di 54°,3718624597.., se lo moltiplichiamo per 102, ci consente di ottenere un numero un po’ particolare
1/54,3718624597.. · 102 = 1,839186584..
Se adesso prendiamo questo numero e lo eleviamo alla potenza di sé stesso, quel che viene fuori è una buona approssimazione del diametro classico del protone (dp = 3,07)
1,839186584.. 1,839186584.. = 3,066875.. ≈ dp = 3,07
A sua volta, questo significa che possiamo ottenere il numero caratteristico della costante di Planck a partire da quel numero che, elevato alla potenza di sé stesso, ci da il diametro classico del protone, come possiamo vedere qui sotto
1,8398191..1,8398191.. = 3,07 = dp
x = 1/(1,8398191../102) = 54°,3531698..
360° : 54°,3531698.. = 6,623348.. ≈ h = 6,626
A questo punto però occorre sottolineare che, se tutto quel che abbiamo visto è vero, allora possiamo derivare una buona approssimazione del diametro classico del protone sia dalla costante di Planck che dal numero di Eulero.
[1/(360°/6,626)] · 102 = (1/54,331421..) · 102 = 0,0184055.. · 102 = 1,840555..
1,840555..1,840555.. = 3,073641.. ≈ dp = 3,07
tg x = 3√e = 1,395612425..; x = 54°,377216765766457143046480646494
(1/54°,377216..) · 102 = 1,839005..; 1,839005..1,839005.. = 3,065982.. ≈ dp = 3,07
- A questo punto, possiamo constatare che il sistema armonico costituito dalle costanti della fisica per mezzo della trigonometria e di π, ɸ, 10 e numero di Eulero, sembra già molto vasto e straordinariamente complesso (senza contare che, come abbiamo visto, tanto π, che ɸ che il numero di Eulero corrispondono a importantissimi punti di unicità della trigonometria a base 360). Nella prima parte di questa appendice abbiamo derivato un’approssimazione del numero caratteristico della costante di Dirac ħ per mezzo dell’angolo pari a π/2. A partire da quella siamo arrivati a un’approssimazione della costante di Planck h. Ma adesso constatiamo che dividendo l’angolo giro per dei valori di h resi possibili dal principio di indeterminazione, possiamo risalire al numero di Eulero, a un punto di unicità della trigonometria, al numero che elevato alla potenza di sé stesso ci da il diametro classico del protone.
Il sistema armonico che va disvelandosi sembra del tutto inaspettato in relazione a quello che la scuola e l’università ci hanno insegnato quanto all’universo fisico e alla matematica che lo descrive, i cui rapporti dovrebbero essere del tutto casuali ed esteriori. Infatti, quel che ci è stato detto è che se i valori delle costanti sono quelli che sono, questo dipende da un sistema metrico frutto di una convenzione: ma allora come è che questi valori si incastrano tanto bene con un sistema trigonometrico, le cui fondamenta, per quanto ne sappiamo, sono state gettate un numero imprecisato di millenni fa, quando (almeno così noi crediamo) nessuno ne sapeva niente di una conoscenza matematico-quantitativa della natura?
Ebbene, , se tutto quel che abbiamo visto fino ad adesso è vero, queste convinzioni che ci hanno inculcato alla scuola e all’università devono essere sbagliate. Una cosa che verrà fuori anche nel prosieguo della nostra indagine, dove meravigliose relazioni armoniche come quelle che abbiamo visto si moltiplicano in modo tale da far venire il dubbio che siano di numero finito.
Per esempio, se moltiplichiamo 54°,3718624597.., ovvero l’angolo la cui tangente è uguale alla somma di seno e coseno per la funzione di π e ɸ che vediamo sotto, quella che otteniamo è un’ottima approssimazione della durata dell’anno solare (365,25 giorni). Così che a questo punto siamo costretti a concludere che – non solo il valore della costante di Planck è in relazione con la trigonometria – ma anche con la durata del ciclo cosmico più importante per il nostro pianeta.
54°,371862.. · [1/(ɸ · π2) + 1/ɸ] = 54°,371862.. · 6,717784.. = 365,2584..
Un sistema di connessioni di questo genere ricorda molto più da vicino il mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie che la realtà quotidiana così come siamo abituati a pensarla. In effetti, non è facile capire cosa dovremmo pensare o sentire, quando scopriamo che dividendo la durata di un anno solare per l’approssimazione di h che abbiamo derivato a partire da questo angolo particolare, arriviamo per via numerologica a un altro angolo, che è quello che vediamo qui sotto
365,25 : 6,62107.. = 55°,164799..
Se facciamo la sommatoria di seno, coseno e tangente di quest’angolo possiamo arrivare a un’ottima approssimazione di 2 · √2.
sen + cos + tg 55°,164799.. = 0,820798.. + 0,571217.. + 1,436926.. =
= 2,828943243.. ≈ 2 · √2 = 2,828427124.. (+5,16.. · 10-4
Ovviamente, scegliendo un valore di h minimamente diverso, avremmo ottenuto il valore esatto. E questa operazione non avrebbe avuto nulla di arbitrario, dato che il valore di h – come tutti sappiamo – non lo dobbiamo immaginare come un punto inesteso, ma piuttosto come un segmento, o come un intorno numerico relativamente indefinito, all’interno del quale tutti i valori che scegliamo sono al tempo stesso esatti e approssimati.
(0,8207… + 0,5712… + 1,4369…)/2 = 2,828943../2 = 1,414471.. ≈ √2 = 1,414213..
Un numero praticamente identico a √2 risulta anche dalla tangente dell’angolo che viene fuori dal rapporto fra la durata dell’anno solare e la costante gravitazionale, dato che
365,25 : 6,67311 = 54°,736..; tg 54°,736.. = 1,41425.. ≈ √2 = 1,41421..
Per il valore di G che abbiamo scelto sopra, vale un discorso molto simile a quello che abbiamo fatto riguardo a h. Per motivi scientificamente non ben chiari, stabilirne il valore esatto è stato fino ad adesso del tutto impossibile, e andando a scartabellare i valori che si trovano in giro su internet avremmo potuto trovarne uno dal quale sarebbe stato possibile derivare l’esatto valore di √2.
Come tutti sappiamo, √2 è un numero a cui è stata attribuita un’importanza generale per la matematica e la geometria. Nessuno si era però accorto che da questo numero si può ricavare una buona approssimazione del raggio classico del protone rp = 1,535 nel modo che vediamo qui sotto
√[2 + 1/(√2)3] = √2,35355339.. = 1,534129522.. ≈ rp = 1,535
- A partire da tutto quel che abbiamo visto, diviene dunque quasi del tutto certo che la piastra ritrovata dal colonnello Vyse al termine del Pozzo Stellare Sud della Camera del Re, lungi dall’essere un oggetto banale, fosse un corpo geometrico che, proprio come la Grande Piramide nel suo insieme, è stato costruito in modo tale che le sue misure fossero capaci di contenere importanti nozioni scientifiche. Nozioni che, come ci prepariamo a scoprire, arrivano a dei livelli di raffinatezza inimmaginabili.
Dalla faccia maggiore della piastra si possono ricavare due triangoli rettangoli gemelli la cui ipotenusa coincide con la diagonale del rettangolo. L’angolo opposto al cateto maggiore risulta 71°,5531526028, la cui tangente è pari alla costante da cui si può ricavare la velocità della luce c = 2,9979246.
Ovviamente, questo non è l’unico angolo da cui possiamo ricavare c. Per esempio, la possiamo ricavare dall’angolo di 58°,34347.. facendo sen + cos + tg = 2,9979245…, oppure da quello di 76°,61445.. facendo tg – sen – cos = 2,9979246... Anche in questi casi, si nota che arriviamo a ricavare la velocità della luce da angoli che, messi in rapporto con l’angolo giro, producono connessioni con altri valori caratteristici della fisica o della matematica, come possiamo vedere qui sotto
360 : 58°,34347.. = 6,170356.. ≈ 1/ɸCheope ∙ 10 = 6,1782155..
3√360 : 76°,61445.. = 3√4,698852.. = 1,674932.. ≈ mn = 1,6748
Una cosa del genere si ripete passando a un angolo come quello di 66°,2699.., da cui di nuovo possiamo ricavare un valore praticamente identico a c = 2,9979246 facendo
tg 66°,2699.. · (sen + cos 66°,2699..) = 2,9979222…
Qui la cosa importantissima da notare è che questo angolo lo si può ricavare per via numerologica – con un’approssimazione veramente buona – dalla costante di Planck h moltiplicata per 10. Dunque noi dobbiamo ancora di più abituarci a immaginare questo numero non come un valore riguardante essenzialmente la fisica, ma come una sorta di chiave che, applicata alla trigonometria intesa come un codice, è capace di farci accedere a ogni sorta di nozioni fisiche, astronomiche e matematiche.
h · 10 = 6,626 · 10 = 66°,26 ≈ 66°,2699.. (-0,0099..
Questo fatto crea una profonda connessione fra h e la piastra di Vyse, dato che a questo punto sappiamo che il valore di c, che è alla base delle sue misure, è connesso anche con un angolo che possiamo costruire a partire da h.
Il panorama delle connessioni si amplia ancora di più, quando scopriamo che moltiplicando il coseno di 71°,553152.. (0,316424…, un valore molto simile √10/10 = 0,31622..) per la tangente e facendo poi 1/x, otteniamo un’approssimazione della costante di Dirac molto simile a quella che abbiamo ottenuto a partire dall’angolo pari a π/2
1/(cos · tg 71°,553152..) = 1,054165.. ≈ ħ = 1,054571..
E a questo punto, dobbiamo prepararci a scoprire che per la costante di Dirac vale un discorso molto simile a quello che abbiamo fatto per la costante di Planck. Nel contesto di un lavoro come questo che stiamo facendo, dobbiamo abituarci a pensarlo, piuttosto che come un dato fisico puntiforme, come un intorno numerico relativamente indefinito, all’interno del quale passano una serie di funzioni riguardanti altri valori significativi della matematica e della geometria. Infatti, il valore di ħ può essere ottenuto con ottima approssimazione anche dalle formule puramente matematiche che vediamo qui sotto
130√103 = 1,054573667… ≈ ħ = 1,054571688..
1/{[1/(8√10 – 1)] ∙ √10/10} = 1,054687374.. ≈ ħ = 1,054571688..
E qui è bene notare che 1/(8√10 – 1) corrisponde a una discreta approssimazione di c
1/(8√10 – 1) = 2,9983080.. ≈ c = 2,9979246
- Le prime cose da sottolineare sono la straordinaria semplicità e simmetria di queste formule, basate entrambe sul 10. Riguardo alla prima, sembra davvero notevole il fatto che possiamo ricavare l’esponente della radice a partire dal 10 e dal 3, facendo (10 + 3) · 10. Ma più importante di questo sembra il fatto che, dividendo l’esponente della radice per quello della potenza, arriviamo a un altro risultato molto interessante
130 : 3 = 43,333..
Questo numero risulta importante ad almeno due livelli. Il primo è che facendo la radice 43,333.. di 10, arriviamo a ottenere quella stessa approssimazione di ħ che abbiamo ottenuto con 130√103 = 1,054573667…
43,333..√10 = 1,054573667.. ≈ ħ = 1,054571688..
In secondo luogo, 43,333.. va molto vicino all’angolo di base della Piramide Rossa espresso in gradi e sessantesimi di grado (infatti l’angolo di base della Piramide Rossa corrisponde a circa 43°30’). Il reciproco di quest’angolo sul quarto di giro (90° – 43°30’ = 47°30’) ha una tangente di 1,053780.., un numero di nuovo molto vicino al valore di ħ oggi giudicato più esatto (l’angolo con la tangente identica a ħ è quello di 46°,521481..; la somma di seno e coseno di questo angolo (1,9985900..) è a sua volta molto vicina a c – 1 = 1,9979246).
Si noti anche che l’angolo di base della Piramide Rossa corrisponde numerologicamente con buona approssimazione al valore della costante che ci serve per calcolare la superficie dell’icosaedro (5 · √3 = 8,660254.. = 10 · sin 60°) moltiplicato per 5, dato che 8,660254.. · 5 = 43,301.
Già a questo punto possiamo affermare che, con buona probabilità, il sistema armonico di cui ci stiamo occupando è codificato in tutta l’arte e l’architettura sacra Antico Egizia. Non solo: è del tutto probabile che questi capolavori al tempo stesso dell’estetica e della matematica siano capaci di contenere il tutto in ogni parte e la parte nel tutto. Quindi, sembra del tutto chiaro che analizzando i dettagli di un oggetto come la piastra di Vyse, possiamo arrivare a ogni sorta di connessioni scientifico e matematiche che si possano immaginare.
Per esempio, coseno dell’angolo di 71°,553152.. ha anche un’altra caratteristica che sembra davvero molto interessante. Se lo moltiplichiamo per 10 e poi ne facciamo la radice quindicesima abbiamo che
15√cos 71°,55.. · 10 = 15√3,164247.. = 1,079819.. ≈ 2ɸCheope/c = 3,23718… : 2,9979246 = 1,079807..
Quindi, in un dettaglio minimo troviamo la relazione fra due costanti scientifiche a partire dalle quali, a quel che sembra, è stato creato l’universo. Un rapporto simile, in cui è inclusa la velocità della luce, lo troviamo anche dividendo il perimetro di base della Grande Piramide per 6 volte l’altezza
(440 · 4) : (280 · 6) = 1760 : 1680 = 1,047619… ≈ π/c = 1,047922.
Se invece di moltiplicare l’altezza per 6 la moltiplichiamo per la costante di Planck h = 6,626, possiamo arrivare ad ħ in questo modo:
(280 · 6,626) : (440 · 4) = (1855,28 : 1760 ) = 1,054136.. ≈ ħ = 1,054571..
E qui è interessante notare che se moltiplichiamo l’altezza per la particolare approssimazione di h che vediamo qui sotto (peraltro molto vicina a quella che abbiamo ottenuto dividendo l’angolo giro per quell’angolo speciale, in cui la somma di seno e coseno è uguale alla tangente), il risultato che otteniamo è 3/ɸ · 103, dato che
(280 · 6,621792736..)/103 = 1,854101966249.. = 3/ɸ
Questo numero risulta abbastanza particolare perché, se lo eleviamo alla potenza di sé stesso, il risultato che otteniamo va vicinissimo a π. Questo significa che il 3 costituisce una sorta di trait d’union fra ɸ e π, dato che partendo da ɸ permette di arrivare a π con un’approssimazione di circa 20 milionesimi
(3/ɸ)3/ɸ = 1,854101966249.. 1,854101966249.. = 3,141572320.. ≈ π = 3,141592653..
- Il problema che si pone analizzando un sistema armonico-simmetrico come questo è che, a quel che pare, ogni parte è connessa con il tutto come in un cerchio, o in una sfera, di modo che il numero e il tipo di connessioni che si possono trovare sembra dipendere dalla volontà di chi le cerca, più che dai limiti imposti dal sistema stesso, che sono ancora tutti da esplorare.
In effetti, se l’angolo con la tangente pari a c = 2,9979246 è connesso con il valore caratteristico della costante di Dirac, in questo modo è anche connesso con gli altri dati caratteristici connessi con questa costante, in primo luogo con π e con la costante di Planck. Ma le connessioni che questo sistema rende possibili arrivano a un livello di complessità talmente vertiginoso da far quasi gridare al miracolo, pur avendo a che fare con una disciplina, la matematica, che la modernità intende come la scienza laica per definizione.
Come abbiamo già detto, il principio di indeterminazione ci dice che un valore come quello della costante di Dirac non rappresenta un punto sull’asse delle x, ma, per così dire, un intorno numerico, o un segmento in cui tutti i valori compresi sono validi.
Ebbene, partendo dal valore della costante di Dirac derivato dalla costante di Planck così come fu calcolata da Planck stesso all’inizio del secolo scorso (hPlanck = 6,55), possiamo arrivare, seguendo l’oramai consueta “via trigonometrica” al valore caratteristico della costante che descrive la massa del protone
ħPlanck = hPlanck/2π = 6,55 · 10-34/2π = 1,04246487725191444928618865009 · 10-34
sin x = 512√ ħPlanck = 512√1,042464.. · 10-34 = 0,85828006660543347948620277795524
x = 59°,124013901233700091913805612041
tg 59°,124013.. = 1,672468.. ≈ mp = 1,6725
D’altra parte, possiamo notare che a partire dall’inverso di ħPlanck possiamo ottenere il numero caratteristico di un altro valore sperimentalmente possibile di ħ attraverso un’operazione che oramai dovrebbe esserci diventata familiare, vale a dire una sequenza di logaritmi
-1/Ln (Ln (Ln (Ln (Ln 1/ħPlanck) = -1/-0,949534474.. = 1,053147.. ≈ ħ = 1,054571..
Questa particolare approssimazione di 1/ħ è molto a una funzione molto astratta, ovverosia alla x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo qui sotto.
x ∙ -1 ∙ 1034 = inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln (inv. Ln x) = 9,4958665518.. ∙ 1033
x = -0,94958665518..
-1/-0,94958665518.. = -1,053089.. ≈ ħ = 1,054571..
Inoltre, 1/ħPlanck corrisponde al seno iperbolico di un angolo che presenta dei motivi di interesse, dato che
sinh x = 1/ħPlanck = 9,5926493239382999647714301779524 ∙ 1033
x = 78°,939452359119683498875400618511
√(tg 78°,939..) = √5,115685.. = 2,2617881502.. ≈ 2 + ɸ2/10 = 2,2618033988..
L’approssimazione di ɸ che possiamo ricavarne sembra piuttosto buona, e, curiosamente, possiamo ricavarne una discreta, e proprio alla stessa maniera, da 1/ħPlanck, escludendo la potenza del 10
1/√[(2,2617881502.. – 2) ∙ 10] = 0,618051988.. ≈ 1/ɸ = 0,618033988..
1/√{[(Ln 9,592649..) – 2] ∙ 10} = 1/√[(2,2609971.. – 2) ∙ 10] = 0,618987.. ≈ 1/ɸ = 0,618033988..
Per altro verso, possiamo notare che il valore assoluto della massa del protone mp come anche quello della massa del neutrone mn (cioè potenze del 10 comprese) appaiono connessi a un’approssimazione veramente buona di 1/ɸCheope, dato che
128√mp = 128√ 1,6725 · 10-27) = 0,617742594.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821554.. (-7,895938.. · 10-5
128√mn = √(1,6748 · 10-27) = 0,617749226.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821554.. (-7,232852.. · 10-5
E qui possiamo notare che la differenza fra l’approssimazione e il valore esatto corrisponde a sua volta in modo quasi perfetto a una funzione di ɸ
[1 + 8√(7,232709992.. · 10-5)]4 – 1 = 1,888555.. ≈ (2/ɸ)3 = 1,888543.. (1,154.. · 10-5
Inoltre, l’approssimazione di 1/ɸCheope che abbiamo ottenuto per mezzo di 128√mp è fra le due la più vicina a quella della tangente di un angolo molto interessante (80°,803515..), che è pari a circa 10 · 128√mp.
tg 80°,803515.. = 6,176587730.. ≈ 10 · 1/ɸCheope = 6,178215522.. ≈
≈ 10 · 128√mp = 6,17821554.. (-0,001627..
Però quest’angolo è molto interessante soprattutto perché l’inverso del suo seno iperbolico corrisponde esattamente alla lunghezza di Planck ℓP
1/sinh 80°,803515.. = 1/6,187153983.. · 10-34 = 1,616252.. · 10-35 = ℓP
E qui non possiamo mancare di osservare che il numero caratteristico di questa costante pare legato per via trigonometrica anche con la costante gravitazionale G = 6,672 · 10-11 N · m2/kg2 , dato che
sinh x = 1/(6,672 · 10-11) = 14988009592,326139..; x = 24°,123663538438002199417266735008
[1 + (1/tg 24°,123663..)]/2 = [1 + (1/0,447817356..)]/2 = (1 + 2,233053241..)/2 =
= 3,23305324../2 = 1,616526620.. ≈ ℓP = 1,616252..
Considerando le oscillazioni dovute al principio di indeterminazione, possiamo essere quasi certi che questo che abbiamo calcolato sia uno dei valori sperimentalmente possibili del numero caratteristico di ℓP.
- Connessioni di questo genere sembrano già di per sé quasi incredibili. Ma se proseguiamo nell’indagine, vediamo che il sistema armonico fisico-trigonometrico con cui abbiamo a che fare arriva al punto di togliere il senso a qualsiasi iperbole con cui si volesse enfatizzarne le qualità. Infatti, possiamo arrivare di nuovo a questo stesso valore a partire dalla costante che descrive la carica unitaria, compresa la potenza del 10.
Il primo passo è fare la radice 32sima del suo inverso: in questo modo troviamo un numero che è molto simile al seno di 60° più 3.
32√1/(1,6022 · 10-19) = 3,8668079451489439056773082099571 ≈ 3 + sen 60° =
= 3,8660254037844386467637231707529 (0,00078254136450525891358503920414855
In questo caso abbiamo trascritto tutti i decimali che la calcolatrice è in grado di supportare perché il lettore, se lo desidera, possa fare personalmente la riprova, utilizzando i valori più precisi che sia possibile. Una cosa che si rende necessaria perché, incredibile a dirsi, la radice quarta della differenza fra l’approssimazione e il numero esatto è ancora una volta pari alla costante che descrive la massa del protone
4√0,000782541.. = 0,167254120.. ≈ mp/10 = 1,6725
Questo significa, inversamente, che aggiungendo (1,6725/10)4 a 3 + sen 60° ed elevando il risultato alla 32sima potenza, otteniamo un’ottima approssimazione di 1/cu. Inoltre, dobbiamo ricordare che, siccome la tangente di 60° corrisponde a √3 e il suo seno a √3/2, possiamo costruire la stessa formula in termini esclusivamente trigonometrici o in termini esclusivamente matematici
1/[(mp/10)4 + (tg 60°)2 + sen 60°]32 = 1,6022.. · 10-19
1/[(mp/10)4 + 3 + (√3)/2]32 = 1,6022.. · 10-19
Il momento di cui parlavamo prima, quello in cui cominciano a mancare gli aggettivi per descrivere quel che si prova di fronte alle mirabilie armoniche di questo codice, è quando scopriamo di poter arrivare alla stessa approssimazione di 3 + sen 60° cui siamo arrivati poco sopra anche per via trigonometrica, ovvero passando per il seno di un angolo connesso per mezzo di una radice al valore di cu
cos x = 64√(1,6022 · 10-19) = 0,50853833743092166257077288726432
x = 59°,433481908983060810034817504595
1 + tg 59°,433481..2 = 1 + 1,693165..2 = 1 + 2,86680794514894390567730820 =
= 3,8668079451489439056773082099571 = 1/ 32√(1,6022 · 10-19)
Quel che pare configurarsi è dunque un sistema che è al tempo stesso puramente matematico, fisico e trigonometrico. Oppure, potremmo dire: con una fisica e una cosmologia che sono al tempo stesso una pura matematica e una pura trigonometria. Perché, in effetti, se prendiamo il valore di cu = 1,6022 · 10-19 vediamo che il suo inverso corrisponde al seno iperbolico di un angolo che, proprio dal punto di vista cosmologico, sembra avere una relazione con la durata dell’anno solare (365,25 giorni)
sinh x = 1,6022 · 10-19; x = 43°,970886262647933927645163011507
1/tg 43°,970886.. = 1/0,964707.. = 1,0365838.. ≈ 1 + 365,25/104 = 1,036525..
Ln cos 43°,970886.. = Ln 0,694292.. = -0,364861.. ≈ 365,25/103 = 0,36525
Ma, dato che la nostra ricerca è ancora ai suoi balbettanti inizi, conviene senz’altro abbandonare il tentativo di definire i suoi risultati, e invece continuare a esplorare il nuovo, sconfinato territorio che si apre davanti ai nostri occhi.
- L’inciso che abbiamo fatto si è reso necessario perché il lettore possa capire l’enorme significato di connessioni apparentemente semplici come quelle che andiamo a scoprire di seguito. In un sistema dove ogni parte è connessa organicamente connessa con tutte le altre parti, non vi è infine nulla di veramente semplice. Questo è dunque anche il caso di quell’angolo con tangente pari a c, che si connette con il valore del numero caratteristico della carica unitaria cu = 1,6022, per mezzo di π e dell’angolo giro, come possiamo vedere qui sotto
360° : (71°,55315… · π) = 360 : 224,790858558.. = 1,601488.. ≈ cu = 1,6022
Ora, siccome anche il valore della carica unitaria è da pensarsi come un segmento di valori possibili, e non come un punto inesteso, ecco che tutte quelle connessioni che abbiamo calcolato poco sopra a partire da cu si riverberano anche su quest’angolo particolare e anche all’approssimazione al numero d’oro che troviamo nella Piramide di Micerino (≈ 1,602), che a sua volta è molto simile al rapporto fra il numero tipico del ciclo di Sirio e la costante solare
(1461 : 1366)7 = 1,06954612…7 = 1,601
L’angolo di 71°,553152.. è anche numerologicamente piuttosto vicino alla durata in anni di quel Giorno Precessionale un po’ particolare che risulta dalla divisione dei 26000 anni di un Anno Precessionale in 365 parti invece che nelle canoniche 360 (il risultato è pari a 71,2328).
Un angolo molto simile risulta anche dal rapporto l’angolo di 90° e 3√2. Quest’angolo, pur avendo una tangente che differisce da c di circa 2 millesimi, è caratterizzato da un coseno quasi identico a 1/π
x = 90° : 3√2 = 71°,433047438..; cos 71°,433047438.. = 0,318412.. ≈ 1/π = 0,318309..
Un coseno invece davvero molto vicino a quello dell’angolo con tangente pari a c, è quello che risulta numerologicamente dal prodotto del valore oggi giudicato più esatto di ħ per la stessa c, dato che il risultato che otteniamo è pari a
(ħ · c)/10 = (1,054571688.. · 2,9979246)/10 = 0,316152434.. ≈ cos 71°,55 = 0,316424771.. ≈
≈ √10/10 = 0,316227766..
Interpretato numerologicamente, ħ · c = 3,161524.. corrisponde alla tangente di un angolo pari a 72°,4476.., che a sua volta corrisponde numerologicamente in modo quasi perfetto al numero di anni solari che dura un Giorno Precessionale canonico pari a 26000 : 360 = 72,2222, oppure anche a 90° : π√2 = 72°,180799.. (curiosamente, la radice quinta di 360 da un risultato di 5√360 = 3,24534, molto simile allo spessore della nostra piastra, che corrisponde a 2ɸ). Qui possiamo notare che π e ɸ mostrano di nuovo un rapporto privilegiato con l’angolo giro diviso in 360 parti, dato che, facendo la radice-πɸ di 360 otteniamo un’ottima approssimazione di 10/π
10/πɸ√360 = 10/ 3,183405819.. = 3,141289728.. ≈ π = 3,141592653.. (-0,000329..
Invece, la radice-π della durata esatta di un anno solare è uguale a π√365,25 = 6,5418, un numero molto simile al numero caratteristico della costante di Planck calcolata da Planck stesso all’inizio del secolo scorso (pari a 6.55 · 10-34 joule ∙ sec).
Tutte queste relazioni che andiamo incontrando fra i cicli cosmici e le costanti della fisica ci può dare un indizio di spiegazione quanto ai motivi per cui in tutta l’antichità si curava così tanto l’orientamento degli edifici sacri. Da quel che stiamo scoprendo, sembra possibile che una tale cura poteva avere un significato altrettanto scientifico che religioso.
Per esempio, abbiamo visto che un coseno pari a circa √10/10 = 0,3162277.. è connesso a una tangente pari a c. D’altra parte, se prendiamo un angolo con una tangente pari a una buona approssimazione di c, vale a dire 2,9975008.., scopriamo che il suo coseno, moltiplicato per 10, è la potenza con cui si può ottenere la durata del ciclo di Sirio (1461 anni solari) a partire dal 10. Invece, facendo il logaritmo del numero elevato alla potenza di sé stesso, ci da una buona approssimazione della durata di un anno solare divisa per -104
tg x = 2,997500877401..; x = 71°,550721516..; cos 71°,550721516.. = 0,316465021593..;
10cos 71°,550721.. ∙ 10 = 103,16465021593.. = 1461
Ln 0,316465021593..0,316465021593.. = Ln 0,694817.. = -0,364106.. ≈ 365,25/-104 = 0,36525
Curiosamente, la durata del ciclo di Sirio divisa per questo cos 71°,550 ∙ 10 ci da un risultato molto vicino a 1461 – 103.
1461 : 3,16465021593.. = 461,662395.. ≈ 1461 – 103 = 461
A sua volta, la radice quarta di questo risultato ci porta molto vicini a (1461 – 103)/102
4√461,662395.. = 4,635334.. ≈ 461,662395../102 = 4,61662395..
L’equazione a cui ci stiamo implicitamente riferendo e la x in grado di soddisfarla sono quelle che vediamo qui sotto. Possiamo ricavarne una discreta approssimazione sottraendo al secondo numero caratteristico del ciclo di Sirio (il 1460) 10c=2,9979246
4√x = x/102; x = 464,15888336127788924100763509194
1460 – 10c=2,9979246 = 1460 – 995,232.. = 464,767384875.. ≈ 464,158883336.. (+0,608..
- Ci rendiamo conto che questa trama di relazioni che andiamo scoprendo può essere interpretata in modo diverso. Dato il contesto culturale in cui viviamo, non è difficile immaginare che si troverà perfino qualcuno che – fondandosi sul mero fatto che i fondamenti della trigonometria sono stati gettati in un tempo molto antico – si chiuderà nel dogma evoluzionista, e giudicherà tutto quel che ha visto come il frutto di un mero caso.
Ma, al di là di ogni preconcetta chiusura dogmatica, che non ha ovviamente alcun valore teoretico, nessuno può negare che questo lavoro potrebbe essere visto – e con buone ragioni – non tanto come uno “scoprire” relazioni, quanto come un costruirle ex novo, fondandosi su un sistema matematico che, chissà, forse è in grado di generale fra qualsiasi genere di entità matematica che si possa immaginare.
Quest’obiezione sembra sensata, e non è facile da controbattere. Ma è inutile dire che la nostra opinione è diametralmente opposta a questa. Dal nostro punto di vista, questa rete di connessioni che sembra dipanarsi fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sembra piuttosto alludere a qualcosa come un ritmo matematico nascosto, a qualcosa come a una silenziosa armonia, le cui note sono i numeri caratteristici che compaiono nei miti, nei calendari antichi, nei i cicli cosmici che misuravano, e – strano a dirsi – anche le costanti della fisica.
Poco sopra, abbiamo visto la connessione fra un’approssimazione di c e il ciclo di Sirio, che passa per la trigonometria. Fra non molto scopriremo una connessione numerologica molto significativa fra i coseno dell’angolo numerologicamente implicito in quell’approssimazione di c con il volume dell’Arca dell’Alleanza. Una connessione che ci apparirà ancor più significativa ricordando che possiamo calcolare il valore della costante gravitazionale G a partire da quello della costante di Dirac ancora una volta a partire da quello valore che abbiamo usato come potenza per ottenere dal 10 la durata del ciclo di Sirio. Infatti
2ħ · 3,16465021593.. = 2 · 1,054571.. · 3,16465021593.. = 6,67461 ≈ G = 6,672
Il calcolo evidenzia una qualche approssimazione. D’altra parte, come abbiamo già detto, ma come conviene ripetere ancora una volta, i valori delle costanti della nostra fisica non cono costituiti da un punto inesteso sull’asse delle x, ma da un intorno matematico, la cui estensione è stabilita dal principio di indeterminazione (come abbiamo già detto, nel caso di G il discorso è più complesso: ma non di meno, anche in questo caso siamo in presenza di un intorno numerico, non di un numero preciso). Dunque, procedendo inversamente e dividendo G per 3,16465021593.., otteniamo un valore di ħ che possiamo considerare senz’altro come uno di quelli sperimentalmente possibili e dunque sperimentalmente utilizzabili. Ma anche chi volesse negare l’utilità sperimentale di questo valore di ħ, dovrebbe comunque sia ammettere che si tratta di uno di quelli che di fatto sono stati considerati esatti e come tali utilizzati durante il secolo scorso (infatti, il valore della costante di Planck che venne calcolato da Planck stesso era pari a hPlanck = 6,55 · 10-34, e il valore di ħ connesso era dunque ħPlanck = 1,042464.., mentre quello attualmente in voga è pari a ħ = 1,054571688..)
G/(2 · 3,16465021593..) = 6,672/6,32930043186.. = 1,054144.. ≈ ħ = 1,054571..
E qui possiamo notare che a partire da quell’approssimazione particolare di ħ che vediamo sotto (che, proprio come quella che abbiamo appena calcolato qui sopra è da giudicarsi senz’altro “storicamente corretta”) e da 3,16465021593.. possiamo ottenere c = 2,9979246 in un modo che pare piuttosto semplice e diretto
10/(1,054031473348.. · 3,16465021593..) = 10/3,335640929.. = 2,9979246 = c
Il ciclo solare annuale e quello precessionale rappresentano forse un elemento di unicità, quasi le impronte digitali della Terra in relazione agli altri corpi che si muovono nell’universo. Ma nei numeri di questi cicli, a come sembra, sono codificati quelli delle costanti delle leggi scientifiche più importanti. Questo significa che i calendari antichi contengono molto probabilmente, sia pure in modo ermetico, i numeri fondamentali di tutte le leggi fisiche fondamentali.
Tratteremo meglio questi argomenti in una delle appendici successive. In questa sede ci limitiamo a un solo esempio. Come abbiamo visto π – da cui possiamo ricavare per via trigonometrica tanto la costante di Dirac che quella di Planck – è contenuta insieme a ɸ in dei fondamentali cicli cosmici che riguardano la Terra. Per fare un altro esempio, noi vediamo che possiamo costruire l’anno delle fasi lunari (pari a circa 354,36 giorni solari) proprio per mezzo dei valori di π e di ɸ che furono codificati nella Grande Piramide
(4ɸCheope)πCheope = (4 ∙ 1,618590346..)22/7 = 6,474361384..3,142857.. = 354,385.. ≈ 354,36
Dalla durata dell’anno delle fasi lunari possiamo risalire a quella dell’anno solare nel modo che segue
(4ɸCheope)πCheope ∙ (2ɸCheope/π) = 354,385.. ∙ 1,030426617..= 365,0422..
Oppure, se prendiamo il coseno dell’angolo con tangente pari a c, riusciamo a ottenere la durata dell’anno delle eclissi (346,6 giorni solari)nel modo che vediamo sotto
(1/cos 71°,553152..)π(1 + 1/ɸCheope) = (1/0,316424771..)5,082536.. = 3,160308830.. 5,082536.. =
= 346,651.. ≈ 346,6
Con un metodo molto simile possiamo ricavare la durata di un ciclo completo di fasi lunari (pari a circa 29,5306 giorni solari)
[1 + (1/ɸCheope)2](2ɸ)² = 1,381703470..10,472135954.. = 29,542237.. ≈ 29,5306
Invece, il modo in cui possiamo ricavare la durata del periodo draconitico (che sarebbe il tempo impiegato dalla Luna per passare due volte dallo stesso nodo, pari a circa 27,208 giorni solari) implica il ricorso al numero caratteristico della costante gravitazionale G = 6,672, mentre per la durata del periodo anomalistico (pari a circa 27,554 giorni) dobbiamo far ricorso a 1/√10
e3 + (G – 6)³ = 2,718281828459..3 + 0,672³ = 2,718281828459..3,303464448.. = 27,206732.. ≈ 27,208
e3 + 1/√10 = 2,718281828459..3,316227766.. = 27,556205.. ≈ 27,554..
Cose come queste sembrano significare che in quelli che noi definiremmo come dei “fatti empirici” sono contenuti i numeri fondamentali delle leggi fisiche che li descrivono. Ma, dopo tutto quel che abbiamo visto, potremmo spingerci più oltre. Forse potremmo arrivare a dire che certi numeri rappresentano al tempo stesso i cardini matematici della struttura dell’universo e della teoria fisico-matematica che li descrive. E questo sembra essere precisamente il significato profondo del noto ma non per questo meno enigmatico detto pitagorico: “le cose sono numeri”. Le cose sono numeri perché l’universo, inteso come “numero e misura” – almeno a partire dai risultati che abbiamo raggiunto nel corso di questa ricerca – non sembra altro che il frutto di funzioni di π, ɸ, 10 e numero di Eulero, che vanno a dare forma a qualcosa che in questo momento non possiamo definire altro che come una sorta di “etere matematico”. Con questa espressione intendiamo un’estensione senza forma, capace però di trasformarsi in questa o quest’altra entità in accordo con certe funzioni matematiche.
- Abbiamo già visto molte cose che sembrano dare un fondamento matematico a quanto abbiamo appena ipotizzato. Abbiamo visto, per esempio, che esiste una connessione quasi perfettamente esatta fra ɸCheope e la massa del protone mp = 1,6725 · 10-27, come anche a quella del neutrone mn = 1,6748 · 10-27 dato che
128√mp = 128√(1,6725 · 10-27) = 0,617742594615.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821554..
128√mp = 128√(1,6748 · 10-27) = 0,61774922690.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821554..
Ma a questi possiamo aggiungere degli ulteriori esempi, che sembrano dimostrare in modo inequivocabile come si possano ottenere delle ottime approssimazioni dei valori assoluti di altre costanti scientifiche a partire dai valori che furono codificati nella Grande Piramide, vale a dire ɸ, π, il 10 e il numero di Eulero. Per esempio, dal valore esatto di ɸ e dal 10 possiamo ottenere un’ottima approssimazione di h = 6,626 · 10-34, come peraltro possiamo ottenerla anche da π e da ɸ
[(√ɸ)3 · 10-4]9 = 6,627246.. · 10-34 ≈ h = 6,626 · 10-34
{π · [ɸ – (π/103)] · 10-9} 4 = 6,624816.. · 10-34 ≈ h = 6,626 · 10-34
E qui è interessante notare che a partire dalla costante di Dirac – pari a quella di Planck divisa per 2π – possiamo ottenere una buona approssimazione della carica unitaria cu = 1,6022 · 10-19 coulomb , dato che
[(4√ħ) · 10-10]/2 = [4√(1,054571688.. ∙ 10-34) ∙ 10-10]/2 = 1,602282.. · 10-19 ≈ cu = 1,6022 · 10-19
Una simile connessione esiste anche fra la costante di Dirac e la velocità della luce (qui sotto intendiamo c misurata in milioni di metri al secondo)
√1/(c2 · 1051) = √1/8,9875517873681764 · 1067 = 1,054822.. · 10-34 ≈ ħ = 1,054571.. · 10-34
Invece, possiamo ottenere una buona approssimazione del raggio classico dell’elettrone re = 2,81777 · 10-15 e di quello del protone rp = 1,535 · 10-18 direttamente a partire da ɸCheope e dal 10 nel modo che segue
3√[(2ɸCheope – 1) · 10-44] = 3√(2,23718068.. · 10-44) = 2,81773634.. · 10-15 ≈ re = 2,81777.. · 10-15
3√{[2 + 1/(ɸCheope – 1)] · 10-54} = 3√(3,616578736.. · 10-54) = 1,534967.. · 10-18 ≈ rp = 1,535 · 10-18
Si nota che l’angolo corrispondente al logaritmo naturale di 1/(3,616709298.. · 10-54) ha una tangente che corrisponde a sua volta a un’ottima approssimazione del numero caratteristico di rp, mentre l’angolo corrispondente a un seno iperbolico pari a 1/(2,23718068.. · 10-44) ha una tangente il cui logaritmo naturale è a sua volta un’ottima approssimazione di (ɸCheope2 – 1)2
x = Ln 1/(3,616709298.. · 10-54) = 123°,054030..; tg 123°,054030.. · -1 = 1,536690.. ≈ rp = 1,535
sinh x = 1/[1/(2,23718068.. · 10-44)]; x = 101°,201674824..
Ln (tg 101°,201674824.. · -1) = Ln 5,049594.. = 1,61930791.. ≈ (ɸCheope2 – 1) = 1,61983468..
- Ma la connessione fra i numeri fondamentali che costituiscono l’essenza della struttura intima, matematica, dell’universo fisico la possiamo trovare anche per altre vie, che ci portano a comprendere il motivo per cui certi numeri fondamentali (come il 144, il 72, il 54, che fra l’altro sono tutti multipli interi del 18, il numero fondamentale del calendario solare Maya Haab’) ricorrono nei miti cosmologici che si possono trovare in tutto il mondo. Essi furono fra l’altro codificati in una struttura che fu a lungo frequentata dai Maya, anche se la sua origine sembra anteriore alla loro comparsa
L’ingegnere americano Hugh Harleston jr. misurò, tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, molti degli edifici di Teotihuacan e scoprì la misura base di 1,059 m che da allora si chiama hunab o “unità”. Con l’ausilio del sistema hunab la Via dei Morti si rivela essere il modello esatto del Sistema Solare. La linea mediana è rappresentata dal Tempio del Sole di Quetzalcóatl. I tronconi di piramide ancor oggi conservati nascondono le orbite dei pianeti Mercurio (36 hunab di distanza dal Sole), Venere (72 hunab) la Terra (12 ∙ 8 = 96 hunab) e Marte (144 hunab). Viene simbolizzata persino la Cintura degli Asteroidi, con un canale artificiale costruito sotto la Via dei Morti, alla giusta distanza di 144 ∙ 2 = 288 hunab.
Horst Bergmann – Frank Rothe, Il Codice delle Piramidi, Newton Compton, pp. 26-27
In effetti, se noi prendiamo una tangente uguale a π, noi vediamo che essa è caratteristica dell’angolo di 72°34321…, un angolo che sul piano numerologico è praticamente identico a quell’unità di tempo fondamentale per gli antichi che era il giorno precessionale (che, lo ricordiamo, risulta pari a 72,222.. anni solari). Se poi eleviamo il numero di Eulero ad una potenza numerologicamente pari all’angolo con tangente pari a π abbiamo un’altra sorpresa
e72,343212848587141521182266521077 = 2,619739.. ∙ 1031 ≈ ɸCheope2 ∙ 1031 = 2,619834.. ∙ 1031
Se noi prendiamo l’angolo pari a 72° (una “mossa” che la nostra scienza e la nostra matematica escludono ma che l’antica saggezza connessa con la numerologia senz’altro consente) noi vediamo che il suo coseno è pari a 1/(2ɸ). Ma in ɸ e π, come abbiamo visto già in molte occasioni, sono contenuti anche dei numeri fondamentali della meccanica quantistica.
Quindi, il fatto che negli antichi miti cosmologici e cosmogonici vediamo comparire reiteratamente il 72, è perché con questo numero si può fare un’allusione ermetica tanto all’angolo di 72° (e dunque a 2ɸ), che a quello con tangente pari a π, tanto alla precessione che alla legge fisica capace di spiegarne le cause.
Possiamo fare un esempio ancora più diretto e concreto di questi che abbiamo appena fatto. Sopra abbiamo visto l’indubitabile connessione fra le costanti che descrivono la massa di due delle particelle fondamentali che costituiscono l’atomo, il protone e il neutrone, e il valore di ɸCheope. Il lettore avrà senz’altro notato l’assenza del terzo mattone fondamentale dell’atomo, vale a dire l’elettrone. Sorge spontanea la domanda: ma perché neutrone e protone si, e l’elettrone no?
Di fatto, esiste una simile connessione anche fra la massa dell’elettrone e ɸCheope. È solo che ci faceva più comodo esporla in questo contesto, dato che il valore dell’esponente della radice (o della potenza) che connette me = 9,1091 · 10-31 e ɸCheope è proprio uno dei numeri classici del mito, il 144. Il che ci fornisce una ulteriore chiarificazione quanto al profondissimo significato scientifico, oltre che spirituale e sapienziale, di un libro come l’Antico Testamento
144√me = 144√(9,1091 · 10-31) = 0,618564862491.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,61859034..
Inoltre, tanto il doppio logaritmo naturale di 144 che quello di 72 sembrano avere un significato scientifico
Ln (Ln 144) = 1,603382.. ≈ cu = 1,6022..
Ln (Ln 72) = 1,453173.. ≈ 3√dp = 1,453380..
A questi esempi possiamo aggiungerne un altro, in cui di nuovo si rende manifesta la relazione interna fra le costanti della fisica e quella fra i numeri fondamentali dei cicli cosmici terrestri.
Ancora una volta, troviamo che il 144 sembra avere un ruolo fondamentale nella relazione fra la costante di Newton (G) e quella di Planck (h) e uno dei numeri che furono codificati nella Grande Piramide, vale a dire il numero di Eulero, dato che
G/(144√e) = 6,672/1,006968613012.. = 6,625827.. ≈ h = 6,626
D’altra parte, come tutti sappiamo, il valore di G sembra particolarmente sfuggente e “ballerino” e, a seconda delle tabelle che vengono consultate, è soggetto a dei mutamenti che, nel contesto della nostra ricerca, possono essere considerati anche molto significativi. Infatti, se invece del 6,672 prendiamo una valutazione del suo numero caratteristico leggermente più bassa, ecco che troviamo un’altra relazione per noi particolarmente significativa, dato che
(G/h)72 = (6,670422../6,626)72 = 1,006704210922..72 = 1,617840621.. = 1 + 1/ɸCheope
Se “stiriamo” ulteriormente il rapporto G/h (una cosa che potremmo fare anche a partire dal principio di indeterminazione, che rende il valore di h potenzialmente piuttosto “elastico”) ecco che elevandolo alla ottava otteniamo il valore del numero caratteristico di ħ.
(G/h)8 = (6,670155290.. : 6,626)8 = 1,006663943..8 = ħ = 1,054571688..
Il rapporto G/h comprese le potenze del 10 (6,672 · 10-11 e 6,626 · 10-34) dà luogo al seno iperbolico di 53°,659.. Dalla tangente di quest’angolo è possibile ricavare un’approssimazione del numero caratteristico della costante che descrive il raggio classico del protone nel modo che segue
√(tg 53°,659.. + 1) = √(1 + 1,359321270..) = √2,359321270.. = 1,536008.. ≈ rp = 1,535
- Due modi simili di ricavare rp – questa volta a partire dal numero di Eulero – sono quelli che vediamo sotto
√{1 + [(1/e)2 · 10]} = √2,353352832.. = 1,534064.. ≈ rp = 1,535
√{[(1/e)4 · 102]2 – 1} = √ 2,354626279.. = 1,534479.. ≈ rp = 1,535
Possiamo arrivare a un risultato del tutto paragonabile a questo servendoci della durata dell’anno delle fasi lunari, espressa in giorni solari (354,36). Il che, naturalmente, implica che possiamo arrivare alla durata dell’anno delle fasi lunari per mezzo del numero di Eulero
√[2 + (354,36/103)] = √2,35436 = 1,534392.. ≈ rp = 1,535
Sempre per mezzo dell’inverso del numero di Eulero e del 10, possiamo arrivare a una buona approssimazione della carica unitaria, della massa del protone, e a ben due approssimazioni della costante di Planck
(1/e)64 · 109 = 1,603810.. · 10-19 ≈ cu = 1,6022 · 10-19
(1/e)11 · 10-16 = 1,670170.. · 10-27 ≈ mp = 1,6725 · 10-27
(1/e)256 · 1078 = 6,616261.. · 10-34 ≈ h = 6,626 · 10-34
(1/e)81 · 102 = 6,639.. · 10-34 ≈ h = 6,626 · 10-34
Si nota che la parte decimale del primo dei due numeri caratteristici di h che abbiamo calcolato, è quasi identica a quel numero da cui, sottraendone l’inverso, otteniamo 6
(6,616261.. – 6) ∙ 10 = 6,16261..; 6,16261.. – 1/6,16261.. = 6,000341..
Però noi sappiamo che questo numero deriva da √10, nel modo che vediamo qui sotto
1/(√10 – 3) – (√10 – 3) = 6,162277660.. – 0,162277660.. = 6
Questo significa che possiamo derivare una buona approssimazione del numero di Eulero da 1/(√10 – 3) in questo modo
1/256√(6,16227766.. 10-112) = 2,719036723.. ≈ e = 2,718281828.. (+7,548.. · 10-4
Inoltre, escludendo la potenza del 10 e sottraendo 5 (ricordiamo che 5 = (ɸ + 1/ɸ)2), quel che ricaviamo è il numero caratteristico della costante che descrive la lunghezza di Planck. Infatti
6,616261.. – 5 = 1,616261.. ≈ ℓP = 1,616252..
Visto tutto questo, forse abbiamo scoperto quel che veramente intendeva Platone quando faceva dire a Timeo che
“La terra, nostra nutrice, si muove attorno all’asse che si estende per tutto l’universo”.
Con queste parole Platone non intendeva dire, come finora si era creduto, che l’universo gira intorno alla Terra, come si crede che credano “i bambini ed i selvaggi” (in effetti, sono pochissimi gli intellettuali dell’Occidente moderno che si sono preoccupati di capire quel che credano i bambini e i selvaggi, dato che qualsiasi forma di pensiero non illuministica è stata oggetto di un aprioristico disprezzo che ne ha impedito qualsiasi genuina comprensione).
Al contrario, con queste parole Platone si riferisce a una teoria scientifica piuttosto diversa rispetto a quella che noi oggi teniamo per valida. Per questa teoria, nei numeri che misurano la durata dei cicli cosmici terrestri per mezzo di quell’unità di misura fondamentale che è il giorno solare, sono contenuti a loro volta i numeri fondamentali di quelle leggi fisico-matematiche che sono la forma logica di tutto quel che null’universo può accadere. Teoria a realtà si trovano dunque, secondo Platone, in quello stato di perfetto isomorfismo logico che Ludwig Wittgenstein aveva preconizzato nel Tractatus Logico-Philosophicus, senza però riuscire a dimostrarlo.
E in effetti, a partire da quanto abbiamo visto fino a questo momento, ci sentiamo di affermare che questa tesi platonica, lungi dall’aver a che fare con i bambini o i selvaggi, pare avere davvero qualche fondamento.
Parte Quarta:
UN ABBOZZO DELLA TEORIA DEI CAMPI UNIFICATI CHE FU CODIFICATA NELLA GRANDE PIRAMIDE
- A conclusione di questa indagine, sembra che possiamo affermare almeno 3 cose.
1) Tutte le costanti della nostra fisica si possono costruire a partire dai numeri caratteristici che furono codificati nelle misure fondamentali della Grande Piramide, vale a dire π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero
2) Questi quattro numeri mostrano avere fra di loro un sistema di relazioni armoniche che sembra proiettarsi sulle costanti della fisica, che a loro volta mostrano di formare un sistema armonico.
3) Tale sistema armonico si evidenzia in primo luogo analizzando le relazioni che si possono instaurare per via trigonometrica. Però, da quel che abbiamo potuto vedere, esso sembra esistere anche al di fuori della trigonometria, al punto che siamo giunti a ipotizzare o una nuova forma della matematica, che include in sé la trigonometria come un sottoprodotto. Oppure, inversamente, una nuova forma della trigonometria che include in sé la matematica come un sottoprodotto.
Per dare un’idea di quel che stiamo parlando, possiamo partire dalla relazione fra il raggio classico del protone (rp = 1,535 · 10-18 m) e quello dell’elettrone (re = 2,8179403267 · 10-15 m), escludendo però in un primo momento le potenze del 10. Il rapporto fra queste lunghezze è pari a
rp/re = 1,535 : 2,817940367 = 0,54472408….
Questo numero – elevato al cubo – risulta
0,54472408..3 = 0,161632…,
Questo valore, come subito si nota, va a coincidere quasi perfettamente con il numero caratteristico della lunghezza di Planck diviso per 10 (ℓP/10 = 1,616252../10 = 0,1616252..). Come abbiamo visto sopra, la lunghezza di Planck è il quanto minimo di spazio al di sotto del quale parlare di distanza o di dimensione non ha alcun senso fisico. Inclusa la potenza del 10, il suo valore corrisponde a ℓP = 1,616252.. · 10-35 m.
Il fatto che il suo numero caratteristico risulti, diciamo così, implicito nel rapporto fra il raggio classico del protone e quello dell’elettrone sembra mostrare non solo un rapporto matematicamente armonico fra delle lunghezze fondamentali, ma anche il loro rapporto simbolico-numerologico. È un po’ quello che accade quando ci rendiamo conto che possiamo considerare il valore di ħ implicito nel valore della carica unitaria cu = 1,6022, e per di più attraverso quello di c2, come possiamo vedere qui sotto
c²√cu = 8,9875590..√1,6022 = 1,053847591.. ≈ ħ = 1,054571688
Inoltre, quanto al rapporto rp/re, occorre notare ancora due cose. La prima è che esso sembra risultare con ottima approssimazione dal logaritmo naturale di π attraverso la semplice funzione che vediamo sotto
1/10 + 1/2 + rp/re = 1/10 + 1/5 + 0,54472408.. = 1,14472408.. ≈ Ln π = 1,14472988..
Vedremo più oltre il motivo per cui il rapporto che abbiamo appena esposto, che a prima vista potrebbe sembrare una forzatura, si “incastra” invece in modo perfetto con altre relazioni riguardanti il protone e l’elettrone, a fondamento delle quali sembra stare proprio il valore di π.
La seconda cosa che dobbiamo notare che è che rp/re , moltiplicato per 2 e poi elevato alla sesta potenza, ci da un valore straordinariamente simile a quello del numero caratteristico della costante che descrive la massa del protone. Il che sembra alludere a qualcosa come a una reciproca deducibilità fra i rapporti delle varie entità (in questo caso rapporti spaziali) con i valori di altre entità (in questo caso abbiamo il valore caratteristico della massa del protone)
(2 · rp/re)6 = (2 · 0,54472408..)6 = 1,08944817..6 = 1,672012 ≈ mp = 1,6725
E qui dobbiamo osservare di nuovo che la costante che descrive la massa del protone – che noi siamo inclini a considerare come del tutto estrinseco a quello del suo raggio classico – sembra in questo modo implicito al rapporto fra i raggi classici di protone ed elettrone. E un fatto come questo conferma ancor una volta l’esistenza di un sistema armonico che sta alla base dei valori delle costanti che descrivono gli elementi costituenti dell’atomo e dunque dell’universo tutto.
Ma alla fine, non è proprio questo quel che andiamo cercando da più di un secolo, ovvero un modo di descrivere il mondo unitario, in cui dunque ogni parte sia connessa con il tutto, e in cui non vi sia differenza fra la fisica che descrive l’infinitamente da quella che descrive l’infinitamente piccolo? E, a quel che pare, la teoria che stiamo “leggendo” nelle misure della Grande Piramide sembra raggiungere quest’obbiettivo, anche se per una via del tutto diversa da quella immaginata dai fisici del 20° secolo.
- Notiamo di passaggio che il valore caratteristico della costante che descrive la massa del protone (e dunque l’armonia in esso implicita) può essere ricostruito anche per via cosmologica, sia pure con un procedimento che matematici e i fisici moderni vedranno con più scandalo che costernazione (ma chissà che cosa ne direbbero quelli dell’Antico Egitto).
Come è noto, Osiride-Orione, la costellazione forse più sacra agli Antichi Egizi, scompariva dall’orizzonte per circa 70 giorni all’anno. Se dividiamo i giorni “puri” del calendario Antico Egizio (che, lo ricordiamo, erano 360, proprio come i gradi dell’angolo giro) per questi 70 otteniamo un valore pari a 5 + 1/7. Se poi dividiamo 70 per 5 + 1/7 otteniamo 13,6111… Se dividiamo 5 + 1/7 per 13,6111… arriviamo infine a 0,377842… Questo valore, moltiplicato per π ed elevato al quadrato ci porta a 1,67256, un valore molto simile a quello della costante che serve per calcolare la massa a riposo del protone.
Siamo senz’altro disposti a riconoscerlo: dal punto di vista della nostra cultura, una procedura come questa risulta del tutto assurda molto prima che infondata. Questo accade perché noi siamo abituati a pensare che, per dirla alla buona, non si possono moltiplicare le pere per le mele. Ma è del tutto possibile che in tempi antichi non si pensasse in questo modo e che la celebre frase di Pitagora, per la quale “tutto è numero” venisse intesa alla lettera. E questo accadeva perché si era capito che a fondamento dell’universo fisico inteso come quantità (o come “estensione”) vi fossero sempre e comunque gli stessi numeri caratteristici. Ed era proprio questo che potremmo definire come “panmatematicismo” – che si estendeva dalla geometria pura fino alla fisica – a rendere possibile e sensato mettere in relazione tutto con tutto: perché qualsiasi numero può esser messo sensatamente in relazione con qualsiasi numero.
E qui sembra che un certo tipo di numeri sacri (come il 70, il 360, il 72, il 18, il 54, il 3, il 4, il 5, il 6 etc.), siano davvero quel che hanno ipotizzato de Santillana e von Dechend, ovvero un codice scientifico, appartenente però a una scienza che ben poco aveva a che fare con la nostra (almeno nella sua forma logica). In fondo, non abbiamo già a questo punto ritrovato più di una volta dei valori caratteristici della fisica atomica in quelli di certi cicli cosmici che, apparentemente, con l’atomo e la sua descrizione non dovrebbero entrarci proprio nulla?
Queste ipotesi sembrano davvero fantascientifiche: eppure, proseguendo nella nostra indagine, non facciamo altro che trovare altre conferme. Possiamo ripartire per esempio da quel rapporto fra la costante di Newton G e quella di Planck h con cui avevamo chiuso la parte precedente di quest’appendice. Se lo dividiamo per l’approssimazione della massa del protone che abbiamo ottenuto sopra a partire da rp/re, troviamo un valore che va molto vicino al numero caratteristico della costante che descrive la carica unitaria cu = 1,6022, meno 1
1,0067028 : 1,67201227 = 0,60209.. ≈ cu – 1 = 0,6022
Di nuovo dobbiamo osservare: almeno quanto alla struttura dell’atomo, non vi è entità che non si relazioni armonicamente con altra entità, parte che non si relazioni con altre parti. E, attraverso le singole parti, con il tutto. E, nel caso che ci apprestiamo ad analizzare, il tipo di relazione che incontriamo suggerisce delle conclusioni che appaiono addirittura sconvolgenti.
La massa di un elettrone è di circa 1/1836 volte quella del protone. Questo è un fatto noto e largamente problematizzato dalla nostra scienza, che fino ad adesso non ha trovato alcuna spiegazione di questo rapporto. Ma, attraverso la teoria codificata nella Grande Piramide noi siamo probabilmente pronti a dare una spiegazione di questo problema, anche se, strano a dirsi, si tratta di una spiegazione puramente matematica, le cui ragioni, almeno a prima vista, sembrano del tutto astratte.
Come prima cosa possiamo rivedere il rapporto mp/re includendo le potenze del 10
mp/me = (1,6725 · 10-27) : (9,1091 · 10-31) = 0,1836076.. · 104 = 1836,076..
E qui è forse interessante notare di passaggio che se passiamo numerologicamente da questa costante all’angolo di 18°,36, vediamo che il suo seno è pari a circa π/10, mentre l’inverso del suo coseno equivale con buona approssimazione a ħ
sen 18°,36 = 0,314986519.. ≈ π/10 = 0,314159265..
1/cos 18°,36 = 1/0,949096144.. = 1,053634034.. ≈ ħ = 1,054571688..
Ma relazioni di questo genere, a cui oramai siamo largamente abituati, diventano quasi banali nel momento in cui, facendo il rapporto fra il raggio classico dell’elettrone e quello del protone vediamo che esso sembra invertirsi in modo speculare. Infatti, a dispetto della sua massa inferiore, il raggio dell’elettrone pare eguale a quello del protone moltiplicato per un numero davvero molto, molto simile a quello che, secondo le nostre indagini empiriche più accurate, mette in rapporto le due quantità di massa
re/rp = 2,8179403267 · 10-15 : 1,535 · 10-18 = 1,835791.. · 103 = 1835,791770..
Questo inquestionabile fatto empirico ci consente dunque di ipotizzare in via euristica che la massa sia inversamente proporzionale allo spazio occupato dalla carica elettrica dato che il raggio del protone risulta circa 1/1836 quello dell’elettrone. Questo potrebbe a sua volta significare che la massa (e dunque il campo gravitazionale espresso dalla massa) altro non sia che – per così dire – energia magnetica concentrata.
Dunque, in via ipotetica, se riuscissimo a concentrare l’energia dell’elettrone in un raggio equivalente a quello del protone, potremmo aumentare la sua massa in modo proporzionale (e forse invertire la sua carica). Viceversa, espandendo lo spazio occupato dalla carica elettrica del protone ridurremmo la sua massa (e dunque il suo peso) fino a un valore simile a quello dell’elettrone (invertendo anche in questo caso la sua carica).
E proprio questo potrebbe essere il modo con cui nell’antichità si riuscivano a spostare quei mostruosi blocchi di granito, del peso di oltre mille tonnellate, che nel presente noi non riusciremmo a smuovere nemmeno usando la nostra tecnica più evoluta. Inoltre, è possibile che questa operazione possa creare uno squilibrio chimico-magnetico tale per cui dei materiali durissimi possono essere ridotti a uno stato pastoso. Questo spiegherebbe la straordinaria facilità con cui gente come gli Antichi Egizi riusciva a lavorare pietre come la diorite con la stessa efficacia con cui noi lavoriamo la plastica o l’alluminio (e qui troviamo un indizio di quel che Platone poteva intendere con un termine come “condensazione”).
- Se questa ipotesi corrispondesse a realtà, sarebbe possibile costruire delle dinamo che girano sfruttando quello che potremmo definire una sorta di “volano gravitazionale”, il quale a sua volta potrebbe funzionare senza bisogno dell’aiuto di energia prodotta in centrali elettriche, che presuppongono lo sfruttamento di miniere di carbone, o di pozzi di petrolio, reti di trasmissione per l’alta tensione etc. E questo ci spiegherebbe il motivo per cui i costruttori delle Piramidi potessero avere a disposizione energia senza bisogno di tutti quegli apparati di cui abbiamo bisogno nel nostro tempo.
Inoltre, siccome il campo gravitazionale deriva da delle cariche opposte, in un contesto teorico di questo genere potremmo ipotizzare che la sua azione possa risultare a sua volta alternativamente positiva o negativa via via che si espande nello spazio in forma di onda. Questo potrebbe far sì che l’universo possa espandersi e contrarsi in un certo intervallo di tempo e di spazio senza mai arrivare alla morte termica e senza bisogno che la sua attuale fase espansiva si debba spiegare con un’esplosione originaria.
Questa scoperta ha un’altra conseguenza teorica, anche se molto più astratta di questa. Se elettrone e protone possono essere considerati come sfere allora l’elettrone avrebbe un volume di oltre sei miliardi di volte più grande del protone. Infatti, un raggio di circa 1835,791 volte superiore a quello del protone vuol dire che il volume dell’elettrone sarebbe di 1835,791…³ = 6.186.859.530 volte maggiore. Un numero che, guarda, caso risulta molto, molto vicino a (ɸCheope – 1) · 1010.
Né possiamo mancare di notare che il numero caratteristico della costante che serve per determinare il rapporto fra la forza gravitazionale e quella magnetica espressa da un elettrone è di circa 4,17. Un numero che risulta molto vicino al rapporto fra i valori costanti che servono per determinare il volume del cerchio, dato che 4/3 π = 4,188.. Considerando le grandezze in gioco, non potremmo escludere che il valore determinato per via geometrica corrisponda in modo più esatto alla realtà di quello determinato per via empirica.
Ma questo non pare il caso, dato che se facciamo la proporzione fra il rapporto esistente fra la forza magnetica e quella gravitazionale espressa rispettivamente da un protone e da un elettrone, ci rendiamo conto che il risultato è determinato ancora una volta da un valore vicino a 1835,791… al quadrato, e non al cubo
4,17 · 1042 : 1,24 · 1036 = 3.362.903,2258
Se facciamo la radice quadrata di questo numero vediamo che
√3.362.903,2258 = 1833,822…
Considerando i margini di oscillazione dovuti al principio di indeterminazione, possiamo pensare che questo rapporto corrisponda a 1835,791…2. Questo potrebbe significare che protone ed elettrone debbono essere considerati come delle superfici, e non come volumi. Questo a sua volta potrebbe voler dire che quelle moderne teorie scientifiche che considerano la terza dimensione – cioè la profondità – come un’illusione troverebbero un ulteriore fondamento. E questo sarebbe il significato profondo dell’adozione da parte degli Antichi Egizi della rappresentazione bidimensionale. Esso non sarebbe dovuto all’ingenuità stilistica o addirittura a scarse capacità di tipo tecnico, ma invece al bisogno di rappresentare gli oggetti secondo una profonda verità fisica e contro alle apparenze che ci vengono imposte dai sensi, che ci mostrano invece oggetti immersi in uno spazio tridimensionale.
Inoltre, se facciamo il rapporto fra il raggio classico dell’elettrone e del protone escludendo le potenze del dieci otteniamo un altro risultato interessante dato che
2,8179403267 : 1,535 = 1,835791743..
Se facciamo il rapporto fra questo numero e la carica elettrica unitaria – continuando a escludere le potenze del 10 – vediamo che
(re/rp)/cu = 1,835791… : 1,60217653 … = 1,145810692…
Questo numero appare estremamente significativo perché risulta praticamente identico a 1 + 1/ɸ4. Infatti
1 + 1/ɸ4 = 1 + 0,145898033.. = 1,145898033.. ≈ (re/rp)/cu = 1,145810692.. (+8,734175.. 10-5
4√[(re/rp)/cu – 1] = 4√(1,145810692.. – 1) = 4√0,145810692.. = 0,617941.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821..
A questo risultato possiamo aggiungere quelli che abbiamo trovato sopra. Escludendo le potenze del 10 avevamo fatto il rapporto inverso, trovando che
rp/re = 1,535 : 2,817940367 = 0,54472408..
Questo numero – elevato al cubo – risultava 0,161632…, un valore questa volta molto vicino a ɸ/10 . Infatti,
3 √(ɸ/10) = 3 √0,1618033988… = 0,544915565.. ≈ rp/re = 0,54472408.. (-1,914.. · 10-4
Invece, moltiplicato per 2 e poi elevato alla sesta rp/re ci dava un valore molto simile al numero caratteristico della costante che descrive la massa del protone
(2rp/re)6 ≈ (0,54472408… · 2)6 = 1,08944817..6 = 1,672012.. ≈ mp = 1,6725
Considerando la fluttuazione quantistica delle costanti che descrivono il mondo microscopico possiamo tranquillamente supporre che fra i valori sperimentalmente possibili di questi rapporti vi siano 1 + 1/ɸ5 e 3√(ɸ/10). Questo fatto ci dimostra per l’ennesima volta che si può descrivere la forma logico-fisica e geometrico-matematica di tutti gli eventi che accadono nel mondo a partire da dei calcoli assolutamente astratti, che non hanno nessun rapporto con indagini empiriche di nessun genere. Come se – diciamo così – Dio avesse creato il mondo a partire da un disegno ideale, fondato su π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero. Così che, procedendo per astrazione, si potesse arrivare a conclusioni identiche a quelle a cui di fatto la scienza occidentale è arrivata dopo lunghe e faticose indagini empiriche.
- La connessione della proporzione inversa fra il raggio classico di protone ed elettrone e la loro massa con il resto delle loro caratteristiche fisiche possiamo completarla con la scoperta, oramai non troppo sorprendente, che questo rapporto sembra riverberarsi anche nel raggio della prima orbita dell’elettrone attorno al nucleo, che corrisponde a circa 0,53 · 10-10 m (di fatto questo valore viene usato come unità di misura del raggio di tutte le orbite, che ne risultano un multiplo intero, e viene simbolizzato scrivendo 1bohr). Infatti, se facciamo il rapporto di questa distanza con il raggio classico dell’elettrone vediamo che
1bohr/re = 0,53 · 10-10 : 2,8179403267 · 10– 15 = 18808,0632.. ≈ (2/ɸCheope)3 · 103
Se facciamo la stessa operazione con il raggio classico del protone arriviamo invece a questo risultato
1bohr/rp = 0,53 · 10-10 : 1,535 · 10-18 = 34527687,296
Se dividiamo questo numero per quello che abbiamo ottenuto quanto all’elettrone, ovviamente, ritroviamo ancora una volta il numero che definisce il rapporto inverso fra il raggio e la massa di protone ed elettrone.
34527687,296416.. : 18808,0632 = 1835,791
Se invece dividiamo per 10 il valore riguardante il protone e poi facciamo la radice otteniamo
√[(1bohr/rp) : 10] = √(34527687,296… : 10) = √3452768,7296… = 1858,162729 ≈
≈ (ɸCheope – 1) · 103 · 3 = 1855,77102
Questo numero assume significato – oltre che per la sua connessione abbastanza diretta con ɸCheope – anche perché sembra stabilire una proporzione fra il raggio della prima orbita e quello di protone ed elettrone, alludendo a un altro misterioso valore costante. Infatti, se dividiamo il valore riguardante l’elettrone per dieci e poi facciamo il rapporto con √[(1bohr/rp) : 10] troviamo che
(1bohr/re)/10 : √[(1bohr/rp) : 10] = 18808,0632/10 : 1858,162729 =
= 1880,0632 : 1858,162729 = 1,0121860104…
Se facciamo la proporzione fra √[(1bohr/rp) : 10] e re/rp troviamo ancora che
√[(1bohr/rp) : 10] : (re/rp) = 1858,162729 : 1835,791… = 1,0121864248…
Inversamente abbiamo che
(re/rp) · 1,012186..2 = 1835,791.. · 1,012186..2 = 1880,80628…
Questo numero si mostra connesso anche con il raggio classico del protone dato che possiamo ricavarlo con buona approssimazione anche facendo per 4 volte consecutive il logaritmo in base 10 di 1/rp = 1/1,535 · 10-18
log (log (log (log 1/1,535 · 10-18) = log (log (log (log 651465798045602605,86..) = -1,012451..
Inoltre, 1,012186.. corrisponde in modo abbastanza esatto al rapporto fra il valore della costante di Planck h oggi giudicato più attendibile (h = 6,626) e quello misurato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso (hPlanck = 6,55), dato che
6,626 : 1,012186 = 6,5458 ≈ hPlanck = 6,55
Un’altra approssimazione di 1,012186.. la troviamo in connessione con l’angolo pari al valore di c2 = 8,98755190728516
1/cos c2 = 1/cos 8°,98755190728516 = 1/0,987722304.. = 1,012430311..
L’ultima che mostriamo è quella che è possibile ricavare da πCheope = 22/7
1/(πCheope2 /10) = 1/(3,142857..2/10) = 1/(9,877551020../10) = 1/0,987755102.. = 1,012396694..
- La presenza di un valore costante, che, diciamo così, stabilisce il ritmo dell’accrescimento dei raggi che determinano la struttura dell’atomo, sembra rinforzare l’ipotesi che abbiamo fatto sopra: che la massa sia una funzione della carica elettrica nello spazio. Infatti, se i valori riferiti alla struttura spaziale dell’atomo (e quindi i raggi: ma, ovviamente, la lunghezza del raggio determina anche quelle delle superfici e dei volumi) rispondono sempre e comunque ad una regola, o addirittura ad una legge, diventa difficile attribuirli al caso. In specie quando sappiamo già che tutte le altre entità che costituiscono l’atomo sono sottoposte a loro volta a leggi e sono fra di loro interscambiabili. Oramai da molti decenni abbiamo imparato ad attribuire alla massa dell’elettrone una lunghezza d’onda, che a sua volta ha una relazione diretta con il raggio dell’orbita: perché questo non dovrebbe essere vero per il raggio classico di protone ed elettrone?
Quindi, possiamo legittimamente ipotizzare che fra spazio e stato energetico vi sia, a livello microscopico, un’intima connessione, simile a quella che nella relatività generale troviamo fra massa ed energia. La teoria dei campi unificati Antico Egizia sarebbe dunque, per così dire, una sorta di generalizzazione della relatività generale in cui lo spazio, inteso come rapporto fra il raggio classico di elettrone e protone, entra nella definizione della massa, della carica, della distanza fra le orbite e viceversa.
Che gli Antichi Egizi fossero arrivati a una concezione di questo genere è una possibilità da prendere in considerazione perché, come abbiamo già visto e come ci apprestiamo a constatare ancora una volta, i numeri caratteristici delle costanti della nostra fisica mostrano delle relazioni molto significative con quelli dei loro calendari, oltre che con le misure della Grande Piramide. Fatto 1 il raggio classico dell’elettrone, abbiamo visto che quello del protone corrisponde a 1/1835,791.. volte questa misura. Se arrotondiamo questo numero alla cifra superiore (1836) e poi lo dividiamo per il uno dei due numeri tipici del ciclo di Sirio (che erano il 1460 e il 1461) abbiamo che
1836 : 1460 = 1,257534..
Il rapporto appare a prima vista, come già ci è successo più di una volta durante questa indagine, del tutto insignificante. Ma se poi lo eleviamo al quadrato e lo moltiplichiamo per 2 abbiamo arriviamo a un risultato molto familiare, ovvero a un numero molto vicino al coseno moltiplicato per 10 dell’angolo caratteristico della piastra di Vyse, quel 71°,5531526028.. la cui tangente è pari alla costante da cui si può ricavare la velocità della luce, a sua volta molto vicino a √10.
1,257534..2 · 2 = 3,162784762.. ≈ √10 = 3,16227766.. ≈ cos 71°,553152.. · 10 = 3,164247715..
Anche quanto alla teoria che abbiamo avanzato in quest’appendice, ovvero quanto all’atomo e all’universo come sistema armonico, possiamo avanzare un ulteriore argomento che sembra provarla in un modo che sembra definitivo. Infatti, le costanti della fisica, che dell’atomo e dell’universo sono uno specchio, mostrano al loro stesso interno dei rapporti caratteristici, che finora sono sfuggiti all’attenzione dei ricercatori. Ci stiamo riferendo al rapporto fra i numeri caratteristici e le potenze del 10.
Possiamo cominciare dalla costante gravitazionale G = 6,672 · 10-11 newton · m2/kg2. Se facciamo il rapporto troviamo che è davvero molto simile alla radice del numero di Eulero
11/6,672 = 1,64868105.. ≈ √e = 1,648721270..
Alterando minimamente la costante, in modo da restare entro i margini di variazione sperimentalmente accettati, possiamo arrivare a un rapporto il cui risultato sia esattamente √e
11/6,6718372568389.. = √e = 1,648721270..
Una cosa simile accade con la costante di Planck, almeno se andiamo a prendere il valore che fu calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo, pari a hPlanck = 6,55 · 10-34 joule · s
Ln (34/6,55) = 1,646895474969.. ≈ √e = 1,648721270..
Di nuovo, se alteriamo minimamente il valore caratteristico, arriviamo al valore esatto di √e
Ln (34/6,538051948..) = √e = 1,648721270..
D’altra parte, noi potremmo anche lasciare il valore caratteristico di hPlanck a 6,55 e operare sulla frazione potenza/numero caratteristico in modo un po’ diverso da come abbiamo fatto sopra, ottenendo ugualmente un risultato piuttosto interessante
[3√(34/6,55)]2 = (3√5,190839..)2 = 1,731460303..2 = 2,9979547.. ≈ c = 2,9979246
Alterando minimamente il valore del numero caratteristico di hPlanck, possiamo ottenere il valore esatto di c = 2,9979246
[3√(34/6,550098912774..)]2 = (3√5,190761307..)2 = 1,73145158754..2 = 2,9979246 = c
Se poi decidiamo di prendere in considerazione il valore di h attualmente giudicato più esatto, però espresso in erg, pari a h = 6,626 · 10-31 erg · s, abbiamo un’altra sorpresa, dato che troviamo il numero caratteristico della costante che descrive la massa del protone. In questo caso l’approssimazione è talmente buona che non vale la pena di andare a vedere il numero esatto
3√(31/6,626) = 3√4,678539088.. = 1,672515254.. ≈ mp = 1,6725
Accade una cosa del genere con la costante che descrive il raggio classico dell’elettrone re = 2,81777 · 10-15 m. Se facciamo il logaritmo naturale del rapporto fra la potenza del 10 e il numero caratteristico, quel che viene fuori è di nuovo il numero caratteristico della massa del protone, anche se con un’approssimazione leggermente peggiore
Ln (15/2,81777) = 1,672104409.. ≈ mp = 1,6725
Se “stiriamo” leggermente verso il basso il numero caratteristico del raggio classico dell’elettrone, entro dei margini che sembrano di nuovo sperimentalmente accettabili, ecco che il valore di mp viene fuori in modo esatto
Ln (15/2,816655536..) = mp = 1,6725
- Dunque i valori delle costanti della nostra fisica assomigliano, a quanto pare, alle misure della Grande Piramide. Analizzandole, noi ci rendiamo conto che, per esempio, mettendo in relazione la sua altezza con il suo perimetro possiamo ottenere π. Ma noi possiamo arrivare a π ugualmente analizzando la misura di un singolo lato, che risulta una funzione del numero di Eulero, di ɸ, del 10 e, appunto, di π. Nella parte c’è il tutto, nel tutto c’è la parte: ciò che appare composto è al tempo stesso anche semplice, ciò che appare semplice è al tempo stesso anche composto. Qualcosa del genere accade anche con i valori costanti della nostra fisica. Mettendo in relazione le parti logicamente significative di si costituisce, per esempio, la costante di Newton (cioè il numero caratteristico e la potenza del 10), si può arrivare un elemento della struttura di un altro valore costante. Questo accade con G, con h, con il raggio classico dell’elettrone, ma, come ci apprestiamo a constatare, anche con gli altri principali valori costanti che descrivono l’atomo, e dunque l’universo tutto.
Se prendiamo la massa a riposo dell’elettrone me = 9,1091 · 10-31 kg, attraverso il rapporto fra il numero caratteristico e la potenza del 10 arriviamo di nuovo al numero di Eulero
4√(31/9,1091) = 1,358224487.. ≈ e/2 = 1,359140914229.. (-9,164270.. 10-4
Qui si nota che la differenza fra il valore esatto di e/2 e quello approssimato risulta immediatamente un valore interessante, dato che corrisponde molto in modo quasi perfetto alla tangente della sezione aurea dell’angolo giro moltiplicata per 10-3, dato che
tg 360/ɸ · 10-3 = tg 222°,492235.. · 10-3 = 9,160819.. · 10-4 ≈ 9,164270.. 10-4
Comunque sia, anche in questo caso, se riduciamo leggermente il valore caratteristico della costante entro dei limiti che paiono sperimentalmente consentiti, ecco che dal rapporto fra il numero caratteristico e la potenza viene fuori il valore esatto di e/2
4√(31/9,084556888..) = 4√3,412384377.. = e/2 = 1,359140914229..
Anche dalla massa a riposo del protone mp = 1,6725 · 10-27 kg, attraverso lo stesso rapporto fra numero caratteristico e potenza del 10, possiamo arrivare a dei risultati molto interessanti, pur seguendo delle vie un po’ più tortuose di quelle che abbiamo seguito fino ad adesso.
In prima istanza, troviamo che il rapporto fra la potenza del 10 e il numero caratteristico ci porta vicini a un multiplo intero di ɸ
(27 : 1,6725)/10 = 16,1434977578../10 = 1,61434977578.. ≈ ɸ = 1,618033988..
Questa particolare approssimazione di ɸ è interessante perché ci consente di arrivare vicinissimi a quel numero che, elevato alla potenza di sé stesso, ci dà √10. Di nuovo, il valore che otteniamo è talmente vicino a quello effettivo (1,85816075924..)che tralasciamo di calcolare la correzione di me che dovremmo fare per ottenerlo
inv. Ln 1/1,61434977578.. = e0,619444444.. = 1,857895590863..
1,857895590863..1,857895590863.. = 3,160919929.. ≈ √10 = 3,16227766..
Per altro verso, se il rapporto fra la potenza del 10 e il numero caratteristico di mp venisse identico a 10ɸ il numero caratteristico sarebbe quello che vediamo sotto
27/10ɸ = 1,668691769.. ≈ 1,6725 (-0,00380823037528390984288510718013
Abbiamo scritto per intero la differenza perché sembra essa stessa un numero davvero molto interessante. In particolare, dalla sua radice 64sima della differenza possiamo di nuovo ricavare un valore molto vicino alla tangente della sezione aurea dell’angolo giro, mentre la sua radice quadrata va molto vicino a (1/ɸCheope)/10
64√0,003808230375283.. = 0,916639990.. ≈ tg 360/ɸ = tg 222°492235.. = 0,91608191..
√0,003808230375283 = 0,061710861.. ≈ (1/ɸCheope)/10 = 0,061784062..
Inoltre, sembra molto utile osservare che 27/10ɸ = 1,668691769.. è un valore molto vicino alla x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo qui sotto
Ln (Ln x) = (x – 1) · -1
x = 1,668996308766.. ≈ 27/10ɸ = 1,668691769.. (+3,0453914.. · 10-4
Anche in questo caso la differenza fra l’approssimazione ottenuta e il valore esatto, a dispetto delle apparenze, sembra piuttosto significativa, dato che essa corrisponde al valore della carica unitaria meno 1, elevato alla 16sima potenza. Oppure, moltiplicando per 104 la differenza e facendone il logaritmo naturale, arriviamo a un valore molto vicino ad ħ2
16√0,000304539141283.. = 0,602875.. ≈ cu – 1 = 0,6022
Ln (0,000304539141283.. · 104) = Ln 3,0453914.. = 1,113629435.. ≈ ħ = 1,112121445..
A parte questo, sembra anche molto interessante la connessione che si crea con il rapporto fra la potenza e il numero caratteristico della carica unitaria cu = 1,6022 · 10-19, dato che anche in questo modo arriviamo molto vicini alla x in grado di soddisfare l’equazione che abbiamo visto sopra, sia pure moltiplicata per 103
(19/1,6022)3 = 1667,671936.. ≈ (27/10ɸ) · 103 = 1668,691769..
- Però anche in questo caso, come era accaduto nel caso della costante di Planck, il rapporto fra la potenza del 10 e il valore caratteristico può essere trattato in modo diverso. Come prima cosa, notiamo che la sua radice nona è praticamente identica a 1 + 1/√10
9√(19/1,6022) = 9√11,858694.. = 1,316247109.. ≈ 1 + 1/√10 = 1,316227766..
Per ottenere un risultato identico a 1 + 1/√10 ci basta alterare il numero caratteristico di cu di poco meno di 2 decimillesimi
9√(19/1,602411925..) = 9√11,857125936.. = 1,316227766.. = 1 + 1/√10
Il secondo modo di trattare il rapporto 19/1,6022 è quello che vediamo qui sotto
(19/1,6022) – 10 = 1,858694295..
Questo risultato, elevato alla potenza di sé stesso va davvero molto vicino al coseno dell’angolo che ha per tangente la velocità della luce
1,858694295.. 1,858694295.. = 3,16501163.. ≈ cos 71°,553152.. · 10 = 3,164247715892..
L’approssimazione di c che possiamo ricavarne è pari a
cos x = 0,316501163..; x = 71°,548538..; tg 71°,548538.. = 2,9971204.. ≈ c = 2,9979246
È del tutto chiaro che alterando di pochissimo il valore caratteristico di cu potremmo ottenere l’esatto valore del coseno di 71°,553152..
(19/1,602220134..) – 10 = 1,858545272..;
1,858545272..1,858545272.. = 3,16424771.. = 10 · cos 71°,553152..
Però qui è necessario notare che il risultato di (19/1,6022) – 10 è anche molto vicino a quel numero che, elevato alla potenza di sé stesso ci dà √10, che abbiamo visto poco sopra. E anche in questo caso, per ottenere questo numero in modo esatto, ci basta alterare di pochissimo il valore caratteristico di cu, di modo che, ancora una volta, possiamo ipotizzare di star rientrando nei margini sperimentalmente concessi dal principio di indeterminazione
(19/1,602272088038..) – 10 = 1,85816075924..;
1,858160759241,85816075924 = 3,16227766.. = √10
Questo sottolineatura si è resa necessaria perché fra poco ci renderemo conto che √10, insieme a π, sembra stare al fondo di alcuni rapporti fondamentali fra i raggi classici di protone ed elettrone e il raggio delle orbite dell’atomo.
Possiamo terminare la nostra analisi mostrando come anche nel caso della costante che descrive il raggio classico del protone rp = 1,535 · 10-18 m, possiamo trovare un elemento significativo nel rapporto fra la potenza del 10 e il numero caratteristico
3√[(18/1,535)/10] = 3√1,172638436.. = 1,054519.. ≈ ħ = 1,054571..
- Dato tutto quel che abbiamo visto fino ad ora, è del tutto logico aspettarci che anche mettendo in relazione le costanti fra di loro troveremo ancora una volta qualcosa come un sistema armonico, ovvero un sistema di proporzioni fondato su quei numeri fondamentali che furono codificati nella Grande Piramide. In effetti, escludendo le potenze del 10, possiamo cominciare col constatare che i rapporti incrociati fra la masse e i raggi classici di protone ed elettrone corrispondono in modo piuttosto ben approssimato a relazioni fra π e ɸ
me/re = 9,1091 : 2,81777 = 3,232733686.. ≈ 2ɸ = 3,236067977..
mp/rp = 1,6725 : 1,535 = 1,089576547.. ≈ (2ɸ/π)3 = 1,092957537..
Ma, come abbiamo visto, il rapporto 2ɸ/π corrisponde in modo praticamente perfetto al rapporto fra il numero di giorni dell’anno solare con quello delle fasi lunari, dato che
365,25 : 354,36 = 1,0307314.. ≈ 2ɸ/π = 1,030072.. ≈ 3√mp/rp = 1,029009179..
La differenza con il valore che viene fuori da mp/rp appare, se non proprio trascurabile, veramente molto ridotta. E infatti vediamo che, rimanendo quasi identico il rapporto, siccome me/re è molto vicino a 2ɸ, ecco che il rapporto con 3√mp/rp ci da un’approssimazione di π che sfiora la perfezione.
(me/re)/ 3√ mp/rp = 3,232733686.. : 1,02900917.. = 3,141598492.. ≈ π = 3,141592653.. (+5,83.. · 10-6
A questo punto, nessuno si stupirà più di tanto se anche la costante che descrive il raggio della prima orbita dell’elettrone possa essere derivata con ottima approssimazione da una funzione di ɸ, oppure da una di π (in questo caso si tratta del valore assoluto, cioè compresa la potenza del 10). Il valore di questo raggio è infatti di 1bohr = 0,53 · 10-10 m. Possiamo ottenere il valore caratteristico di questa costante nei modi che vediamo qui sotto
1/(1 + 1/ɸCheope 3)3 = 1/ 1,887428.. = 0,529821…
1/{[(Ln π) – 1] ∙ 10}64 = 1/1,4472988584..64 = 1/18868008042,235.. = 5,299976.. ∙ 10-11
A questo punto possiamo dire di aver capito il significato profondo, al tempo stesso religioso e matematico-scientifico, dei numeri codificati nella Grande Piramide. Infatti, se i valori delle costanti scientifiche si possono stabilire a partire da π, da ɸ, dal 10 e dal numero di Eulero, come abbiamo visto oramai molte volte nel corso della nostra analisi, tutte le nostre leggi scientifiche si possono trasformare in funzioni di questi numeri. Ma se tutte le nostre leggi scientifiche si possono trasformare in funzioni di questi numeri, questo significa che Dio ha creato il mondo sulla base di un progetto astratto, a sua volta fondato su π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero. Solo questo può essere il significato della loro codificazione in un monumento sacro, dedicato ad Osiride, il dio della morte e della resurrezione.
Per fare degli esempi semplici e facilmente comprensibili, possiamo escludere le potenze del 10. Se la lunghezza d’onda è λ = 2πr/n, dove “n” è la serie dei numeri naturali e “r” il raggio dell’orbita, adesso possiamo ottenere il valore di λ per mezzo di una funzione di π e ɸ, che possiamo scrivere così
λ = 2π [1/(1 + 1/ɸCheope3)3] /n
Oppure, siccome da quanto abbiamo visto sopra risulta che la massa dell’elettrone si può derivare dal suo raggio con la semplice equazione
me/re = 9,1091 : 2,81777 = 3,23273… ≈ 2ɸ
abbiamo che
me = re 2ɸ
In questo modo la celebre equazione sulla lunghezza d’onda dell’elettrone di De Broglie
λ/v = h/me
considerando che, per esempio, possiamo derivare il valore di ħ dalla somma di seno, coseno e tangente di π/2, potrebbe essere così trasformata
λ/v = h/me = (sen + cos + tg π/2) · (2π/re) · 2ɸ
Ma se facciamo 1 il raggio dell’elettrone ecco che l’equazione diventa una semplice funzione di π e ɸ
λv = h/me = (sen + cos + tg π/2) · 2π/2ɸ
Sopra abbiamo visto che
λ = 2π [1/(1 + 1/ɸCheope3)3] /n
A questo punto, possiamo trasformare questa formula in questo modo
{2π [1/(1 + 1/ɸ3)3] /n} v = (sen + cos + tg π/2°) · 2π/2ɸ
Di conseguenza abbiamo che v è uguale a
v = [(sen + cos + tg π/2) · 2π] : {2ɸ {2π [1/(1 + 1/ɸ3)3] /n}}
Oppure, il celeberrimo principio di indeterminazione messo a punto da Heisenberg diventerebbe
Δx Δp ≥ 1/2 ħ = Δx Δp ≥ 1/2 (sen + cos + tg π/2)
oppure, visto che una buona approssimazione di ħ la possiamo ottenere a partire da 9√ɸ
Δx Δp ≥ 1/2 ħ = Δx Δp ≥ 1/2 9√ɸ
- Riconosciamo che a una persona abituata ai metodi di indagine usuali della nostra fisica tutte quelle che abbiamo visto fino adesso possono sembrare delle mere elucubrazioni, o quasi dei giochi di prestigio matematici, che possono avere al massimo un valore di tipo estetico. D’altra parte, occorre ricordare che a nuove teorie matematiche possono corrispondere nuove idee quanto alla struttura di materia ed energia e quindi quanto al modo di servircene. E, d’altra parte, che tutto quel che abbiamo visto fino ad adesso sia qualcosa più di un’elucubrazione ce lo mostra il fatto che a funzioni di ɸ corrispondono fatti empirici su cui tutti sono più o meno d’accordo. Per esempio, la velocità dell’elettrone nello stato fondamentale è pari a circa 2189 m/s. Nessuno si era accorto che questo valore corrisponde in modo praticamente esatto a una funzione di ɸCheope
16√2189 = 1,617206060162.. ≈ 1/ɸCheope + 1 = 1,617821554..
Connessioni di questo genere, immediate e quasi perfette, difficilmente possono essere riferite al caso. Quindi sembra molto difficile attribuire al caso la possibilità di trasformare tutti i numeri caratteristici delle costanti della nostra fisica in funzioni di π e di ɸ.
Ci occuperemo in maniera molto più ampia di questo problema nei lavori successivi. Ma, per dare un’idea delle possibilità che ci si aprono, faremo ancora qualche esempio molto semplice. Uno dei più semplici è questo che vediamo sotto, in cui ricaviamo il valore di rp a partire da una funzione di πCheope, di ɸ e del 10
rp = (πCheope : 2) : {1 + [(1 : ɸ3) : 10]} = 1,571428.. : 1,023606.. = 1,53518.. ≈ rp = 1,535
Si noti che avremmo potuto ottenere lo stesso risultato passando per l’ottima approssimazione di ħ che possiamo ottenere da ɸCheope, nel modo che vediamo qui sotto
4√[1 + (ɸCheope – 1)3 = 4√(1 + 0,61859034..3) = 4√1,236706073.. = 1,054548..
A questo punto, dividendo ɸCheope per l’approssimazione di ħ così ottenuta, arriviamo di nuovo al numero caratteristico della costante che descrive il raggio del protone
ɸCheope : 4√[1 + (ɸCheope – 1)3 = 1,61859034.. : 1,054548.. = 1,534865.. ≈ rp = 1,535
Il numero caratteristico della costante che descrive la massa del protone mp lo possiamo derivare dal diametro del protone diviso per il numero caratteristico della costante (rp/re = 1,835791.. · 103) che stabilisce la proporzione fra il raggio dell’elettrone e quello del protone. A ennesima dimostrazione che la struttura dell’atomo si fonda su un sistema armonico, noi possiamo ricavare tale numero caratteristico a partire da uno di quelli sperimentalmente possibili del raggio classico del protone, dato che
(rp2 – 1)2 = (1,534572790..2 – 1)2 = (2,354913650.. – 1)2 = 1,354913650..2 = 1,835791..
Curiosamente, questo numero può essere ottenuto per via numerologica anche a partire dal numero delle particelle elementari conosciute dai Dogon, che è 266, dato che
266 · (2π + 1/ɸ) = 266 ∙ 6,901219… = 1835,724.. ≈ re/rp = 1835,791
Questa che abbiamo appena visto potrebbe essere qualcosa di più che una semplice curiosità, dato che i Dogon hanno conservato per millenni quelli che possiamo considerare senz’altro come dei resti dell’antica scienza ermetica Antico Egizia. Comunque sia, a questo punto, dividendo il diametro del protone per il risultato che abbiamo appena ottenuto abbiamo
3,07 : 1,835791 = 1,6725 = mp
Un valore sperimentalmente possibile del numero caratteristico della costante che descrive la carica unitaria cu = 1,6022 · 10-19 joule lo possiamo derivare dividendo il numero caratteristico di rp/re = 1,835791.. · 103 per 1 + 1/ɸCheope 4
1,835791.. : (1 + 1/ɸCheope 4) = 1,835791.. : 1,145697.. = 1,602334.. = cu = 1,6022
Qui è abbastanza interessante notare che il numero caratteristico della costante che descrive il rapporto re/rp è piuttosto vicino, ma non identico, a quello che descrive il rapporto fra la forza elettrica e quella gravitazionale espresse da un protone e quello dell’elettrone. La forza elettrica repulsiva che troviamo fra due elettroni è 4,17 · 1042 volte maggiore che quella attrattiva espressa dal campo gravitazionale. Nel caso del protone questo stesso rapporto vale 1,24 · 1036. Il rapporto fra queste due proporzioni è pari a
4,17 · 1042 : 1,24 · 1036 = 3362903,2258..
Facendo la radice quadrata abbiamo che
√336203,2258 = 1,833822.. · 103
- È bene che il lettore sappia che il lavoro che abbiamo svolto fino ad adesso riguardo all’atomo come sistema armonico-matematico non è altro che un’introduzione a quello che svolgeremo a partire da The Snefru Code parte 11. Comunque sia, pur nella loro brevità, gli appunti che abbiamo preso ci mostrano che fin da adesso possiamo trasformare tutte le equazioni della “vecchia” meccanica quantistica in funzioni di ɸ e π.
E proprio questo, delle funzioni matematiche di ɸ, di π, del 10 e del numero di Eulero potrebbero essere quelli che Platone chiama “elementi”. Siccome nel suo pensiero – come del resto in quello Antico Egizio – non vi era alcuna differenza fra astratta teoria geometrico-matematica e realtà, si poteva benissimo intendere una funzione matematica come un elemento della realtà microscopica, o come un ciclo cosmico, etc. Una funzione è un “elemento” nel senso che è la forma che può prendere quello che possiamo definire come “l’etere matematico” che sarebbe la “materia” di cui si costituisce il mondo. Ed è per questo che nel Timeo si ripete più e più volte che ogni elemento si trasforma continuamente l’uno nell’altro: perché, nel giorno in cui noi fossimo capaci di proiettare tecnicamente sul mondo quelle equazioni che abbiamo visto sopra, noi diventeremmo capaci di trasformare qualsiasi cosa in qualsiasi altra cosa, dato che, a livello matematico, l’atomo sembra costituito in modo tale che ogni suo elemento si possa trasformare in ogni altro.
Tanto per fare un esempio, in questa teoria il campo gravitazionale risulterebbe un’emanazione di una particolare distribuzione nello spazio del campo magnetico. O, viceversa, siccome massa e campo magnetico sono connessi per mezzo del raggio classico, il campo magnetico risulterebbe da una particolare distribuzione nello spazio del campo gravitazionale (e dunque della massa).
Questa non è – in senso assoluto – una novità, dato che già la teoria della relatività ci aveva avvertito che l’energia può essere pensata come uno stato della materia, e la materia uno stato dell’energia. Si tratta solo di portare il pensiero matematico di Einstein alle sue estreme conseguenze. E una volta portato alle sue estreme conseguenze, esso non si distinguerebbe più dal monofisismo in quanto teoria religiosa. In effetti, se queste ipotesi matematiche corrispondessero a realtà, avremmo che ogni entità è sé stessa e anche tutte le altre, e che tutte sono Una.
In un ambito come questo lo spazio stesso andrebbe considerato alla stregua di una forza: cambierebbe così completamente di significato il valore di d² in una formula come quella di Newton. Questo valore non sarebbe più da intendersi come l’effetto passivo di un entità amorfa (appunto, la distanza) ma come quello attivo di una forza che si oppone agli effetti della massa su altra massa, e quindi come una sorta di forza di gravità di segno contrario.
Questo fatto può sul momento scioccarci e sembrarci del tutto incomprensibile, ma è bene ripeterlo: questa non è altro che la teoria della relatività portata alle sue estreme conclusioni. Se la massa può avere un effetto sullo spazio-tempo, perché lo spazio-tempo non dovrebbe avere un effetto sulla massa?
Parte Quinta:
LE MISURE DELL’ARCA DELL’ALLEANZA E I “NUMERI DEL DILUVIO” IN RELAZIONE ALLA SCIENZA ERMETICA ANTICO EGIZIA CHE FU CODIFICATA NELLA GRANDE PIRAMIDE
- L’indagine scientifica che ci aspetta per comprendere il significato della Grande Piramide è dunque molto, molto più difficile di quel che ci si aspetterebbe da una cultura cui in via ufficiale si attribuiscono una matematica e un’astronomia a livello delle nostre scuole elementari, o poco più. E, a quanto pare, la scienza ermetica Antico Egizia ebbe degli influssi profondi su quella Ebraica, come possiamo constatare andando a indagare sul possibile senso scientifico di alcuni numeri che vengono riportati nell’Antico Testamento.
Nel libro di Graham Hancock “Il Mistero del Santo Graal” (Capitolo Sesto, p. 128) viene riportato un fatto apparentemente insignificante. Alla metà del XIX secolo un delegato del patriarca d’Armenia si era recato in visita Abissinia. Il suo intento era quello di smentire che in tutta la nazione si credesse fermamente che l’Arca dell’Alleanza era stata trasportata a Axum e che vi fosse ancora conservata. Dopo aver interrogato a lungo i sacerdoti assumiti il delegato – il cui nome era Dimotheos – era riuscito a farsi mostrare una tavola di marmo rossastra, lunga 24 cm, larga 22 e spessa 3. Secondo i sacerdoti era une delle due tavole di pietra contenute nell’Arca. Il volume di queste due tavole ammonta complessivamente a 1584 x 2 = 3168 cm³: e già un risultato come questo dovrebbe spingerci a delle riflessioni un po’ inquietanti.
Infatti, nelle indagini che abbiamo svolto fino ad adesso, ci siamo resi conto che cifre molto vicine a questa presentano un profondo significato scientifico. Tanto per fare un esempio, se dividiamo 3168 per 103 otteniamo un numero vicino a √10 e dunque anche al valore della costante che ci serve per trasformare il valore caratteristico di ħ in quello di G (pari a 2 · 3,163369582..). Se lo dividiamo per 104, arriviamo al coseno di un angolo piuttosto vicino a quello che ha per tangente la costante da cui si ricava la velocità della luce. Infatti
3168 : 103 = 3,168 ≈ G/2ħ = 3,163369582.. ≈ √10 = 3,162277..
cos x = 3168 : 104 = 0,3168; x = 71°,530487..; tg 71°,530487.. = 2,9939784.. ≈ c = 2,9979246
1/sin 71°,530487.. = 1/0,948492361.. = 1,054304.. ≈ ħ = 1,054571..
E qui possiamo notare di passaggio che se facciamo il rapporto fra l’angolo che ha una tangente uguale a 2ɸ e quello con la tangente uguale a c e poi eleviamo il risultato al cubo, arriviamo a un numero di nuovo molto simile a ħ
tg x = 2ɸ; x = 72°,827962149486..; tg x = c; x = 71°,55315260287..;
(72°,827.. : 71°,553..)3 = 1,017816..3 = 1,054406.. ≈ ħ = 1,054571..
D’altra parte, se dividiamo 3168 per 3000 abbiamo 1,056, un numero anche questo che non va molto lontano dal numero caratteristico di ħ.
Quindi, almeno dal punto di vista numerologico, le proporzioni dell’Arca appaiono piuttosto significative. Per arrivare a cifre perfettamente congrue con quelle capaci di darci le costanti delle nostre leggi fisiche più importanti è sufficiente immaginare che le misure della tavola di marmo siano state prese in modo (molto) leggermente errato.
- Secondo l’Antico Testamento, l’Arca che conteneva le tavole misurava 2,5 cubiti di lunghezza, 1,5 cubiti di larghezza e di altezza. Già così come sono queste misure appaiono molto significative. La lunghezza diviso la larghezza da 1,6666…, un numero molto vicino al numero d’oro (1,618033988…) e che per di più rappresenta la costante per trasformare i sessantesimi di grado in centesimi di grado. Però, si può ipotizzare che queste misure siano state trascritte in modo leggermente sbagliato, per non trasgredire un segreto ermetico, rappresentato da misure ben più significative. Dunque, possiamo immaginare che l’Arca avesse una lunghezza di ɸ² = 2,618033988.. cubiti, e una larghezza e un’altezza di ɸ = 1,618033988.. cubiti. Teniamo presente che ɸ/π = 0,515036..: numerologicamente questa cifra è molto simile all’inclinazione della Piramide di Cheope che, misurata in gradi e sessantesimi di grado, è pari a circa 51°51’. Se davvero le misure fossero quelle che abbiamo ipotizzato, l’Arca potrebbe contenere delle allusioni alla Piramide e alla sapienza in essa contenuta, dato che, come abbiamo visto, la sezione aurea del 3 elevata alla potenza di sé stessa da come risultato un’approssimazione straordinariamente buona di π. Dunque, delle misure basate sul numero d’oro possiamo considerarle strutturalmente connesse anche con π.
Comunque sia, anche così come sono le misure dell’Arca conservano delle chiare allusioni sia a ɸ che a π. A livello di ipotesi, possiamo assumere che l’unità di misura dell’Arca fosse il mezzo cubito. In questo modo la sua lunghezza è pari a 5 volte 0,5 cubiti, la larghezza e l’altezza pari a 3 volte 0,5 cubiti. Possiamo costruire così questa proporzione, caratterizzata dal 3 e dal 5 (che, giova ricordare, sono il quarto e il quinto numero della serie di Fibonacci):
(2,5 x 1,5 x 0,5) : 3 = 0,625 ≈ 1/ɸ = 0,618033988..
Ci basta aggiungere 5 a questa proporzione (e, lo ricordiamo (ɸ + 1/ɸ)2 = 5) ed otteniamo un’ottima approssimazione della costante di Planck
5 + [(2,5 ∙ 1,5 ∙ 0,5) : 3] = 6,625 ≈ h = 6,626
Inoltre 0,625 moltiplicato per 5 ci da 3,125, un numero che da un lato risulta molto vicino all’approssimazione di π che troviamo nel sarcofago di Djedefre (3,12179…: ma vedremo meglio quest’argomento in The Snefru Code parte 7). Ma ancora più importante sembra il fatto che, interpretando numerologicamente questa cifra come un angolo pari a 3°,125, troviamo che la sua tangente è pari a 0,054595…, un valore praticamente identico a ħ – 1.
I 2,5 cubiti di lunghezza risultano significativi anche rispetto all’angolo giro (e dunque anche rispetto ai giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio) perché 360 : 2,5 = 144, un numero che corrisponde a 2 Giorni Precessionali arrotondati alla cifra intera (72 · 2 = 144) e anche al 12° numero della serie di Fibonacci. La radice di questo numero ci da di nuovo il 12, il numero di mesi dell’anno solare Antico Egizio. L’angolo giro diviso per 12 ci porta all’angolo di 30°, che dal punto di vista numerologico ha caratteristiche molto simili a quello di 60°, e da cui nel corso di questo lavoro abbiamo tratto un gran numero di informazioni scientifiche.
Sembra quindi che anche che le misure dell’Arca possano essere interpretate come un codice scientifico ermetico, accessibile solo ad iniziati. È vero: per le persone colte della nostra epoca questo modo di codificare nozioni scientifiche risulta come minimo enigmatico, e poco comprensibile. In particolare il ricorso alla numerologia ci sembra degno di popolazioni selvagge, più che di scienziati degni di questo nome. D’altra parte, dobbiamo tener presente che il nostro approccio alla cultura scientifica potrebbe essere a sua volta visto come enigmatico e indegno di persone civilizzate. In effetti, a quel che pare di capire, quei numeri che per noi non sono altro che meri strumenti per controllare le forze della natura, nell’antichità erano visti quasi come le note di quell’armonia divina che s pensava costituisse la legge segreta del cosmo.
- La nostra ipotesi viene rafforzata dal fatto che il ciclo di Sirio, diviso per c2 · 102 da un risultato pari a
(1461 : 2,99792462) : 100 = 1,625581..
Ma questa non sembra altro che la relazione fra le misure dell’Arca più 1. In pratica, la relazione fra il ciclo di Sirio e c2 corrisponderebbe alla relazione fra il settimo e il settimo membro della serie di Fibonacci (13/8 = 1,625) mentre l’Arca corrisponderebbe a quella fra il quinto e il sesto (5/8 = 0,625). Tutto questo ci spinge a supporre che ciò che si è chiamato “Arca dell’Alleanza” fosse la stella Sirio e i numeri connessi con il suo ciclo, che a loro volta contenevano i numeri fondamentali di quelle conoscenze fisiche che danno all’uomo potere sulla natura. A loro volta, quei racconti che parlano dell’Arca che va dall’Egitto a Israele, e poi da Israele all’Etiopia potrebbero non essere altro che un modo ermetico di alludere a osservazioni astronomiche che sono possibili prima in un luogo e poi in un altro.
Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che successivamente nella cristianità ci si è riferiti alla Vergine Maria come ad un’Arca dell’Alleanza. E i legami fra la figura della Vergine e quella di Iside – una divinità il cui simbolo astronomico principale era appunto la stella Sirio – sono chiari fin dall’Apocalisse. Fra le molte altre cose che potremmo citare per provare la fondatezza di questa ipotesi, pare significativo il fatto che in Egitto sia stata trovata una figura che rappresenta Iside coronata di 12 stelle che poggia i piedi sulla Luna: proprio come la donna incinta di cui si parla nell’Apocalisse (è facile dunque immaginare che il drago che la perseguita possa essere una trasfigurazione di Seth). In questo modo, avremmo spiegato anche come mai Flegetanis, un personaggio del Parsifal di Wolfram von Eschenbach, la versione forse più ermetica fra quelle che sono state scritte, «vedeva segreti nascosti nelle costellazioni (e) dichiarò che vi era una cosa chiamata Graal di cui leggeva distintamente il nome nelle stelle».
La nostra ipotesi presuppone dunque dei legami molto stretti fra la cultura ebraica e quella Antico Egizia, molto più stretti di quelli che fino ad oggi gli storici sono stati disposti ad ammettere. Ma c’è da dire che la svalutazione dei legami culturali fra questi due popoli si deve molto di più a dei pregiudizi che all’analisi storica propriamente detta. Per esempio, Dio si manifesta a Mosè con il nome di Yahwhè sul monte Sinai, dopo che il popolo d’Israele si sarebbe allontanato dall’Egitto. Ma la parola, tolte le consonanti, questo nome diventa Yhw, che era un nome comune della divinità solare nell’Antico Egitto intorno al 1000 AC. Potremmo tradurre il suo significato come “splendore”, o “sole splendente”: non a caso la sua manifestazione a Mosè prende la forma di un cespuglio che arde senza consumarsi.
Inoltre, possiamo ricordare che secondo la legge ebraica viene considerato ebreo chi nasce da madre ebrea. Ma l’Antico Testamento ci dice che la moglie di Abramo era sterile (anche se poi ebbe un figlio intorno ai 90 anni). Così, la prima Eva del popolo ebraico fu una serva di sua moglie, che però era un’egiziana. Dunque, se seguiamo la testimonianza dell’Antico Testamento, dobbiamo pensare che il popolo egiziano e quello ebreo sono strettamente imparentati, dato che, secondo la concezione matrilineare della discendenza, la discendenza di Abramo è per metà di sangue egiziano.
- Dunque non stupisce che anche nei numeri connessi al Diluvio e all’Arca di Noè vi siano probabilmente delle allusioni ermetiche a una sapienza Antico Egizia che può esser stata assorbita dal popolo ebraico per mezzo della mediazione di una casta di sapienti, il cui simbolo biblico è quel Mosè che, come tutti sappiamo, secondo la tradizione veterotestamentaria venne adottato dalla figlia del Faraone ed educato come un nobile egiziano. Prendiamo per esempio i numeri connessi con le date
17° giorno del 2° mese
17° giorno del 7° mese
1° giorno del 10° mese
1° giorno del 1° mese
27° giorno del 2° mese
Se facciamo la sommatoria di quelli riferiti ai mesi (2 + 7 + 10 + 1 + 2 = 22) e di quelli riferiti ai giorni (17 + 17 + 1 + 1 + 27 = 63) e poi facciamo il prodotto viene fuori un numero apparentemente del tutto insignificante, il 1386. Ma se facciamo il rapporto con il numero tipico del ciclo di Sirio (che, lo ricordiamo, corrisponde a 4 volte i giorni di un anno solare medio, dato che 4 · 365,25 = 1461) abbiamo che
1461 : 1386 = 1,054112.. ≈ ħ = 1,054571..
Un numero molto simile salta fuori anche nel Timeo, quando Platone indica l’intervallo armonico minimo usato dal Creatore per generare il mondo, che è di nuovo uno di quei valori di ħ che si collocano fra quello che fu stabilito da Planck all’inizio del secolo scorso (ħPlanck = 1,042464..) e quello attualmente giudicato più esatto (ħ = 1,054571..)
1,054571..≥ ħ ≥ 1,042464..
256 : 243 = 1,053497.. = ħ
La costante di Dirac mostra anche delle sorprendenti connessioni con i cicli astronomici più importanti per il pianeta Terra, dato che il suo numero caratteristico viene fuori anche dal rapporto fra il numero di giorni di un anno solare e quello di un cosiddetto “Anno delle Eclissi”, in modo molto simile peraltro a quello in cui la possiamo ottenere da π e da √c
1,054571..≥ ħ ≥ 1,042464..
365,25 : 346,6 = 1,053808.. = ħ
√{[π : √(c – 1)] : 2} = √[(3,141592653.. : √1,9979246)/2] = √(2,222594.. : 2) =
= √1,111297.. = 1,054180.. = ħ
Un numero simile viene fuori anche facendo la (346,6 : π)-radice di 346,6, dato che
346,6 : π√346,6 = 110,32…√346,6 = 1,054438..
Sembra anche notevole il fatto che, attraverso la mediazione del numero di Eulero, dalla durata dell’Anno delle Eclissi possiamo ottenere un risultato ci riporta di nuovo alla serie di Fibonacci e dunque alle misure dell’Arca
[(346,6 : 102) : e]2 = 1,625803.. ≈ 13/8 = 1,625
- Anche nella Grande Piramide troviamo qualcosa del genere. Se consideriamo che le sue misure in cubiti (lato 440, altezza 280) si possono derivare dal numero di giorni puri dell’anno solare (360) aggiungendo o togliendo 80, possiamo costruire una proporzione che di nuovo ci porta a un valore sperimentalmente possibile di ħ
1,054571..≥ ħ ≥ 1,042464..
(360 : 280) : (440 : 360)= 1,051948.. ≈ ħ =
Possiamo derivare un numero molto simile a questo usando uno dei due numeri tipici del ciclo di Sirio, oppure 1/ɸ4 : il che significa che possiamo ricavare un’ottima approssimazione di 1/ɸ direttamente dal ciclo di Sirio e anche dall’altezza della Piramide espressa in metri (146,57)
1460 : 10√1460 = 146√1460 = 1,051171..
1/ɸ · 10³√(1/ɸ4· 104) = 145,8980337..√ 1458,980337.. = 1,051203304..
4√1461/104 = 4√0,1461 = 0,618247763.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618540346..
4√(146,57/103) = 0,618744386.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618540346..
Un altro risultato interessante lo possiamo ricavare dividendo l’altro numero tipico del ciclo di Sirio, il 1460, per l’altezza della Piramide di Chefren (143,5 m), dato che
1460 : 143,5 = 10,1742…≈ 2ɸπ = 10,1664..
Invece, dividendo la durata dell’anno solare per l’altezza della Piramide di Chefren arriviamo a
365,25 : 143,5 = 2,5452…≈ πɸ/2 = 2,5416.
Non possiamo nemmeno tralasciare di notare che il ciclo di Sirio – diviso per il numero di giorni di un “Anno delle Eclissi” – da luogo ancora una volta a un’approssimazione di ɸ, dato che
3√(1461 : 346,6) = 3√4,215233.. = 1,615376.. ≈ ɸ = 1,618033988..
Invece, diviso per un anno di fasi lunari, il risultato è uguale a
1460 : 354,36 = 4,120103.. ≈ (ɸCheope2/2) · πCheope = 4,116883..
Se i risultati della nostra ricerca fossero validi, saremmo dunque arrivati al punto di capire il significato di quelle strane leggende che circolano intorno all’Arca dell’Alleanza e soprattutto intorno ai suoi misteriosi poteri. Se essa contiene simbolicamente, per esempio, segreti scientifici riguardanti la luce e la radioattività, ecco che il fatto che Mosè abbia un viso intollerabilmente luminoso quando discende dal monte Sinai – dove l’ha ricevuta direttamente dal Signore – diventa un’allusione mitica alla potenza scientifica che è ermeticamente contenuta nelle misure e dunque nei numeri che definiscono l’Arca. Come abbiamo visto poco sopra, una banale piastra di ferro, conformata e letta in un certo modo, può contenere in codice i fondamenti della scienza e dunque dei suoi altrimenti inconcepibili poteri.
Questo vuol dire che a far crollare le mura di Gerico – posto che questo racconto si riferisca effettivamente a un fatto storico – non sarebbe stata l’Arca stessa, ma la potenza che dalla scienza in essa contenuta fu derivata, che però nel racconto gli viene simbolicamente attribuita. Un modo di esprimersi un po’ strano, ma comprensibile: un po’ come se noi dicessimo che fu Einstein a distruggere Hiroshima e Nagasaki, o che è lui a far funzionare le centrali nucleari. Prese alla lettera, queste descrizioni sono senz’altro fuorvianti. Però, in un senso morale o simbolico sono senz’altro delle verità. In fondo, Einstein stesso si sentì moralmente (e dunque simbolicamente) responsabile del potere distruttivo che venne ricavato dalla sua teoria.
CONCLUSIONE
Il lavoro che abbiamo svolto fino ad adesso in quest’appendice non lo consideriamo affatto definitivo. Esso non è altro che una preparazioni a indagini scientifico-matematiche che siano in grado di dimostrare in modo più soddisfacente di come abbiamo fatto in queste pagine l’ipotesi storico scientifica di fondo della nostra ricerca: che l’arte sacra Antico Egizia nel suo insieme non sia altro che una proiezione figurativa o architettonica di una teoria dei campi unificati fondata su π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero.
Tuttavia, già a questo punto ci sentiamo di poter esser certi che quel meraviglioso e quasi miracoloso sistema di congruenze fisico-astronomiche e metrologico-trigonometriche che abbiamo scoperto in queste pagine non può essere un caso.
Che vi sia un sistema decimale in cui 130√103 ha come risultato la costante fondamentale della meccanica quantistica, che si trova a sua volta codificata nell’angolo corrispondente alla divisione fra l’esponente della radice e quello della potenza, che a sua volta corrisponde a uno di quelli che si trovano nel range di variazione dell’inclinazione dell’asse polare della Terra in relazione a quello dell’eclittica: come pensare che tutto questo possa essere un sistema di coincidenze fortuite? Basta adottare una trigonometria in cui l’angolo giro viene suddiviso in un numero qualsiasi di parti diverso da 360, oppure una metrologia diversa da quella di fatto in uso, ed ecco che questo sistema di corrispondenze salta tutto.
Sembra perciò del tutto chiaro che il sistema metrico decimale e tutto quel che ne viene di conseguenza (compreso 130√103 = 1,054573…) è arrivato fino alla cosiddetta Modernità attraverso tradizioni ermetiche che nate nelle profondità di tempo e circostanze imperscrutabili: l’unica cosa certa in questo mistero è che lo scenario con cui abbiamo a che fare non a nulla a che vedere con quello della teoria evoluzionista, che viene di fatto smentita da ognuna delle scoperte che abbiamo fatto fino ad ora.
D’ora innanzi, studiando la geometria di tradizione pitagorica, dobbiamo domandarci: chi è riuscito a mettere a punto un sistema astratto che potesse corrispondere in modo tanto minuzioso alle quantità rilevate dalla fisica microscopica? Infatti, se la somma di un tangente, seno e coseno di un angolo pari a π/2 corrisponde a ħ; se facendo 1/x con x pari al coseno di un angolo il cui seno è pari a 1/π (questo è l’angolo di 18°,560744..) troviamo di nuovo ħ; se elevando al quadrato la somma di seno e coseno di questo stesso angolo troviamo un valore vicinissimo alla carica elementare; se sommando seno e coseno e tangente di questo stesso angolo troviamo il valore della carica elementare “in persona”: come possiamo anche solo osare di immaginare che tutto questo sia un sistema di coincidenze? Come possono le coincidenze formare un sistema? Il sistema è sempre e comunque opera dell’intelligenza!
Al contrario, qui sembra di poter constatare – attraverso questi esempi e attraverso tutti gli altri esempi che potremmo fare – che la trigonometria ruoti misteriosamente attorno a π e ɸ, e che questo accada perché i suoi inventori si sono accorti che realtà stessa ruota attorno a questi numeri.
Questa scoperta sembra dimostrare in modo inequivocabile che l’uomo – se da qualcosa discende – non è certo dalla scimmia: la saggezza che ha messo a punto questa meraviglia ha radici che affondano in zone imperscrutabili del tempo e forse anche dello spazio di cui forse non possiamo neppure vagamente immaginare la profondità.
Forse il destino ultimo di questa nostra civiltà morente, l’ultimo destino che è rimasto a chi è rimasto oramai senza destino, è quello di scoprire la terra dove queste radici affondano. Ed è bene affrettarci, perché il tempo che ci rimane non è molto.
Appendice 2: ALCUNI APPUNTI SUL CONCETTO PITAGORICO DI “ARMONIA DELLE SFERE” A PARTIRE DALLA TERNA PITAGORICA RICAVATA DAI NUMERI TIPICI DEL SISTEMA CALENDARIO MAYA HAAB’-TZOLKIN
I numeri tipici del sistema calendario Maya Haab’-Tzolkin sono, come noto, il 18 e il 13. Il calendario Haab’ era un calendario solare, composto da 20 mesi di 18 giorni ciascuno, per un totale di 360 giorni. Era completato, come quello Antico Egizio, da 5 giorni che venivano considerati particolarmente infausti, perché si credeva che in quei giorni i morti tornassero sulla Terra a chieder conto ai vivi del male ricevuto (gli Antichi Egizi credevano che in quei giorni nascessero gli déi, ed è per questo che li consideravano “fuori dal tempo”). Il calendario solario Maya viene definito “vago” perché, come quello Antico Egizio, non prevedeva il recupero dei circa 0,25 giorni in più che occorrono alla Terra per completare la sua orbita. Dunque, nel corso dei secoli, le stagioni erano destinate a spostarsi lungo il calendario, fino a tornare al punto di partenza dopo circa 365,25/0,25 = 1461 anni solari (cioè la durata di un ciclo di Sirio).
Quanto al secondo membro del sistema – il calendario Tzolkin – non è ancora del tutto chiaro a quale ciclo cosmico fosse riferito. Esso durava 260 giorni, divisi in 20 unità di 13 giorni ciascuna. Siccome il 20 era il numero comune al sistema, era il 13 che lo caratterizzava rispetto al calendario Haab’, come il 18 caratterizzava quello Haab’ rispetto a quello Tzolkin.
Dal 13 e dal 18, come da qualsiasi coppia di numeri interi, si può ricavare una terna pitagorica cui corrisponde un triangolo rettangolo che ha le seguenti misure
13² + 18² = 169 + 324 = 493 IPOTENUSA
18² – 13² = 324 -169 = 155 CATETO MINORE
2 · 13 · 18 = 468 CATETO MAGGIORE
La dimensione dell’ipotenusa e quella del cateto minore sembrano connesse alla velocità della luce e al numero d’oro, nei modi che possiamo vedere qui sotto
Ln (Ln 493)Ln (Ln 493) = 1,824631413524..1,824631413524.. = 2,9960453.. ≈ c = 2,9979246
Ln (Ln 155) = 1,618085437.. ≈ ɸ = 1,618033988..
{[Ln (Ln (Ln (Ln 155) · -1] + 1}2 = 1,731381646..2 = 2,9976824.. ≈ c = 2,9979246
L’area del rettangolo che si può costruire sui cateti è pari a 155 · 468 = 72540. La sua radice 243sima (35 = 243 : i due numeri da cui si ottiene il valore dell’esponente sono il quarto e il quinto della serie di Fibonacci, che abbiamo già incontrato analizzando le dimensioni dell’Arca) è molto vicina a π/3,
243√72540 = 1,047134278.. ≈ π/3 = 1,047197551.. (-6,327.. · 10-5
L’angolo acuto α è pari a 18°,324694..
sen α = 0,314401.. ≈ 2 + Ln π/10 = 0,314159265..
1/cos α = 1/ 0,949290060.. = 1,053418803.. ≈ ħ = 1,054571688..
L’angolo ottuso β è pari a 71°,675305..
La somma di seno coseno e tangente di questo angolo è pari a
sen + cos + tg 71°,675305.. = 4,283046522.. ≈ 2π – 2 = 4,283185307..
(sen α + cos α)2 – 1 = 1,26369…2 = 1,5969.. – 1 = 0,596916..
L’ultimo risultato che abbiamo ottenuto è straordinariamente simile al risultato del rapporto fra la costante del momento magnetico del protone 2,793 e quella della sua massa a riposo, dato che
1,6726231 : 2,793 = 0,598862.. ≈ (sen α + cos α)2 – 1 = 0,596916..
La tangente dell’angolo β 71°,675305.. è uguale a 3,019354..
La tangente dell’angolo opposto al cateto maggiore del triangolo rettangolo ricavato dal piatto di metallo ritrovato al termine del Pozzo Stellare Sud della Camera del Re – corrispondente a un angolo di 71°,55315.. – era pari a c = 2,9979246. La differenza fra i due valori è pari a 0,0214.
Il rapporto fra l’ipotenusa e il cateto maggiore è pari a 493 : 468 = 1,0534188…; questo stesso rapporto, nel caso del piatto di metallo Antico Egizio, era pari a 1,05416554, con una differenza pari a -0,00074674. La differenza con ħ = 1,054599 è pari a -0,001180196, cioè a poco più di 11 decimillesimi.
Un numero molto simile viene fuori anche nel Timeo, quando Platone indica l’intervallo armonico minimo usato dal Creatore per generare il mondo, che è di 256 : 243 = 1,053497. In questo caso la differenza è di -0,0000782.
Viste le informazioni scientifiche che possiamo ricavare dai numeri tipici del calendario Maya che conosciamo meglio, possiamo ipotizzare che anche gli altri calendari possano avere dei punti di interesse. Il nostro punto di vista culturale ci spinge a disprezzare, più o meno inconsciamente, un approccio teorico in cui non si fa distinzione fra i fatti descritti dalla teoria e la teoria stessa. Dunque, a nessun astronomo moderno viene in mente che nei numeri tipici dei cicli astronomici possano nascondersi a loro volta le costanti delle teorie che li descrivono. D’altra parte, le cose che abbiamo visto di sopra sembrano un indizio che ad aver torto siamo noi e non la scienza preistorica.
Per esempio, tutti sappiamo che il dio Antico Egizio della sapienza, il dio Thot, era una divinità lunare. Forse quest’attributo non dipendeva dal fatto che gli scienziati Antico Egizi erano superstiziosi, ma invece dalla presa di coscienza che nei cicli lunari erano nascoste delle nozioni importanti. La lunghezza del mese sinodico lunare vale 29,5306 giorni solari medi. La lunghezza del mese siderale vale 27,322 giorni solari medi, quindi risulta essere più corto di circa 2 giorni rispetto a quello sinodico. Dal loro prodotto possiamo ricavare il valore della costante di Planck in modo altrettanto preciso che diretto
Ln (29,5306.. · 27,322..) = Ln 752,1910532.. = 6,622990.. ≈ h = 6,626
Quest’approssimazione della costante di Planck risulta piuttosto “speciale” perché se prendiamo un valore molto simile a questo (h = 6,62213016..), lo dividiamo per 2 e poi facciamo il prodotto fattoriale, quello che viene fuori è il valore esatto di c2
3,31106508..n! = 8,987551905727.. = c2
Questo inciso, in realtà, apre un nuovo capitolo della nostra indagine intorno al sistema armonico formato dalle costanti della fisica, dato che, per esempio, il valore della costante di Planck calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso si può ricavare dal prodotto fattoriale del diametro classico del protone dp = 3,07
3,07 n! = 6,555986.. ≈ hPlanck = 6,55
Il valore di questa scoperta è confermato dal fatto che sommando h/2 a √10 otteniamo un’ottima approssimazione di 4ɸ
(h/2 + √10)/4 = (3,31106508.. + 3,16227766..)/4 = 6,473342../4 = 1,618335.. ≈ ɸCheope = 1,618590..
Anche la costante gravitazionale G mostra simili rapporti con ɸ2. Come abbiamo già detto, il valore del numero caratteristico di G è piuttosto indeciso, e i valori che possiamo trovare andando un po’ in giro per Internet variano di solito fra il “classico” 6,67 fino al 6,673. Se scegliamo l’approssimazione che vediamo qui sotto, il suo prodotto fattoriale non è altro che ɸ2 · 103
6,6714316674..n! = 2618,033988.. = ɸ2 · 103
Anche dal valore del numero caratteristico del raggio della prima orbita – anche questo un valore un po’ “elastico”, a causa del principio di indeterminazione, pari a circa 0,531 – possiamo ottenere dei risultati molto significativi. In particolare, se aggiungiamo 1 al valore che vediamo qui sotto – anche questo da ritenersi senz’altro uno di quelli sperimentalmente possibili – possiamo ottenere il numero di Eulero
[(1 + 0,53119162197..)n!] · 2 = (1,53119162197.. n!) · 2 = 1,35914091422.. · 2 = 2,718281828.. = e
Un altro numero caratteristico particolarmente “ballerino” è quello che viene usato per definire il raggio classico dell’elettrone. Se adottiamo l’approssimazione che vediamo qui sotto, che si discosta dai valori più comuni (che valgono circa re = 2,81777) di poco più di un millesimo, e da essa ricaviamo il diametro, quella che otteniamo è la durata dell’anno solare
2re n! = (2 · 2,815978..)n! = 5,631956.. n! = 365,25..
Il valore del numero caratteristico della costante che descrive la massa dell’elettrone è pari a circa me = 9,1091, mentre quello del protone è pari a circa mp = 1,6725. Alterando leggermente il numero caratteristico della massa del protone, in modo tale da farlo rientrare ancora una volta entro i margini del principio di indeterminazione, otteniamo di nuovo un valore molto interessante dato che
(me/mp)n! = (9,1091../1,6723457..)n! = 5,446900123..n! = 261,80339.. = ɸ2 · 102
Il prodotto fattoriale di circa 6,49.. corrisponde con buona approssimazione al rapporto fra la massa del protone e quella dell’elettrone, e fra il raggio classico dell’elettrone con quello del protone. Dividendo per 4 e poi facendo l’inverso si trova la lunghezza di Planck meno 1
6,4901683..n! = 1835,791.. = re/rp
6,49025..n! = 1836,0836.. = mp/me
1/(6,49025../4) = 0,616309.. ≈ ℓP – 1 = 0,616252..
Anche dal rapporto fra i due numeri, il cui prodotto fattoriale ci da rispettivamente π e ɸ otteniamo un risultato interessante, dato che ci porta vicinissimi alla radice cubica del numero di Eulero
2,44861811103.. n! = 3,1415926535.. = π
1,75730916416.. n! = 1,6180339887.. = ɸ
2,44861811103.. : 1,75730916416.. = 1,393390622.. ≈ 3√e = 1,395612425..
Il numero il cui prodotto fattoriale ci dà l’inverso del valore della carica unitaria sembra invece connesso al numero caratteristico della lunghezza di Planck ℓP per mezzo di π
1/cu = 1/1,6022 · 10-19 = 6241418045279204607,8477339653551= 20,311129435..n!
20,31112.. : 4π = 1,616307.. ≈ ℓP = 1,616252
Invece il numero connesso all’inverso della lunghezza di Planck sembra avere questa strana caratteristica: che facendo per 4 volte il suo logaritmo naturale otteniamo un risultato molto vicino alla sua radice ottava moltiplicata per meno 1
1/ℓP = 1/1,616252.. ∙ 10-35 = 6,1871539834.. ∙ 1034 = 31,58340824818..
Ln (Ln (Ln (Ln 31,58340824818) = -1,539841.. ≈ 8√31,5834085.. ∙ -1 = -1,539686..
Il numero esatto è solo di circa 4 millesimi superiore
Ln (Ln (Ln (Ln 31,587226..) = -1,539710033.. = 8√31,587226.. = 1,539710033..
Una cosa del genere accade anche con il raggio classico del’elettrone, dato che
1/re = 1/2,81777 ∙ 10-15 = 354890569492896,86525159966924199 = 16,9992164218.. n!
Questo numero è particolarmente vicino – oltre che al 17 – anche alla x in grado di soddisfare l’equazione che vediamo qui sotto
1/(x n!) = Ln x ∙ 10-15 = 2,833056.. ∙ 10-15; x = 16,9973262..
Dopo aver visto tutti questi esempi, è del tutto chiaro che si crea l’aspettativa ch questo genere di relazioni riguardi tutti i numeri fondamentali che descrivono l’atomo. E la nostra aspettativa non va delusa. Se prendiamo il valore assoluto del raggio classico del protone (prima avevamo preso in considerazione solo il suo numero caratteristico), vediamo che – facendo due volte consecutive il logaritmo di quel numero da cui possiamo ricavare il suo inverso mediante il prodotto fattoriale – possiamo ottenere un rapporto che nel corso della precedente analisi è risultato molto interessante, vale a dire mp/rp
1/rp = 1/1,535 ∙ 10-18 = 6,51465798.. ∙ 1017 = 19,562220905..n!
Ln (Ln 19,562220905..) = 1,089773.. ≈ mp/rp = 1,6725 : 1,535 = 1,089576547..
Invece, analizzando quel numero dal cui prodotto fattoriale possiamo ottenere l’inverso del valore assoluto della massa del protone, otteniamo una connessione con il numero caratteristico della lunghezza di Planck, come era accaduto nel caso della carica unitaria e del rapporto (in valore assoluto) fra le masse e i raggi classici di protone ed elettrone
1/mp = 1/1,6725 ∙ 10-27 = 5,979073.. ∙ 1026 = 26,1200733.. n!
√(26,1200733../10) = √2,61200733.. = 1,616170.. ≈ ℓP = 1,616252..
Invece, nel caso della massa dell’elettrone, possiamo ottenere il numero caratteristico della massa del protone
1/me = 1/9,1091 ∙ 10-31 = 1,0978032956.. ∙ 1030 = 28,381669793779..n!
Ln √28,381669793779.. = 1,672871.. ≈ mp = 1,6725
Infine, nel caso del numero il cui prodotto fattoriale ci dà l’inverso della costante di Dirac, otteniamo un valore che ci riporta al punto di partenza delle nostre ricerche, ovvero alla Piramide di Cheope, dato che questo numero è vicinissimo a πCheope2
1/ħ = 1/1,054571688.. ∙ 10-34 = 9,48252272.. ∙ 1033 = 31,0413062662..n!
3√31,0413062662.. = 3,142775.. ≈ πCheope = 3,142857.. (-8,185.. 10-5
A quanto pare, possiamo rintracciare dei rapporti armonici fra le costanti della fisica anche per mezzo del prodotto fattoriale, come era accaduto per mezzo della trigonometria e dei quattro numeri codificati nella misura del lato della Grande Piramide espresso in cubiti, vale a dire π, ɸ, il 10 e il numero di Eulero. Sembra dunque, quei numeri che avevamo creduto il prodotto casuale di una del tutto trascurabile convenzione culturale, sono in realtà parte di un sistema in cui regna qualcosa che potremmo definire come una super simmetria trigonometrico-matematica in cui ogni parte contiene in sé delle relazioni logiche con almeno un’altra parte. Analizzarla nel dettaglio sarà però lo scopo di un lavoro successivo, dato che lo scopo di questi appunti era del tutto diverso.
Prima di abbandonare l’argomento che stavamo trattando dobbiamo qui sottolineare che – a parte il metodo che abbiamo utilizzato sopra – ve ne è anche un altro – molto diverso dal solito – che possiamo usare per ricostruire il valore assoluto delle costanti della fisica. Questo metodo consiste nell’elevare un numero alla potenza di sé stesso moltiplicato per -1 (in simboli, nel fare n-n).
Inseriamo questo argomento perché alcuni dei numeri in questione si connettono all’argomento di questa appendice perché corrispondono in modo quasi perfetto ai numeri caratteristici del sistema calendario Haab’-Tzolkin.
Il primo esempio è il numero da cui, facendo n-n, possiamo ricavare il raggio classico dell’elettrone
13,044418..-13,044418.. = 2,817953.. ∙ 10-15 = re
Subito si nota che 13,044418.. corrisponde in modo in modo quasi perfetto al numero di giorni solari da cui è costituita una delle 20 unità da 13 giorni di cui è costituito il calendario Tzolkin. D’altra parte, questo numero corrisponde ancor meglio alla durata espressa in giorni del ciclo di retrogradazione dei nodi della luna (6792,6 giorni) diviso per la durata di due anni “Tzolkin” (2 ∙ 260 = 520), dato che
6792,6 : 520 = 13,062692.. ≈ 13,044418.. (+0,018274..
Questa connessione ci fornisce un indizio molto interessante su quale fosse il ciclo cosmico di riferimento di questo calendario, che doveva essere proprio il ciclo di retrogradazione dei nodi della luna.
D’altra parte, il corpo microscopico connesso con la luna sembra essere l’elettrone, dato che il suo raggio classico corrisponde, come abbiamo visto, da un lato all’inverso del numero di giorni dell’anno delle fasi lunari (354,36 giorni) per 1012. Dall’altro, a un’ottima approssimazione dell’unità del calendario Tzolkin elevata al suo stesso valore moltiplicato per -1: e il calendario Tzolkin pare fatto apposta per misurare il ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna.
Per altro verso, possiamo notare che 13,044418.., se da un lato si connette il valore assoluto del raggio classico dell’elettrone (incluse cioè le potenze del 10), dall’altro lato si connette con il raggio classico della particella dotata di carica opposta, vale a dire il protone, dato che da esso possiamo ricavare un’ottima approssimazione del numero caratteristico della costante che descrive il suo raggio classico (rp = 1,535 ∙ 10-18). L’associazione numerologica fra questa particella e il sistema calendario Haab’-Tzolkin è completata dal fatto che la potenza del 10 è proprio quel 18 che è anche il numero caratteristico del calendario Haab’
6√13,044418.. = 1,534278.. ≈ rp = 1,535
L’interesse dell’unità caratteristica del calendario Tzolkin non si esaurisce con il raggio classico dell’elettrone, dato che moltiplicandola per 2 e facendo n-n corrisponde in modo quasi perfetto alla lunghezza di Planck
26,001181..-26,001181.. = ℓP = 1,616252.. ∙ 10-37
Da 26,001181.. possiamo ricavare di nuovo un’ottima approssimazione del numero caratteristico della lunghezza di Planck, nel modo che vediamo qui sotto
1 + 1/(√26,001181.. : π) = 1 + 0,616103.. = 1,616103.. ≈ ℓP – 1 = 0,616252..
Il valore del numero caratteristico della lunghezza di Planck salta fuori anche dal numero da cui possiamo ricavare il raggio classico del protone
15,107029.. -15,107029.. = 1,535 ∙ 10-18 = rp
Ln (15,107029../3) = 1,616547.. ≈ ℓP = 1,616252..
Dividendo 15,107029.. per 3πCheope, possiamo ricavare il valore caratteristico della costante che descrive la carica unitaria cu = 1,6022 ∙ 10-19, mentre dividendolo per c = 2,9979246 possiamo ottenere un’ottima approssimazione di 1 + 1/ɸCheope
15,107029../3πCheope = 1,602260.. ≈ cu = 1,6022
Ln (15,107029.. : 2,9979246) = Ln 5,039162.. = 1,617239.. ≈ 1 + 1/ɸCheope = 1,617821552..
Si nota che 15,107029.. è particolarmente vicino a ee = 15,154262.., e che ee/π ci da una buona approssimazione del numero caratteristico del raggio classico del protone
ee/π = 2,718281..2,718281.. : 3,141592..2 = 15,154262.. : 9,869604.. = 1,535447.. ≈ rp = 1,535
Il valore del raggio classico del protone sembra connesso anche con il ciclo solare, dato che la radice quinta del suo inverso corrisponde a circa 10 volte il ciclo annuale del sole. Infatti
5√(1/1,535 ∙ 10-18)/10 = (5√651466816893464643,859..)/10 = 365,4 ≈ 365,25
Che a durata dell’anno solare non corrisponda a un valore qualsiasi ce ne possiamo rendere conto anche dal fatto che 10ɸ – elevato alla potenza di sé stesso – ci dà a sua volta una buona approssimazione di 365,25, anche se moltiplicata per 1017
10ɸ10ɸ/1017 = 364,611.. ≈ 365,25..
Anche il valore che ci serve per ottenere l’inverso della carica unitaria assume significato in relazione alla nostra ricerca, perché corrisponde più o meno a 5πCheope
15,712057..-15,712057.. = cu = 1,6022 ∙ 10-19
15,712057.. : 5 = 3,142411.. ≈ πCheope = 3,142857..
Un altro numero con caratteristiche piuttosto familiari è quello da cui si può ricavare la massa dell’elettrone, dato che se lo dividiamo per 7 otteniamo una buona approssimazione di 10/π
22,285035.. -22,285035.. = 9,1091.. ∙ 10-31
22,285035../7 = 3,183576.. ≈ 10/π = 3,183098..
La scoperta di queste proporzioni ci fa capire quanto sia profondo e sensato paragonare l’atomo a un piccolo sistema solare. Essa ci spinge inoltre ad indagare a fondo su quella che i pitagorici chiamavano “armonia delle sfere”, che è quel che faremo proseguendo questi appunti, trovando la conferma che mondo macroscopico e microscopico sono l’uno il riflesso dell’altro, dato che paiono dominati dalle stesse proporzioni. Proporzioni che sono rimaste invisibili in parte a causa dei metodi da noi usati per portare avanti le nostre indagini, in parte a causa del fatto che, per tutta una serie di motivi, la modernità è arrivata a pensare che l’immagine dell’universo come una struttura armonica generata da una divinità secondo “numero e misura” sia una superstizione degna di menti selvagge o comunque sia poco evolute. Il che ha fatto sì che, ove le tracce di una simile struttura emergessero, venivano inesorabilmente attribuite al caso.
Ma che un giudizio di tal genere fosse in realtà un pregiudizio lo possiamo dimostrare attraverso innumerevoli esempi, in cui possiamo constatare che i numeri caratteristici delle nostre costanti si relazionano in vario modo non solo fra di loro, ma anche ai numeri caratteristici dei calendari antichi. Per fare un altro esempio, possiamo ricavare un valore come la costante per ricavare la velocità della luce c = 2,9979246 – moltiplicato però per 10-15 – ancora una volta dal numero tipico del calendario Tzolkin
13,02706527..-13,02706527.. = 2,9979246 ∙ 10-15
L’inverso di questo numero è
13,02706527..13,02706527.. = 333564083934438,041..
Ebbene, che questo numero mantenga qualcosa come una “struttura significativa” anche in questa forma, diciamo così, un po’ allungata, ce ne possiamo rendere conto dal fatto che se lo dividiamo per π6 otteniamo la durata dell’anno delle eclissi. Se lo dividiamo per π9 otteniamo il quadrato di quel numero cui facendo la radice usando come esponente il numero stesso otteniamo la costante di Dirac (in simboli n√n = ħ). Se lo dividiamo per π13 otteniamo una buona approssimazione di 360/π. Se lo dividiamo per π14 otteniamo l’anno solare.
(13,02706527..13,02706527.. / π6)/109 = 346,96.. ≈ 346,6 anno delle eclissi
√(13,02706527..13,02706527.. / π9)/1010 = √1,11900088.. = 1,057828379391..
1,057828379391..√1,057828379391.. = 1,054582.. ≈ ħ = 1,054571..
√(13,02706527..13,02706527.. / π13)/106 = 114,8764.. ≈ 360/π = 114,5915..
(13,02706527..13,02706527.. / π14)/105 = 365,66.. ≈ 365,25
Sembra del tutto chiaro che proseguendo l’analisi di quegli n-n dai quali è possibile generare le costanti della nostra fisica troveremo che ognuno di essi presenta delle relazioni significative con altre costanti, oppure con quei quattro numeri fondamentali che sono stati codificati nella Grande Piramide, vale a dire π, ɸ e il numero di Eulero. Ma un’analisi di questo genere esorbita il compito che si siamo dati in questi appunti, e la rimandiamo dunque ad un lavoro successivo.
Ritornando all’argomento che stavamo trattando prima di questa lunga interruzione, ovvero la possibile sapienza scientifica contenuta nei numeri caratteristici dei cicli lunari, ci restava ancora da osservare che è possibile ottenere un’ottima approssimazione della costante di Planck anche dalla semplice durata del mese sinodico nel modo che segue
Ln 27,322..2 = Ln 746,491684.. = 6,615384.. ≈ h = 6,626
Si nota anche la durata di un mese draconitico, pari a circa 27,21 giorni solari, risulta piuttosto vicina a 10 volte il numero di Eulero (21,1828..), e che usando questa cifra come potenza di e possiamo ricavare un’ottima approssimazione di ɸCheope – 1 nel modo che segue
128√e27,21/2 = 1,23686273../2 = 0,618431369.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346..
Interessante sembra anche il fatto che si possa ricavare la durata del mese draconitico anche per mezzo della durata del mese solare Antico Egizio, che durava 30 giorni
Ln 308 = Ln 656100000000 = 27,209579.. ≈ 27,21 (-4,209.. · 10-4
Questo significa a sua volta che dalla durata del mese Antico Egizio possiamo ricavare un’ottima approssimazione di ɸCheope – 1
16√30/2 = 1,23685867../2 = 0,618429336.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346..
Un ragionamento molto simile vale anche per il numero di Eulero, dato che
128√e10e/2 = 128√(2,718281..27,18281.. = 128√638775107281,49538.. =
= 1,2366001../2 = 0,61830005.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346..
Procedendo in modo molto simile possiamo ricavare un’ottima approssimazione di h da ɸCheope
[Ln (Ln (ɸCheope 2 – 2)128)] = [Ln (Ln 1,239669416..128)] ∙ 2 = Ln (Ln 877310904199,161..) · 2 =
= 3,314190632.. · 2 = 6,628381265.. ≈ (3 + π/10) · 2 = 6,628318530.. ≈ h = 6,626
E qui sembra abbastanza notevole che la differenza fra Ln (Ln (ɸCheope 2 – 2)128 e (3 + π/10) · 2 sia ancora una volta molto vicina a (3 + π/10) · 2, dato che
Ln (ɸCheope 2 – 2)128 – [(3 + π/10) · 2] = 6,273498.. · 10-5 ≈ [(3 + π/10) · 2] · 10-5 = 6,628318530.. · 10-5
Ci rendiamo conto che questo genere di procedimenti matematici possono apparire, come si dice, tirati per i capelli, o, peggio ancora, come una mistificazione numerologica, che mostra delle connessioni fra cose che fra di loro non hanno proprio niente a che spartire. Ma, a parte il fatto che nell’antichità connessioni di questo genere erano prese molto sul serio – e noi stiamo studiando una scienza molto antica, non la scienza moderna – dobbiamo anche ricordare come la costante che descrive il raggio classico del protone non sembra altro che l’inverso della durata dell’anno delle fasi lunari (354,36 giorni solari) moltiplicata per 1012 (e 10 è il numero di giorni della settimana Antico Egizia e 12 il numero dei mesi dell’anno solare Antico Egizio)
1/2,81794.. · 10-15 = 354,869.. · 1012 ≈ 354,36 · 1012
D’altra parte, si nota che un’ottima approssimazione del valore di ħ sembra codificata nei due numeri caratteristici del calendario Maya Haab’ – il 20 e il 18 – dato che
√(20 : 18) = √1,111111.. = 1,054092553.. ≈ ħ = 1,054571688..
Conviene quindi prendere molto sul serio le indagini che andiamo facendo sui calendari antichi, dato che in essi potrebbe essere nascosta una sapienza che oltrepassa e di molto il sapere che abbiamo depositato nelle nostre teorie scientifiche.
Noi abbiamo messo all’indice ogni ricerca di armonia nel cosmo, certi che tutta quella che possiamo contemplare attorno a noi è frutto di un mero caso. Ma può darsi che questa ipotesi interpretativa, praticata e insegnata per di più con un certo fideismo da gran parte dei nostri scienziati, ci abbia condotto su una strada sbagliata. Forse, quegli scienziati e quella scienza antica di cui tanto si è preso gioco il positivismo logico, avevano raggiunto un grado di chiarezza teorica che a noi fino a questo punto è rimasto completamente sconosciuto.
In effetti, la pervasività di un certo tipo di rapporti sembra dapprima impressionante, e tende a lasciare increduli: poi però, comincia a diventare convincente.
Se analizziamo un altro ciclo molto importante per i Maya, che era quello di Venere, in prima istanza possiamo notare che Venere compie 13 rivoluzioni intorno al Sole nel tempo in cui la Terra ne compie 8. Questo rapporto è dato dal fatto che mentre la Terra impiega 365,25 giorni per compiere il suo giro, Venere ne impiega solo 225, il che fa sì che il rapporto fra questi cicli sia pari a 365,25 : 225 = 1,62333.., cioè un numero molto simile a quello che viene fuori dai due termini successivi della serie di Fibonacci 13 e 8 (13 : 8 = 1,625). Inoltre, da questo rapporto possiamo ricavare ancora una volta una buona approssimazione del numero caratteristico della lunghezza di Planck nel modo che vediamo qui sotto
1 + (1/1,623333..) = 1 + 0,616017.. = 1,616017.. ≈ ℓP = 1,616252..
Se invece prendiamo in considerazione solo il numero dei giorni “puri” del calendario solare, abbiamo che 225/360 = 5/8 = 0,625. Questo rapporto è identico a quello che abbiamo trovato sopra analizzando le misure dell’Arca.
Questo ci rimanda allo stesso rapporto che viene fuori dal ciclo di Sirio diviso per 2 volte la costante da cui si ricava la velocità della luce e poi per 102. Infatti, come abbiamo visto sopra
1461 : (2,9979246) : 100 = 1,625..
Ovviamente, mettendo in rapporto il ciclo di Sirio con quello di Venere otteniamo di nuovo lo stesso numero, dato che
(1461 : 225) : 4 = 1,623333..
Le analisi che abbiamo fatto prendono in considerazione il ciclo di Venere osservato dal punto di vista del Sole. Prendendo come punto di riferimento la Terra, il ciclo appare in modo del tutto diverso. Infatti il pianeta scompare verso il crepuscolo, per ricomparire poi 8 giorni dopo al mattino poco prima dell’alba. Dopo 263 giorni (circa 9 mesi) di vagabondaggio nel cielo si riavvicina al sole e scompare di nuovo, rimanendo apparentemente assente per circa 50 giorni mentre passa dietro il Sole. E qui conviene ricordare che 50 è il numero di anni che impiega Sirio B per compiere la sua orbita attorno a Sirio A: questo sembra un punto di contatto numerologico molto importante fra la religione astronomica Maya e quella dei Dogon, che sembra ereditata da quella Antico Egizia.
Questa ipotesi sembra rafforzata dal fatto che dividendo il numero di giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio per 50 abbiamo che 360 : 50 = 7,2, una chiara allusione numerologica al 72. A sua volta, 72 : 50 = 1,4444…, che ovviamente allude al 144.
Inoltre, il fatto che Sirio e Venere siano rispettivamente la stella e il pianeta più luminosi che possiamo osservare dalla Terra e che abbiano in comune il numero 50 spinge a ipotizzare che possano essere stati associati alla stessa divinità. Quindi, non è impossibile che nell’Antico Egitto anche Venere potesse esser stata associata ad Iside – almeno a livello ermetico: e questo spiegherebbe il fatto che di tale associazione non sia rimasta traccia scritta.
Una traccia che però potrebbe essere rimasta nella Bibbia. Infatti, i primi cinque libri dell’Antico Testamento sono stati scritti secondo un codice tale per cui le 5 lettere della parola “torah” vengono scandite seguendo un ordine basato sul 50. Per esempio, se a un certo punto troviamo una “t”, contando 50 lettere si troverà una “o” e dopo altre 50 una “r” etc. E ovviamente il 50 risulta una cifra numerologicamente connessa con altre cifre importanti. Sopra abbiamo visto che il periodo di invisibilità di Venere è proprio di 50 giorni, e che di 50 anni risulta il ciclo di Sirio B intorno a Sirio A.
Comunque sia, dopo questo periodo di invisibilità di 50 giorni, Venere ridiventa visibile per altri 9 mesi circa. In questo periodo la sua luminosità cresce fino a raggiungere il massimo.
Venere completa questo ciclo in 584 giorni, un numero che i Maya avevano registrato accuratamente e che per loro era naturalmente sacro. In prima istanza, possiamo constatare la connessione di questo numero con ɸ, dato che
584 ≈ (2ɸ2 + 1ɸ) · 102 = 585,41..
Del resto, anche i i due semicicli di 263 giorni sono molto vicini a
ɸ2 · 102 = 261,8033..
Se facciamo il rapporto fra il totale di 584 giorni e il parziale di 263 otteniamo un valore molto vicino a 2ħ2
584 : 263 = 2,220532319.. ≈ 2ħ2 = 2,224242890..
L’approssimazione di ħ che riusciamo a ricavarne è molto simile a quella che abbiamo ricavato dalla terna pitagorica ottenuta a partire dai numeri caratteristici del sistema calendario Haab’-Tzolkin
√(2,220532319.. : 2) = √1,1102661595.. = 1,053691.. ≈ 1/cos α = 1,053418803.. ≈ ħ = 1,054571688..
E qui viene spontaneo constatare che i due numeri tipici del calendario Tzolkin sono parimenti connessi a ɸ2, dato che il 260 dei giorni totali di un ciclo Tzolkin è più o meno pari a ɸ2 · 102 = 261,8, mentre una frazione di 13 giorni è più o meno pari a ɸ2 · 5 = 13,090..
Se facciamo il rapporto fra la durata del ciclo osservata dal punto di vista del Sole (225 giorni) e quella osservata dal punto di vista della Terra vediamo che il risultato ha di nuovo a che fare con il numero d’oro, mentre se lo rapportiamo con l’anno solare torna fuori di nuovo il rapporto fra il quinto e il sesto numero della serie di Fibonacci (5/8) che pare essere alla base delle misure dell’Arca
√(584 : 225) = √2,595555.. = 1,611072.. ≈ ɸ = 1,618033.. (-0,00696..
365,25 : 584 = 0,6254280.. ≈ 5/8 = 0,625
In rapporto al ciclo di Sirio vediamo che questo numero assume ugualmente dei motivi di interesse, dato che – se prendiamo il secondo numero tipico del ciclo, il 1460 – vediamo che il rapporto risulta pari a 1460 : 584 = 2,5, cioè in pratica alla lunghezza in cubiti dell’Arca. E abbiamo visto sopra che questo numero è molto significativo sia rispetto all’angolo giro sia rispetto ai giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio, perché 360 : 2,5 = 144, un numero che corrisponde a 2 Giorni Precessionali arrotondati alla cifra intera (72 · 2 = 144), come anche al 12° numero della serie di Fibonacci. A livello numerologico questo sembra molto importante, dato che la radice di 144 ci da di nuovo il 12, il numero di mesi dell’anno solare Antico Egizio, senza contare che attraverso il 144 e il 72 possiamo costruire numerologicamente un’ottima approssimazione del valore di π nel modo che segue (si noti che i valori delle potenze che utilizziamo per la nostra costruzione numerologica sono ancora una volta il 3 e il 5, ovvero il quarto e il quinto numero della serie di Fibonacci, e che l’inverso dei coseni di 72° e 144° sono rispettivamente pari a 2ɸ e a 2/ɸ)
inv. Ln 1 + 144/103 + 72/105= e1,14472 = 3,141561.. ≈ π = 3,141592..
Inoltre, come abbiamo visto nella prima appendice, il 144 è un numero che ha profondamente a che fare con le costanti della fisica delle particelle.
In questo contesto, sembra particolarmente importante notare come 584, moltiplicato per πCheope = 22/7 ci da la costante che fissa il rapporto inverso fra il raggio classico dell’elettrone re e quello del protone rp
584 · πCheope = 1835,428.. ≈ re/rp = 1835,791..
Una stranezza del pianeta Venere è che per girare intorno a sé stesso impiega un tempo maggiore che a girare intorno al Sole, cioè 243 giorni terrestri contro 225. Il prodotto di queste due cifre è parimenti molto interessante, dato che corrisponde in modo abbastanza esatto a e4 ∙ 103, mentre il rapporto corrisponde abbastanza bene alla radice ottava della sezione aurea del 3
4√[(243 ∙ 225) : 103] = 4√(54675 : 103) = 4√54,675 = 2,719237.. ≈ e = 2,718281..
(243 : 225)8 = 1,088 = 1,850930.. ≈ 3/ɸ = 1,854101.. (-0,003171..
Curiosamente, se rapportiamo numerologicamente la durata del periodo di Venere intorno a sé stesso con il periodo della Terra attorno al Sole (365,25 giorni) otteniamo lo stesso risultato che rapportando la distanza della Terra dal Sole (149.600.000 km) con quella di Marte dalla Terra (225.300.000 km).
365,25 : 243 = 1,503086.. ≈ 225300000 : 149600000 = 1,506016..
Inoltre, se rapportiamo numerologicamente il periodo di Venere attorno a sé stesso con lo stesso ciclo terrestre espresso in ore (24) otteniamo parimenti un risultato piuttosto interessante
√(243 : 24) = √10,125 = 3,181980.. ≈ 10/π = 3,183098..
Un altro pianeta importante per i Maya fu appunto Marte, la cui orbita intorno al Sole, che dura 643 giorni, presenta dei motivi di interesse sia se rapportata con il ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, con quello di Sirio (che però vale solo se osservato da un punto di osservazione come Giza) sia se rapportata con la durata di quella di Venere
643 : 346,6 = 1,855164.. ≈ 3/ɸ = 1,854101..
1461 : 643 = 2,27216174.. ≈ √ɸ + 1 = 2,272019649..
643 : 225 = 2,857777.. ; (2,857777.. – 1) (2,857777.. – 1) = 3,160316.. ≈ √10
Anche il periodo di rotazione di Marte su sé stesso risulta interessante dal punto di vista numerologico, oltre al fatto che dura più o meno quanto quello della Terra, ovvero 24 ore e 37 minuti. Infatti, le 24 ore possono essere scritte come un giorno, e dunque con un 1, mentre i 37 minuti equivalgono a 0,616666.. ore, dunque come 1,6166666.., cioè come un numero molto simile a ɸ = 1,618033.. e ancora più vicino al numero caratteristico della lunghezza di Planck ℓP = 1,616252.. D’altra parte, il logaritmo di 643 diviso per 4 è ancora una volta molto vicino alla lunghezza di Planck
(Ln 643) : 4 = 6,466144.. : 4 = 1,616536.. ≈ ℓP = 1,616252..
Già il calcolo che abbiamo visto sopra ci dice che la durata dell’orbita di Marte attorno al Sole è molto vicina a quel numero il cui logaritmo naturale è uguale al numero stesso diviso per 102, che corrisponde in pratica a 4ɸ ∙ 102
Ln x = x/102 = 6,4727751243940046947410578927245..
x = 647,27751243940046947410578927245.. ≈ 4ɸ ∙ 102 = 647,21359549995793928183473374626
In realtà, un giorno marziano vale 1,025694444.. giorni terrestri. Se facciamo il rapporto con la durata dell’orbita di Marte intorno al Sole otteniamo un numero che a questo punto dovrebbe apparirci davvero molto familiare
643 : 1,02569444.. = 626,892.. ≈ (h – 6) ∙ 103 = 626
Questa proporzione può sembrare, come si dice, tirata per i capelli, ma già nel corso delle pagine precedenti abbiamo visto che il valore di h sembra avere un significato che va ben al di là di quello meramente fisico. Per esempio, moltiplicato per 102, equivale in modo abbastanza preciso a (√ɸ)27
27√(h ∙ 102) = 27√662,6 = 1,272010785.. ≈ √ɸ = 1,272019649..
Comunque sia, per quanto ne sappiamo attraverso le testimonianze scritte, per i Maya furono importanti soprattutto i movimenti periodici di Marte, di cui registrarono accuratamente le fasi di “moto retrogrado”, nelle quali il pianeta, sopravanzato dalla Terra nella sua orbita attorno al Sole, pare retrocedere nella sua parabola lungo l’eclittica. Il numero di giorni che intercorre fra le metà di due periodi retrogradi è 780, un numero che, come subito si vede, corrisponde esattamente alla durata di 3 periodi Tzolkin di 260 giorni l’uno.
Questo particolare ciclo di Marte, messo in rapporto con quello di Sirio (che, lo ricordiamo, corrisponde al tempo in cui il calendario solare “vago” Haab’ tornava al punto di partenza) consente di nuovo di ritrovare un rapporto con dati importanti della fisica delle particelle, dato che da esso, per mezzo di π, abbiamo modo di ricavare una buona approssimazione del numero caratteristico della costante che descrive la massa del neutrone mn
1: [(1461 : 780) : π] = 1,677236 ≈ mp = 1,6749
Usando “c” al posto di π troviamo un numero caratteristico che viene fuori dalle misure dell’Arca, dato che
(1461 : 780) : 2,9979246 = 0,624791.. ≈ 5/8 = 0,625
Invece, moltiplicato per 4 e diviso per 103, questo ciclo di Marte ci riporta al numero tipico del sarcofago di Djedefre, il 234, (che, come vedremo meglio in The Snefru Code parte 7, ci da un’approssimazione a π – che abbiamo denominato πDjedefre – che è risulta molto interessante ove messa in rapporto con la fisica, in particolare con la costante gravitazionale G).
(1461 : 234) : 2 = πDjedefre = 3,121794… ≈ (780 · 4) : 103 = 3,12
L’inverso di 3,12 moltiplicato per 2 corrisponde con buona approssimazione al numero caratteristico della carica unitaria diviso per 10, e lo stesso ovviamente accade con πDjedefre
1/(3,12 ∙ 2) = 1/6,24 = 0,1602564.. ≈ cu/10 = 0,16022
1/(2 ∙ πDjedefre) = 1/(2 ∙ 3,121794..) = 1/ 6,243589.. = 0,1601642.. ≈ cu/10 = 0,16022
D’altra parte, dal numero caratteristico del sarcofago di Djedefre, possiamo ricavare un’ottima approssimazione di 2/ɸ e dunque anche della costante di Dirac nel modo piuttosto diretto che vediamo qui sotto
4√(234 : 10) = 4√2,34 = 1,23681.. ≈ 2/ɸ = 1,23606..
16√(234 : 10) = 16√2,34 = 1,054571404.. ≈ ħ = 1,054571688..
Invece, inteso numerologicamente come una tangente, il 3,12 corrisponde a un angolo pari a 72,2286, che numerologicamente ci rimanda alla durata del Giorno Precessionale e, di nuovo, a tutte le sue connessioni con le costanti della fisica.
Possiamo immaginare che il valore di π codificato nella relazione fra il numero caratteristico del sarcofago di Djedefre e quello del ciclo di Sirio, sia stato codificato in modo ermetico anche nella Bibbia per mezzo del 50 e del 40. Un’ipotesi che sembra rafforzata dal fatto che il 50 è un numero che riguarda un ciclo di Sirio di cui gli Antichi Egizi erano molto probabilmente a conoscenza, cioè la durata dell’orbita di Sirio B attorno a Sirio A
(50/40) : (40/50) = 1,5625 ≈ πDjedefre/2 = 1,560897..
Dividendo il 780 per 234 abbiamo di nuovo un numero caratteristico, il 3,333…, che moltiplicato per 2 ci rimanda al biblico “Numero della Bestia”, il 666, e anche all’angolo di 54 gradi (360 : 6,666.. = 54), che corrisponde numerologicamente a 3/4 di un Giorno Precessionale. Il 54, trasformato numerologicamente in un angolo, risulta uno di quelli che hanno almeno uno dei parametri caratteristici (seno o coseno o tangente) da cui si può ricavare il numero d’oro. Fra questi numeri troviamo tutti i multipli del 18, ovvero il numero caratteristico del calendario Haab’.
Alcuni di questi angoli sono caratterizzati anche da una cifra pari a 1,701301.. oppure al suo inverso 0,587785.. Facendo il logaritmo naturale di 1,701301.. troviamo il numero caratteristico della costante che descrive il raggio della prima orbita dell’elettrone intorno al nucleo
Ln 1,701301616.. = 0,531393.. ≈ 1bohr = 0,531
Notevole sembra anche la congruenza del Numero della Bestia con il seno di 138°,19.., che è pari a 0,6666625, Questo angolo corrisponde a quello dell’Icosaedro, uno dei celebri “solidi platonici”, che si può ricavare dal numero d’oro con la formula
[1 + (1/ɸ2)] · 102 = 138°,196601..
Sembra anche degno di nota il fatto che se facciamo la radice “della Bestia” della velocità della luce espressa in decimillesimi di millimetro, ovvero se facciamo la radice 666 di 2,9979246 · 1015, otteniamo un’ottima approssimazione di ħ, dato che
666√2997924600000000 = 1,054966.. ≈ ħ = 1,054571
Forse è anche utile ricordare che il valore del ciclo di Sirio diviso per c2 è pari più o meno a (13 : 8) · 102, e ci rimanda dunque di nuovo alla serie di Fibonacci, dato che
1461 : 2,99792462 = 1461 : 8,98755190728516.. = 162,558.. ≈ (13 : 8) · 102 = 162,5
Invece, dividendo il 780 per un “Anno delle Eclissi” arriviamo a 780 : 346,6 = 2,25043.. Se eleviamo questo numero alla quinta potenza e poi lo dividiamo per il numero di giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio, otteniamo una buona approssimazione del numero caratteristico della carica unitaria diviso per 10
2,25043..5 : 360 = 0,160333.. ≈ cu/10 = 0,16022
Anche nel Nuovo Testamento sembra sia rimasta traccia dell’antica religione astronomica Antico Egizia. Possiamo ricordare infatti che Gesù, in risposta a una questione degli apostoli, dice che bisogna perdonare non 7 volte, ma 70 volte 7, cioè 490 volte.
Se dividiamo il ciclo di Sirio per questo numero e poi per π e infine facciamo 1/x abbiamo che
1: [(1460 : 490) : π] = 1,054370.. ≈ ħ = 1,54571..
Se dividiamo 490 per il numero di giorni “puri” del calendario solare Maya e Antico Egizio il risultato sembra altrettanto significativo, dato che
490 : 360 = 1,361111.. ≈ e/2 = 1,359140914.. (-0,001970196..
Molto interessante, a livello numerologico, è anche la durata in anni solari del ciclo di retrogradazione dei nodi della luna, che corrisponde a 18,61 anni solari, dato che se lo eleviamo al quadrato, otteniamo la durata dell’anno delle eclissi che corrisponde a 346,6 giorni solari. Infatti
18,612 = 346,33 ≈ 346,6..
La particolarità di questo numero la possiamo vedere anche nel fatto che si possa ottenere con una funzione di π e di ɸ (ricordiamo che √5 = (ɸ + 1/ɸ)2)
(π ∙ √5)3 = 7,0248…3 = 346,66..
I 18,61 anni del ciclo corrispondono a circa 6793 giorni solari. Diviso per ɸ8 questo numero ci da un’ottima approssimazione alla durata di due Giorni Precessionali (144,444… anni) dato che
6793 : ɸ8 = 6793 : 46,9787… = 144,59.
Divisi invece per ɸ16 ci danno invece un numero molto vicino alla costante che ci serve per calcolare il diametro classico del protone che, come abbiamo visto, è pari a 3,07 e quasi identico alla tangente di 72°. Questo angolo, come abbiamo visto, oltre a essere molto interessante a livello numerologico, è anche uno di quegli angoli che si possono ricavare direttamente da ɸ, dato che il suo è l’inverso di 2ɸ. Quindi, potremmo costruire la durata del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna per via numerologica, ovvero a partire da ɸ
6793 : ɸ16 = 6793 : 2206,999546… = 3,077934478.. ≈ tg 72° = 3,077683537.. ≈ rp = 3,07
Un’altra via “cosmologica” per arrivare al diametro classico del protone come anche a un angolo vicinissimo ai 72° è dividere il numero di giorni “puri” del calendario solare Antico Egizio per uno dei numeri-misura della precessione – il 13 ∙ 9 = 117 individuato da de Santillana – dato che
360 : 117 = 3,076923.. = tg 71°,995838..
Un altro ciclo che – ovviamente si direbbe – presenta grandi motivi di interesse è quello delle fasi lunari. Un anno solare di 365,25 giorni è pari a 12,368442.. mesi lunari della durata di 29,5308.. giorni solari ciascuno. Questo numero è praticamente identico a
(ɸCheope – 1) ∙ 20 = 0,618590346.. ∙ 20 = 12,371806.. ≈ 12,368442..
Il ciclo delle fasi lunari coincide con quello solare alla fine di un cosiddetto “ciclo metonico”, che deve il suo nome all’Ateniese Metone, vissuto nel V secolo avanti Cristo, il quale notò che 235 mesi lunari coincidono con 19 anni solari. Il 235 è significativo a livello numerologico perché diviso per 10 ci da l’inclinazione massima del polo terrestre rispetto all’eclittica, pari a circa 23°,5. Inoltre esso è vicinissimo al numero caratteristico del sarcofago di Djedefre, il 234, che potrebbe dunque avere relazione anche con questo ciclo, oltre che con quello di Sirio.
Invece, riferito ai 26000 anni del ciclo precessionale questo significa che esso si può dividere in 26000 : 19 = 1368,421052.. cicli metonici. La radice sedicesima di 1368,421052.. risulta
16√1368,421052.. = 1,570412.. ≈ π/2 = 1,570796.. (-0,000383..
Mentre la radice quarta viene
4√1368,421052.. = 6,082119.. ≈ 1 + πɸ = 6,083203.. ≈ (π/2)4 = 6,088068..
Dalla divisione numerologica dei 26000 anni di un ciclo precessionale con i 235 mesi lunari di un ciclo metonico si ottiene 26000 : 235 = 110,638.., che moltiplicato per π ci da un numero molto simile all’anno delle eclissi dato che
110,638.. ∙ π = 347,58.. ≈ anno delle eclissi = 346,6
Questo numero corrisponde in modo abbastanza preciso alla sezione aurea della metà di un angolo giro (e dunque anche all’inclinazione caratteristica del Circolo di Nabta Playa), dato che
180° : 110,638 = 1,626927.. ≈ Ln [(π/2)4 – 1] = 1,626898.. ≈ 180° : 111°,246117.. = ɸ
Un ciclo precessionale dura, misurato in mesi lunari
(26000 ∙ 365,25) : 29,5308.. = 321578,94736 mesi lunari
Sembra piuttosto notevole che il logaritmo naturale di questa cifra corrisponda in modo abbastanza preciso con la durata in mesi lunari dell’anno solare che abbiamo calcolato sopra, dato che
Ln 321578,947.. = 12,680998.. ≈ durata di un anno solare in mesi lunari = 12,368442..
Questo numero, diviso per ɸ15 ci da un’ottima approssimazione dei 235 mesi lunari che occorrono per completare 19 anni solari. Dividendolo per ɸ10 e ɸ11 possiamo ricavare una buona approssimazione del numero caratteristico della lunghezza di Planck
321578,94736 : ɸ15 = 321578,94736 : 1364,000733.. = 235,761..
√[(321578,94736 : ɸ10 ) : 103] = √2,614635.. = 1,616983.. ≈ ℓP = 1,616252..
(321578,94736 : ɸ11) : 103 = 1,615933.. ≈ ℓP = 1,616252..
Inoltre, dalla radice 128sima di 321578,94.. possiamo ricavare un’ottima approssimazione della costante di Planck dato che
128√321578,94.. ∙ 6 = 6,6248.. ≈ h = 6,626
Un anno delle eclissi di 346,6 giorni solari si può dividere in 12 mesi di 28,88333… giorni solari l’uno. Quindi un anno solare di 365,25 giorni dura 365,25 : 28,88333.. = 12,6457.. di questi mesi. Se dividiamo questa cifra per 40 arriviamo a 12,6457 : 40 = 0,3161425.. che è il coseno di un angolo di 71°,57019.. la cui tangente è quasi identica a 3 (3,00089..).
Invece, un anno delle fasi lunari dura 354,36 : 28,88333.. = 12,268.. di questi mesi. Se dividiamo questo numero per 2 e poi facciamo la radice quarta troviamo un numero piuttosto simile a 2 + Ln πCheope, dato che
4√(12,268.. : 2) ∙ 2 = 4√6,1343.. ∙ 2 = 1,573772.. ∙ 2 = 3,147544.. ≈ 2 + Ln πCheope = 3,145132..
I Maya avevano anche un calendario che serviva per calcolare quantità di tempo molto grandi, che veniva chiamato “Lungo Computo”. L’unità di tempo più lunga era il “kinchiltun”, che comprende 1.152.000.000 giorni. Questa unità di tempo sembra avere qualcosa a che fare con quel misterioso numero, l’888, che viene fuori dal rapporto delle misure fondamentali della Grande Piramide espresse in cubiti e in metri.
Infatti il periodo di Giove attorno al Sole, se diviso per 360 al quadrato da un risultato numerologicamente identico dato che 1.152.000.000 : 3602 = 8888,8888…
La durata di un periodo “kinchiltun” divisa per il numero di giorni di un ciclo di Sirio moltiplicato per il numero di giorni di un anno solare, ci da un’ottima approssimazione numerologica della durata di un Mese Precessionale calcolato pari a 26000 : 12 = 2166,666.. anni solari. Infatti,
1.152.000.000 : (1460 ∙ 365,25) = 1.152.000.000 : 533265 = 2160,276785 ≈
≈ 2166,666.. (-6,3898812035292021790285214480605
Abbiamo scritto per esteso la differenza fra le due cifre perché essa sembra piuttosto significativa, dato che il suo logaritmo corrisponde in modo quasi perfetto a quel numero che, elevato alla potenza di sé stesso, ci da 2 + Ln π, mentre la sua radice cubica divisa per 3 ci da un’ottima approssimazione di ɸCheope – 1
Ln 6,389881203..Ln 6,389881203.. = 1,854715677..1,854715677.. = 3,144692.. ≈ 2 + Ln π = 3,144729..
3√6,389881203.. : 3 = 1,855656532.. : 3 = 0,618552177.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590346..
Se andiamo al di là di quei cicli che avevano un’importanza per la cultura Maya, vediamo che anche dai dati scientifici che abbiamo ottenuto quanto alle caratteristiche dei pianeti del sistema solare ci spingono a ipotizzare che l’idea di origine pitagorica di “armonia delle sfere” sia qualcosa di più che un mito. Forse Keplero non è riuscito a ricostruirla non perché non esisteva, ma soltanto perché non aveva a sua disposizione un numero sufficiente di dati.
Il periodo di rotazione di Giove attorno a sé stesso è di circa 9 minuti e 50 secondi. Se immaginiamo che questo tempo sia stato preso con un minimo di imprecisione e che corrisponda invece a 9 minuti e 52, e poi trasformiamo i 52 secondi in centesimi di minuto vediamo che questo tempo si trasforma in un valore molto significativo dato che
9’52” = 9,866666..; √9,866666.. = 3,141125.. ≈ π = 3,141565..
Potremmo però esprimere questa stessa durata solo in secondi, che sarebbero un totale di 592. Ma facendo per due volte consecutive il logaritmo naturale di 592 otteniamo un numero vicinissimo alla sezione aurea del 3, ovvero a quel numero che – elevato alla potenza di sé stesso – ci da π. Dunque, dal periodo di rotazione di Giove attorno a sé stesso possiamo ricavare per questa via delle ottime approssimazioni di π e di ɸ
Ln (Ln 592)Ln (Ln 592) = 1,853717575..1,853717575.. = 3,139619.. ≈ π = 3,141592.. (-0,001972..
Ln 592 : 3 = 1,853717575.. : 3 = 0,617905.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821..
Un discorso molto simile vale per il periodo di rotazione di giove intorno al Sole che, come detto, vale circa 4332,667 giorni terrestri, che corrispondono a 4332,667 ∙ 86400 = 374342428,8 secondi. Come prima cosa, se di questa cifra facciamo la radice cubica, scopriamo che si tratta di un numero vicinissimo alla durata di due anni “puri” Antico Egizi (360 ∙ 2 = 720)
3√374342428,8.. = 720,703..
Se prendiamo questo risultato, lo dividiamo per due e poi facciamo per due volte il logaritmo naturale, otteniamo un’ottima approssimazione di √π
Ln (Ln (720,703.. : 2) = Ln (Ln 360,351..) = 1,772760118.. ≈ √π = 1,77245385.. (3,062.. ∙ 10-4
Se invece prendiamo la durata in secondi del periodo di Giove attorno al sole e ne facciamo la radice 32sima otteniamo di nuovo un’ottima approssimazione della sezione aurea del 3
32√374342428,8.. = 1,853167426.. ≈ 3/ɸ = 1,854101966..
1,853167426.. : 3 = 0,617722475.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821552..
1,853167426..1,853167426.. = 3,138336.. ≈ π = 3,141592.. (-0,003256..
Se invece ne facciamo la radice 2c2 = 17,97510381457032, il valore che otteniamo è ancora una volta molto vicino a c = 2,9979246
2c²√374342428,8 = 17,97510381457032√374342428,8 = 2,9988338.. ≈ c = 2,9979246
Quanto a Saturno, il tempo di una rivoluzione attorno al Sole è pari a 29,458 anni terrestri: vi è quindi una quasi perfetta corrispondenza numerologica fra questa cifra e la durata di un mese sinodico lunare pari 29,5306 giorni solari. E, in effetti, dividendo il numero di giorni del tempo di rivoluzione di Saturno per quello del mese lunare abbiamo che (29,458 ∙ 365,25) : 29,5306 = 364,35, una cifra molto vicina al numero di giorni di un anno solare. È possibile che questo tipo di relazioni possa aver spinto i sacerdoti-astronomi dell’antichità ad associare l’azione astrologica della Luna con quella di Saturno.
Saturno gira però su sé stesso molto velocemente, compiendo una rotazione ogni 10,65 ore (cioè ogni 10 ore e 39 minuti). Dunque, durante ogni orbita intorno al sole compie il numero di rotazioni su sé stesso che abbiamo calcolato qui sotto
(29,458 ∙ 365,25 ∙ 24) : 10,65 = 258228,828 : 10,65 = 24246,838..
Di nuovo questo numero risulta abbastanza significativo, perché corrisponde abbastanza bene al numero di ore di un giorno terrestre (24) moltiplicato per 103. Quindi sembra che i ritmi di Saturno siano come la proiezione o l’interpolazione numerologica di alcuni di quelli che riguardano la Terra. Un po’ come succede con il periodo di Giove attorno al Sole ce, come abbiamo visto, vale un anno solare “puro” Antico Egizio moltiplicato per 4. Fatti di questo genere potrebbero aver spinto gli astronomi dell’antichità a considerare i cicli terrestri quasi come una pietra di paragone metafisica di quelli del Sistema Solare. Quindi la Terra sarebbe stata considerata come centro dell’Universo in senso matematico-numerologico: i numeri connessi ai suoi cicli sarebbero stati il modello da cui derivare quelli dei cicli degli altri pianeti del sistema solare. Questa sarebbe una conferma della falsità della tesi che nell’antichità si ignorava l’astronomia fino al punto di considerare, con perfetta ingenuità, che la Terra fosse il centro dell’universo in senso, diciamo così, geografico.
Quindi, è facile che il passo della Genesi che si riferisce alla creazione della Terra sia da interpretarsi in modo diverso da quello letterale
6Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. 7Dio fece il
firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. 8Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. 9Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. 10Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona.
Qui, con ogni probabilità, con la parola “firmamento” si intendono i dodici segni zodiacali su cui il sole sorge durante l’anno. Dunque, “le acque che sono sopra il firmamento” sarebbero in realtà lo spazio cosmico sopra il piano dell’eclittica, mentre “le acque che sono sotto il firmamento” sarebbero lo spazio cosmico che si trova sotto il piano dell’eclittica, intendendo come “sopra” il nord terrestre e come “sotto” il sud.
Questo tipo di interpretazione non deve sorprenderci troppo, dato che la Bibbia fu probabilmente influenzata dal sapere ermetico Antico Egizio dove il Sole e le stelle vengono rappresentati come barche: il che ci fa supporre che lo spazio dove si muovevano venisse interpretato metaforicamente come “acqua”. Quindi è facile che “il mare” sia lo spazio cosmico che sta al di là del cerchio dei dodici segni zodiacali (che nell’Apocalisse diventano le dodici porte della Gerusalemme Celeste) mentre la Terra sia lo spazio cosmico entro questo limite simbolico: ed è solo in questo senso che la Terra viene definita “piatta”.
In realtà, sembra che già nell’antichità profonda dell’umanità si avesse un’idea molto chiara della natura dell’universo, al punto che in un sito come quello di Nabta Playa si sono riscontrate addirittura delle prove indubitabili che i suoi costruttori conoscessero le distanze relative delle stelle della cintura d’Orione dalla Terra (cfr. The Snefru Code parte 8).
D’altra parte, questa è la conclusione a cui siamo arrivati anche nella seconda parte di questo lavoro, analizzando il Timeo di Platone, in cui vengono mostrate conoscenze astronomiche raffinate, fra le quali risalta in particolare l’idea che i corpi celesti, Terra compresa, siano delle sfere.
Proseguendo nella nostra disamina del possibile significato numerologico delle misure del sistema solare, possiamo ricordare che le distanze estreme raggiunte dalla Luna durante la sua orbita sono rispettivamente 55,4 volte il raggio medio terrestre, la minima al perigeo e 66,1 volte la massima, all’apogeo. Il 66 ricorda chiaramente il biblico Numero della Bestia ma, ancor di più, se dividiamo 66,1 per 10 troviamo una buona approssimazione della costante di Planck, dato che 66,1 : 10 = 6,61 ≈ h = 6,626.
Ma dal punto di vista numerologico è interessante anche la distanza media, che corrisponde a 60,75 volte il raggio terrestre. Trasformando numerologicamente questo dato in un angolo e facendo la sommatoria di tangente, seno e coseno, arriviamo a un numero molto vicino a π, cioè 3,14674.
Mercurio è il pianeta più interno del sistema solare, con una distanza media dal Sole di 57,91 milioni di km e una distanza minima di 45,9. Si tratta inoltre del più piccolo fra i pianeti interni. La distanza media dal sole è pari a 51,9 milioni di chilometri. Trasformando numerologicamente questo dato, subito ci rendiamo conto che questa cifra è praticamente pari all’angolo di base della Grande Piramide (51,817).
Mercurio si trova a soli 58 milioni di chilometri dal Sole, poco più di un terzo della distanza Terra-Sole. Il pianeta percorre la sua orbita in soli 88 giorni terrestri, più velocemente di qualsiasi altro pianeta. Allo stesso tempo, Mercurio ruota molto lentamente su sé stesso, al ritmo di una volta ogni 59 giorni terrestri. Ciò fa sì che per ogni 3 rotazioni sul proprio asse il pianeta ruoti per 2 volte intorno al sole. Questa sequenza si basa dunque sulla serie di Fibonacci, di cui il 2 è il terzo membro della serie, mentre il 3 è il quarto.
Il rapporto fra il periodo di rotazione attorno al sole e quello intorno a sé stesso risulta interessante dato che – sia che lo eleviamo al quadrato sia che lo eleviamo al cubo – possiamo ottenere numeri significativi è pari a
(88 : 59)2 = 1,491525..2 = 2,224648.. ≈ 2ħ2 = 2,224242..
(88 : 59)3 = 1,491525..3 = 3,318119.. ≈ 3 + 1/π = 3,318309..
La massa di Mercurio corrisponde a circa 0,055 masse terrestri. Questo rapporto, apparentemente del tutto banale, corrisponde invece al rapporto aureo elevato alla sesta potenza, dato che
1/ɸ6 = 0,618033988749..6 = 0,055728..
La distanza di Mercurio dal Sole è pari a 0,38709 volte quella della Terra. Se facciamo la radice ottava di questo numero abbiamo una sorpresa, dato che, almeno dal punto di vista numerologico, è come se ci trovassimo di fronte ancora una volta al suo periodo di rotazione attorno al Sole, dato che ci troviamo di fronte a un numero composto da ben tre 8.
8√0,387098.. = 0,888132.. = (2/ɸ)3 – 1 = 0,888543..
Dunque Mercurio compie una rivoluzione attorno al Sole ogni 88 giorni, e se facciamo la radice ottava del rapporto fra la sua distanza dal Sole e quella della Terra, vediamo che è uno 0,888, che corrisponde in modo abbastanza ben approssimato a (2/ɸ)3 – 1. E’ del tutto ovvio che dal nostro punto di vista una coincidenza di questo genere non significa assolutamente nulla. Ma, a quel che sembra, il punto di vista dei pitagorici doveva essere completamente diverso, dato che nella loro filosofia “le cose sono numeri”. Dunque, è del tutto possibile che queste connessioni numerologiche fossero prese da loro molto sul serio, e li spingessero a parlare di “armonia delle sfere” di fronte a delle relazioni che per noi, non avendo alcun significato fisico, men che meno ne possono avere uno metafisico.
CONCLUSIONE
Sembra dunque che il concetto pitagorico di “armonia delle sfere”, lungi dal derivare da una superstizioni matematiche e da una scarsissima conoscenza del sistema solare, derivi invece da conoscenze matematiche e astronomiche profondissime, e dallo studio accuratissimo delle relazioni fra i cicli dei diversi pianeti del sistema solare con i numeri tipici degli antichi calendari e quelli dei cicli terrestri (anno solare, lunare, delle eclissi, mese delle fasi lunari, etc), non meno che degli oramai familiari numeri sacri π e ɸ. Keplero aveva dunque in tutto e per tutto ragione quando si sforzava di comprendere le relazioni fra le orbite dei pianeti del sistema solare in termini di geometria sacra. Il problema è che – probabilmente a causa della ridotta quantità dei dati osservativi e dell’ancor più ridotta potenza di calcolo che allora erano a disposizione – non aveva potuto accorgersi che l’armonia delle sfere era molto più complicata di quanto non immaginasse.
Ma forse nell’antichità si era in grado di andare più a fondo non solo di quanto ha fatto Keplero, ma anche di quanto possiamo fare noi.
Per esempio, quando abbiamo analizzato uno dei possibili significati dei numeri caratteristici del sistema calendario Maya Haab’-Tzolkin, abbiamo creato una terna pitagorica e abbiamo analizzato gli angoli del triangolo rettangolo connesso. Abbiamo però condotto questa analisi, lo riconosciamo, in modo piuttosto diretto e semplicistico. Ma avremmo potuto fare molto di più.
Prendiamo per esempio l’angolo α = 18°,324694. Sopra non abbiamo notato che, se scindiamo il valore della costante di Dirac ħ = 1,054571688.. nei suoi componenti interi (che è 1) e decimali (0,054571688) e poi facciamo il rapporto abbiamo che
1 : 0,054571688.. = 18,32452.. ≈ angolo α = 18°,324694.. (-0,00017..
Questo fatto sembra anche la conferma che anche il significato dei numeri caratteristici delle costanti della nostra scienza potrebbe essere molto più vasto di quello che non si era fino ad adesso creduto.
Continuando ad analizzare la costante di Dirac, se prendiamo la sua parte decimale e la moltiplichiamo per 103 troviamo un valore pari a 54,571688.. La radice quarta di questo numero è praticamente identica al numero di Eulero
4√54,571688.. = 2,717952401.. ≈ e = 2,718281828.. (-3,294266.. ∙ 10-4
Ciò significa che possiamo ricavare un’ottima approssimazione della costante di Dirac dal numero di Eulero nel modo che segue
1 + e4/103 = 1 + 0,054598150.. = 1,054598150.. ≈ ħ = 1,054571688..
Se invece trasformiamo numerologicamente la parte decimale di ħ in un angolo, vediamo che viene fuori un angolo del tutto simile a quello di base della Piramide Romboidale, vale a dire un 54°,571688 – se vogliamo leggere questa cifra in gradi e centesimi di grado – oppure un 54° 57’ 16”se lo leggiamo in gradi e sessantesimi di grado.
Optando per questa seconda eventualità, possiamo di nuovo trasformare questa cifra in un valore espresso in gradi e centesimi di grado, e allora l’angolo in questione verrebbe circa 54°, 9541.. Se dividiamo questo angolo per 3 viene fuori un 18°,318.., un numero di nuovo estremamente vicino a quell’angolo α che abbiamo ottenuto elaborando trigonometricamente la terna pitagorica che viene fuori dai numeri caratteristici del sistema calendario Haab’-Tzolkin.
Oppure, se moltiplichiamo la parte decimale di ħ per 102 abbiamo che 0,054571688 ∙ 102 = 5,4571688. Trasformando numerologicamente questo numero in un angolo abbiamo che
la tangente di 5°,4571688.. è uguale a
tg di 5°,4571688 = 0,09553462596991324459234747542063.
Facendo 1/x abbiamo che
1/0,095534625969.. = 10,467.. ≈ 10,479.. lato est-ovest Camera del Re
La radice quadrata di questo numero viene
√10,467408961384.. = 3,235337.. ≈ 2ɸ = 3,236067..
Questo numero è molto simile al rapporto fra la massa elettrone e il suo raggio classico che, come abbiamo visto nella prima appendice pari a
me/re = 9,1091 : 2,81777 = 3,232733686..
D’altra parte, utilizzando il valore di ɸ codificato nella grande Piramide, dal rapporto me/re abbiamo la possibilità di ottenere una buona approssimazione del numero caratteristico della velocità della luce
(me/re) – 1/ɸCheope3 = 3,232733686.. – 0,2358247.. = 2,9969089.. ≈ c = 2,9979246
La somma di seno, coseno e tangente di quest’angolo è uguale a 2,80019.. e la radice quadrata di questo numero è pari a 1,6733769.., un numero molto vicino alla costante che ci serve per calcolare la massa del protone, pari a 1,6726231..
La differenza fra seno e coseno è uguale a
0,8148414516059.. – 0,5796838869.. = 0,23515756469459111510614556810627
La radice cubica di questo numero è pari a
3√0,23515.. = 0,617238.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821..
Constatando la possibile raffinatezza di questo antico sistema di codificazione e descrizione dell’universo, ci rendiamo conto che quello che abbiamo presentato sopra non è altro che un abbozzo. Però, può forse costituire un punto di partenza per una comprensione più profonda della scienza astronomica degli antichi, non meno che del concetto che essi avevano dell’universo come di un’armonia di sfere.
Appendice 3:
ALCUNI APPUNTI SUI SOLIDI PLATONICI IN RELAZIONE AI CALENDARI MAYA E ALLA PIASTRA RITROVATA DA VYSE AL FONDO DEL CONDOTTO DI AERAZIONE SUD DELLA CAMERA DEL RE
Come abbiamo visto precedentemente, secondo i sacerdoti Assumiti l’Arca conteneva due tavole di pietra il cui volume complessivo risulta 1584 ∙ 2 = 3168 cm³. A parte tutto quello che avevamo visto sopra, in questo contesto possiamo notare che dividendo questa cifra per 104 otteniamo un 0,3168, che – oltre a essere il coseno di un angolo vicinissimo a quello che ha per tangente la costante da cui si ricava la velocità della luce – è anche un numero tipico di una figura geometrica con cui il sistema calendario Maya sembra avere profondamente a che fare, vale a dire l’icosagono, cioè il poligono regolare con 20 lati e 18 angoli. Considerando che 20 e 18 sono i numeri tipici del calendario solare Haab’ c’è da pensare che questo sistema calendario venne pensato in relazione a questa figura geometrica, similmente a come lo fu il calendario solare Antico Egizio in relazione al dodecaedro.
Platone fa un breve cenno al dodecaedro, che è il quinto solido geometrico regolare, e dice che il demiurgo « si avvalse di esso per ornare il disegno dell’universo ». Non specifica come avvenga la composizione e non lo identifica con un elemento (cfr. Timeo, 55 C 4-6).
Albino (o Alcinoo che sia) ci riferisce:
« Dio si è avvalso del dodecaedro per creare l’universo: per questo motivo si vedono nel cielo dodici segni zodiacali nel cerchio dello zodiaco, e ciascuno di questi si divide in trenta parti; e come nel dodecaedro, che risulta composto di dodici pentagoni divisi ciascuno in cinque triangoli ulteriormente composti ciascuno di sei triangoli, si trovano complessivamente trecentosessanta triangoli, così anche nello zodiaco si trovano altrettante parti (Albino si riferisce evidentemente ai giorni “puri” del calendario Antico Egizio e alla divisione in 360 parti del Ciclo Precessionale, in cui ogni giorno dura 26000 : 360 = 72,222 anni solari)» (Didascalico, XIII, 2, p. 168, 40 ss. Hermann).
I solidi platonici sono formati da tre tipi di figure piane regolari, vale a dire il quadrato (che da forma al cubo), il triangolo equilatero (che costituisce la base di tetraedro, ottaedro e icosaedro) e il pentagono (che fornisce la base del dodecaedro). Queste figure hanno delle relazioni molto particolari con le costanti della fisica, di cui possiamo fin da adesso dare un breve assaggio.
2. Possiamo cominciare senz’altro con il quadrato che ha per lato il numero caratteristico della costante di Dirac ħ (ottenuta dividendo la costante di Planck per 2π). Questo quadrato ha un’area pari a 1,0545716882 = 1,112121. Se dividiamo per 2 questa cifra arriviamo a 0,55606. Ma in un mondo di pensiero, quello pitagorico, in cui “le cose sono numeri”, ogni cosa può legittimamente diventare un’altra per mezzo di un processo che nel corso della nostra ricerca abbiamo più volte messo in atto, quello della trasformazione numerologica. In questo caso, se trasformiamo un’area pari ad ħ2/2 in una tangente scopriamo che è quella di un angolo pari a 29°,076, estremamente simile alla sezione aurea dell’angolo di 47° e dunque all’inclinazione della Camera della Regina, che per parte sua pare identica a quella del celebre Allineamento di S. Michele. Possiamo anche notare che dei dipinti molto celebri di epoca medievale, che rappresentano la celebre Lancia di Longino che si conficca nel fianco di Cristo, hanno questa stessa inclinazione: dunque, è del tutto possibile che questa mitica lancia, lungi dal rappresentare un oggetto comune, possa rappresentare l’asse polare in un certo momento del ciclo precessionale. In questo senso Cristo, se sul piano zodiacale fu associato al segno dei Pesci, su un altro piano possa esser stato associato alla stella polare “trafitta” dall’asse di rotazione della Terra. Queste associazioni sembrano dimostrare come ancora in epoca medievale permanessero in qualche modo gli echi dell’antica religione astronomica che, almeno su un piano inconscio, continuava a sopravvivere accanto alle nuove concezioni teologiche introdotte dal Cristianesimo e dall’Islam e dall’Ebraismo dei tempi più recenti
Ma questi sono argomenti che svilupperemo meglio in The Snefru Code parte 6. In questo contesto invece ci preme sottolineare che, molto più interessante del quadrato di lato ħ, sembra essere il cubo con lo stesso lato. Infatti, forse nessuno si è mai accorto che da esso si può ricavare la costante gravitazionale con la formula G = 6ħ2 = 6,672; questo significa che la costante G corrisponde alla superficie di un cubo con spigolo pari appunto a ħ: chissà che non sia proprio questo uno dei possibili significati del cubo inteso come uno dei cinque elementi, la terra, che abbiamo visto nella parte di The Snefru Code part 3 dedicata a Platone .
3.Per fare un altro esempio, se prendiamo un pentagono con perimetro pari a ħ vediamo che la sua area è pari
(ħ2 ∙ 0,6882) : 2 = (1,112121.. ∙ 0,6882..) : 2 = 0,382680..
Facendo la radice quadrata di questo numero arriviamo a
√0,382680.. = 0,618612.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590.. (+2,214.. ∙ 10-5
Questo significa che possiamo ricavare una buona approssimazione di ħ facendo
√{[(ɸCheope – 1)2 : 0,6882] ∙ 2} = 1,054534.. ≈ ħ = 1,054571..
Troviamo una buona approssimazione di ħ anche usando il valore esatto di ɸ
√[(1/ɸ2 : 0,6882) ∙ 2] = 1,053586.. ≈ ħ = 1,054571..
Questo risultato – oltre ad essere una buona approssimazione di ħ – per di più corrisponde in modo quasi perfetto al rapporto fra anno solare e anno delle eclissi, dato che 365,25 : 346,6 = 1,053808.
- Come noto, il pentagono era una figura geometrica che i pitagorici tenevano per sacra e, analizzando minimamente alcune sue caratteristiche (un’analisi più dettagliata la rimandiamo ad un lavoro successivo) ci rendiamo conto che le relazioni che questa figura geometrica è capace di creare fra le costanti scientifiche e quelle geometriche è veramente impressionante, ed è forse proprio questo uno dei motivi per cui venne sacralizzata. Infatti che le costanti della scienza – nell’ambito di un pensiero di quel genere – non sono altro che gli strumenti matematici attraverso cui il Demiurgo ha generato il mondo “secondo numero e misura”. Ed è chiaro che il pentagono, essendo una figura geometrica in grado di riassumerli armonicamente, diventasse un’immagine della mente divina.
Per esempio, se prendiamo un pentagono con lato pari a c = 2,9979246, la costante per calcolare la velocità della luce, vediamo che il doppio dell’area di uno dei suoi cinque triangoli è pari a
c2 ∙ 0,6882 = 6,185233 ≈ (ɸCheope – 1) ∙ 10 = 6,18590..
Se invece prendiamo un pentagono con lato pari al numero di Eulero, il doppio dell’area di uno dei suoi cinque triangoli è pari
e2 ∙ 0,6882.. = 5,085148.. ≈ πCheope ∙ ɸCheope = 5,086996.. ≈ πɸ = 5,083203..
È quindi del tutto probabile che le misure della Grande Piramide – che contengono tanto ɸ che π che e – siano, fra le altre cose, anche l’immagine di un pentagono con lato pari al numero di Eulero.
Anche l’angolo solido dell’ottaedro, pari a circa 109°,47122.. sembra avere una relazione con il numero di Eulero, dato che
4√109°,47122../2 = 4√54,73561.. = 2,719991.. ≈ e = 2,718281..
5.Deviando leggermente da questo tema e occupandoci di una figura che non fa parte di quelle che costituiscono i solidi platonici, possiamo notare che in un esagono regolare con area pari a G = 6,6727 ognuno dei singoli triangoli equilateri che lo compongono ha un’area pari a 1,1121214, vicinissima a ħ2. Il lato risulta più o meno pari al numero caratteristico della carica elettrica unitaria cu = 1,6022
√(6,6727.. : 2,5981..) = 1,602595.. ≈ cu = 1,6022
Questa osservazione ci spinge ad occuparci del tetraedro, uno dei solidi regolari platonici costituito da triangoli equilateri. Considerando quel che abbiamo visto quanto all’esagono regolare con area pari a G = 6,6726.., adesso sappiamo che uno di questi solidi con lato pari alla carica elettrica fondamentale ha una superficie pari a 2/3 ∙ G e un’altezza pari a 1,3085.., vicinissimo a ɸ2/2 = 1,3090..
Se invece consideriamo un tetraedro con lato pari a ħ, vediamo che il suo volume è uguale a 0,13821719, molto vicino a
(1 + 1/ɸ2) : 10 = 0,1381966..
Questo valore sembra molto importante per almeno due motivi. Il primo, ovviamente, è che possiamo ricavare una buona approssimazione ħ partendo da un tetraedro di volume pari a (1 + 1/ɸ2) : 10. Il secondo è che questo valore (1 + 1/ɸ2) costituisce la base di un rapporto numerologico quasi immediato fra il tetraedro e l’icosaedro – un altro dei solidi platonici costituito dal triangolo equilatero – dato che l’angolo caratteristico dell’icosaedro è pari a
(1 + 1/ɸ2) x 102 = 138°,19..
- Se consideriamo un icosaedro con lato pari a quello dell’esagono con area pari a G (1,602595..) vediamo che il suo volume risulta 8,978933083.. La radice quadrata di questo numero è molto vicina a c
√8,978933083.. = 2,9966270.. ≈ c = 2,9979246 (-0,00129..
Incontriamo una caratteristica simile analizzando il dodecaedro di lato pari a ħ, dato che il suo volume è pari a 8,987396262.. Facendo la radice quadrata di questo numero otteniamo
√8,987396262.. = 2,9978986.. ≈ c = 2,9979246 (-2,59.. 10-5
Se prendiamo di nuovo l’icosaedro con lato pari a quello dell’esagono con lato pari a 1,602595.., vediamo che la sua superficie risulta pari a 22,242223.., cioè una cifra molto simile a 2ħ2 ∙ 10 = 22,242428.. L’approssimazione di ħ che possiamo ricavarne sembra davvero molto buona
√[(22,242223.. : 10) : 2] = √(2,2242223.. : 2) = √1,11211115.. = 1,054566.. ≈ ħ = 1,054571..
Se moltiplichiamo questa superficie per 2 e poi facciamo la radice quadrata otteniamo √44,4844 = 6,6696, che di nuovo appare tanto come un’allusione numerologica al biblico Numero della Bestia come anche a G, dato che la differenza con questa costante risulta inferiore al millesimo.
Il volume di un dodecaedro con lo stesso lato pari a 1,602595.. risulta invece pari a 31,54…
Se invece utilizziamo il valore della carica unitaria che attualmente viene considerato il più esatto, cu = 1,6022, il valore che otteniamo è pari a 31,51778943185.. Facendo la radice πCheope = 22/7 di questo numero otteniamo di nuovo un valore molto vicino a c
22/7√31,51778943185.. = 2,9978727.. ≈ c = 2,9979246
Se invece prendiamo il dodecaedro con lato pari a c, vediamo che ha un volume pari a 206,475099… Facendo per due volte consecutive il logaritmo di questa cifra otteniamo un risultato che si colloca a metà strada fra il numero caratteristico della massa del protone e quello della massa del neutrone
Ln (Ln 206,475099..) = 1,673384.. ≈ mp = 1,6725 ≈ mn = 1,6748
Inoltre, la radice decima di 206,475099.. è pari 1,70406.., una cifra molto vicina alla misura dell’ipotenusa di un triangolo rettangolo con angoli 72° + 18° + 90° = 180°, il cui cateto minore è pari a ħ/2 = 0,52728584 (il valore esatto dell’ipotenusa di questo triangolo, profondamente legato al pentagramma e quindi al pentagono, è 1,706…).
Un pentagono con lato pari 1,2566.., ovvero pari al numero caratteristico della costante μo che serve a calcolare la permeabilità magnetica del vuoto, ha un’area pari a
(1,2566..2 ∙ 0,6882.. ∙ 5) : 2 = 2,71674.. ≈ e = 2,71828..
Se alteriamo questo valore di soli 3/10000 – ovvero di una quantità che pare restare entro i limiti dettati dal principio di indeterminazione – ecco che l’identità risulta perfetta
(1,256955499.. 2 ∙ 0,6882.. ∙ 5) : 2 = e = 2,718281828459….
Di straordinaria importanza sembra anche che il perimetro del pentagono con lato pari a μ0 è praticamente uguale a 2π
5μ0 = 5 ∙ 1,2566.. = 6,283.. ≈ 2π = 6,283185..
Un dodecaedro con il medesimo lato pari ancora una volta a μ0 ha un volume pari a 15,20536… Questo risulta ancora una volta come un numero strettamente imparentato con e, oltre ad essere molto vicino al prodotto molto simile a c ∙ π ∙ ɸ = 15,239..
ee = 2,718281..2,718281.. = 15,154262.. ≈ 15,20536.. ≈ c ∙ π ∙ ɸ = 15,239..
Se facciamo il prodotto del volume del dodecaedro con lato pari a μ0 con il perimetro di uno dei dodici pentagoni che costituiscono la sua superficie otteniamo un risultato da cui possiamo ricavare una discreta approssimazione del numero caratteristico della carica unitaria
1/9√(15,20536.. ∙ 6,283..) = 1/9√95,53527688. = 1/1,659656.. = 0,602534.. ≈ cu – 1 = 0,6022
Facendo il rapporto fra la superficie e il volume del dodecaedro di lato μ0 si ottiene un risultato parimenti interessante
Ln (25,943422../15,20536..) = Ln 1,706202471.. = 0,534270.. ≈ rp – 1 = 0,535
Da ciò ne viene di conseguenza che un pentagono con area pari a e = 2,718281828…, ha un perimetro vicinissimo a 2π, per la precisione pari a 6,2847…, da cui possiamo ottenere un’approssimazione di π pari a 3,1423.. contro un valore effettivo di 3,1415.
- Il numero caratteristico della costante di Faraday, immaginato come una circonferenza, risulta da un diametro pari a quello del protone, dato che
9,6487 : π = 3,071276.. ≈ dp = 3,07
Possiamo inoltre trovare una cifra molto simile al numero caratteristico della costante della carica elettrica fondamentale facendo il rapporto fra la costante di Faraday e il numero di Avogadro, dato che 9,6487 : 6,02252 = 1,602103. D’altra parte, il numero di Avogadro risulta dal numero caratteristico della carica unitaria nel modo piuttosto diretto che vediamo qui sotto
(cu – 1) ∙ 10 = (1,6022 – 1) ∙ 10 = 0,6022 ∙ 10 ≈ NA = 6,022
Un pentagono con il lato pari al numero caratteristico della costante di Boltzmann k = 1,38054.. risulta avere un’area pari a circa la metà del numero caratteristico della costante di Planck h calcolato da Planck stesso all’inizio del secolo scorso, hPlanck = 6,55
[(1,38054..2 ∙ 0,6882) : 2] ∙ 5 = 3,279084.. ≈ hPlanck/2 = 3,275
L’area di un esagono che ha per perimetro la costante dielettrica del vuoto εo = 8,8544 è pari a 5,65806, che è praticamente uguale a 4√2 = 5,6568. L’apotema è invece pari a 1,475733 ∙ 0,866 = 1,278022. La radice quadrata di questo numero elevata al cubo ci da 2√1,2780223 = 1,4448. Questo numero, oltre a costituire un’allusione numerologica a 2 Giorni Precessionali (pari a 144, 444.. anni solari), diviso per due ci da 0,722, un numero che ci rimanda all’ipotenusa del triangolo rettangolo i cui cateti sono 1 – 1/ɸ = 0,381966 e 1 – 1/ɸ2 = 0,6180339, il cui valore effettivo è pari 0,7265, molto vicino a sua volta all’apotema del pentagono che ha per lato ħ, dato che 1,054571688 ∙ 0,6882 = 0,7257, con una differenza di 8 decimillesimi.
È senz’altro da notare il fatto che la lunghezza dell’ipotenusa di quel triangolo i cui cateti sono 1 – 1/ɸ = 0,381966 e 1 – 1/ɸ2 = 0,6180339, rappresenta il coseno di un angolo di 43°,40, che corrispondono in modo quasi esatto all’inclinazione dell’angolo di base della Piramide Rossa. È da notare che la radice quadrata della sommatoria di seno, coseno, e tangente di quest’angolo è pari a √2,359.. = 1,53603, quindi quasi identica al raggio classico del protone, con una differenza di circa un millesimo.
Un esagono che abbia per lato la costante di Bohr a0 = 0,529177 ha un’area pari a 0,7275, che risulta di nuovo molto vicina 0,7265, ovvero l’ipotenusa di un triangolo i cui cateti sono 1 – 1/ɸ e 1 – 1/ɸ2.
CONCLUSIONE
1.Al termine di questa lunga indagine, ci rendiamo conto che non tutte le relazioni fra costanti fisiche che siamo riusciti a istituire sono egualmente precise, semplici e intuitive. Però, dal complesso di questi dati, possiamo senz’altro concludere che attraverso la mediazione di figure piane regolari o dei solidi platonici i numeri fondamentali delle nostre leggi fisiche sembrano andare a costituire un complesso armonico che ben poco ha a che vedere con le nostre “tavole delle costanti”, dove vediamo succedersi dei numeri che non paiono avere alcuna relazione se non quella che risulta dall’essere stati ammassati lì dal caso, o meglio, dal Caso, che sembra rivestire nella nostra scienza quel ruolo che rivestiva il Demiurgo nella gnosi platonica.
Questo ci da un primo indizio del motivo per cui Platone attribuiva la creazione del mondo a un “Dio geometra”, e soprattutto perché considerasse la geometria la scienza fondamentale. Il fatto è che la trigonometria di origine babilonese si è rivelata essere una sorta di codice, le cui chiavi sono le costanti geometriche fondamentali (π, ɸ, il numero di Eulero e il 10) e i numeri tipici dei calendari usati per misurare i cicli cosmici fondamentali (particolarmente importanti si sono rivelati il 360, il 144, il 72, il 1461, il 260, oltre alla durata assoluta dell’anno solare (365,25) di quello delle fasi lunari (354,36) e di quello dell’anno delle eclissi (346,6)).
2. Tutto questo può essere un buon punto di partenza per cominciare ad indagare quella scienza antica che è stata capace di lavorare la pietra allo stato liquido e/o pastoso (come vedremo in The Snefru Code parte 7 e parte 8), di spostare colossi del peso di oltre mille tonnellate (senza dimenticare che, se quello ritrovato sul Monte Shoria si rivelasse effettivamente un muro megalitico, alcuni dei suoi componenti supererebbero senz’altro le 5000 tonnellate) e di incastrarli con tolleranze che in alcuni casi risultano inferiori al decimillesimo di millimetro (ma ci sono persone molto serie che, per esempio, nel caso dei sarcofaghi del Serapeum parlano di tolleranze dell’ordine della lunghezza d’onda della luce), per arrivare infine a costruire delle opere per noi inarrivabili e per certi versi del tutto incomprensibili, come le Piramidi della IV Dinastia, o il tempio del Sole di Ollantaytambo.
Ma, giunti a questo punto della nostra indagine, la scienza del paleolitico non sembra più del tutto inaccessibile, come pareva esserlo fino a questo momento. E, attraverso ulteriori sforzi, sarà forse possibile arrivare al punto di capire cosa fossero esattamente i cinque elementi di cui parla Platone del Timeo, che, con ogni evidenza, devono avere a che fare con una fenomenologia che ha una stretta relazione con la chimica e la fisica atomica. Allora ci risulterà accessibile il significato di proposizioni che fino ad oggi sembravano del tutto inaccessibili, come quando Platone dice che “il fuoco, estinguendosi, ritorna in forma di aria”, o che “l’acqua, condensandosi, ritorna in forma i terra e di pietra”.
Queste nozioni hanno ovviamente un significato storico-ermeneutico enorme. Ma, dato il momento critico che la nostre società sta attraversando, non possiamo dimenticare anche i significato più propriamente pratico di queste scoperte. Impadronirsi della fisica antica significherebbe anche poter disporre di fonti di energia che non presuppongono lo sfruttamento selvaggio dell’ambiente, che sta portando il nostro mondo ad una rapida distruzione di tutte le risorse, a guerre interminabili e in certi casi terrificanti, che minacciano di degenerare in un nuovo conflitto mondiale, in cui potrebbero essere usate armi atomiche in grado di minacciare la sussistenza stessa del genere umano.
Chissà, forse proprio dallo studio attento e profondo della scienza del nostro passato, la nostra scienza e i nostri scienziati troveranno le risorse spirituali ed epistemologiche per poter salvare la Terra da una catastrofe che ogni giorno che passa sembra sempre più incombente.
Gabriele Venturi