LA MORFOGENESI MATEMATICA DELL’UNIVERSO
parte III

LA MATEMATICA ARMONICA NELLA STRUTTURA DEL NUMERO PURO
E NELL’UNIVERSO SENSIBILE IN QUANTO ENTITÀ NUMERABILE

Sezione prima :
LE DIFFICOLTA’ NEL GIUNGERE AL CUORE DELLA MATEMATICA CHE HA DATO
ORGINE AL PROGETTO DELLA GRANDE PIRAMIDE NEL CONTESTO DELLA
PROBLEMATICA GLOBALE DELLA MATEMATICA ARMONICA

VILLE

Je suis un éphémère et point trop mécontent citoyen d’une métropole crue moderne,
parce que tout goût connu a été éludé dans les ameublements et l’extérieur des maisons aussi
bien que dans le plan de la ville. Ici vous ne signaleriez les traces d’aucun monument de
superstition. La morale et la langue ont été réduites à leur plus simple expression, enfin ! Ces
millions de gens qui n’ont pas besoin de se connaître amènent si pareillement l’éducation, le
métier et la vieillesse, que ce cours de vie doit être plusieurs fois moins long que ce qu’une
statistique folle trouve pour les peuples du Continent. Aussi comme, de ma fenêtre, je vois des
spectres nouveaux roulant à travers l’épaisse et éternelle fumée de charbon, — notre ombre des
bois, notre nuit d’été ! — des Érinnyes nouvelles, devant mon cottage qui est ma patrie et tout
mon cœur puisque tout ici ressemble à ceci — la Mort sans pleurs, notre active fille et servante,
un Amour désespéré et un joli Crime piaulant dans la boue de la rue.
A. Rimbaud

Finistère, Septembre 1994 – Décembre 2019

Les saisons se traînent à ma place
Me laissant seule en face à face
Face à je ne sais quoi
I. Geoffroy

Ton histoire finit comme ça,
mon âme :
sur la plage tu te promènes,
ombre égarée et nue,
épuisé miroir,
blanche mémoire faite seulement
de paroles
damnées, déchirées,
arrachées au sommeil
ou au délire.

Nous sommes comme ça :
chaque coquille parle la même langue,
chaque vague cache son secret,
connu par tous.

Nous sommes comme ça :
sans l’amour
(sans la doleur ?)
reste seulement le mal,
une mer fatiguée,
gachée,
égale…

Capitolo Primo pp. 68 – 100 :

I “numeri” della scienza empirica nella matematica armonica e i problemi teorici
connessi con il loro trattamento puramente matematico

NELL’APPENDICE STORICA IL TESTO INTEGRALE DEL DECRETO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
QUANTO AL RICONGIUNGIMENTO DEI CONGIUNTI DISGIUNTI MESSO A PUNTO DAL PRESIDENTE GIUSEPPE CONTE E
PRONTAMENTE CENSURATO DALLA SUA SEGRETARIA DI FIDUCIA

68.

Fare una sintesi in parole del linguaggio ordinario dello smisurato contenuto implicito delle poche equazioni che
abbiamo fin qui mostrato (poche, evidentemente, rispetto a tutte quelle che sarebbe stato possibile e forse anche
utile mostrare) sembra dunque un’impresa molto improbabile, per non dire del tutto improponibile. Provando
comunque sia ad avventurarci in un incerto tentativo, possiamo dire che attraverso i rapporti che siamo riusciti a
stabilire fra la sfera di raggio c e le altre costanti universali della fisica, e poi con dati fisici fondamentali del nostro
Sistema Solare, non meno che con la durata di cicli cosmici di ogni sorta, compresi quelli fondamentali per le culture ermetiche del nostro passato recente e profondo, le equazioni che abbiamo analizzato sembrano alludere in maniera
nemmeno troppo oscura a quell’armonia di sfere in cui il pensiero pitagorico risolve la sua visione dell’universo
esteso. Un’armonia di sfere che potrebbe in ultima analisi essere ritrovata anche in certi accenni e certe sfumature del
pensiero platonico, in particolare nel Timeo, in cui l’universo viene pensato come una sfera che contiene i cerchi
tracciati da quelle altre sfere che sono le stelle e i pianeti del Sistema Solare. Un’armonia di sfere che potrebbe avere a
che fare anche con il pensiero di un Parmenide, in cui fra l’altro abbiamo potuto riscontrare anche quelle che
potremmo definire delle soddisfacenti parafrasi o metafore del lavoro matematico che pur tanto faticosamente
stiamo svolgendo. Tanto soddisfacenti che è stato infine piuttosto spontaneo paragonare la sfera parmenidea a quel
frattale matematico che l’universo esteso mostra essere se visto attraverso le lenti della matematica armonica. E un
tale paragone, per quanto inconsueto e per certi versi stupefacente in relazione alle abitudini di pensiero di un
intellettuale occidentale medio, è risultato, da un altro punto di vista, molto fecondo e ragionevole. Infatti, di questo
frattale matematico in cui le quattro estensioni/elementi fondamentali sono costituiti in modo tale che ciascuna
estensione contenga infinitamente tutte le altre, e, attraverso tutte le altre, anche sé stessa, si potrebbe con ogni
sorta di buona ragione affermare, come della sfera parmenidea, che esso è e non conosce il non essere. Se infatti
ciascuna entità contiene la forma di tutte le altre, ovvero, in parole meno oscure, se attraverso gli strumenti della
matematica armonica posso infinitamente descrivere – supponiamo – la totalità dell’atomo di idrogeno per mezzo
del solo raggio classico, o della velocità della luce, o della massa del protone, in che senso potrò mai dire che una di
queste entità non è l’altra?
Se supponiamo che il frattale matematico che stiamo descrivendo sia davvero perfetto, come si può attribuire ad
esso qui o là una diversità di forma, e parlare dunque ora di mondo microscopico, ora di mondo macroscopico, ora
di tempo, ora di spazio, come fossero cose diverse?
Le differenze che cogliamo nella vita quotidiana, che ci fanno dire che questa cosa non è quella, sarebbero allora da
ricondursi a qualcosa come un inganno dei sensi, o a un’interpretazione ingannevole della testimonianza dei sensi. Ma
questo è precisamente quel che dice Parmenide, e, se le sue parole non si riferissero al frattale matematico che
stiamo indagando, di certo possiamo dire che si prestano naturalmente ad esserne una più che soddisfacente
metafora

Perché non mai questo può venire imposto, che le cose che non sono siano: ma tu da questa via di ricerca allontana il
pensiero. Né l’abitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via, a usare l’occhio che non vede e
l’udito che rimbomba di suoni illusori e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina che io ti espongo. Non
resta ormai che pronunciarsi sulla via che dice che è. Lungo questa sono indizi in gran numero.

Un altro aspetto per cui il pensiero di Parmenide si presta ad essere una metafora dell’universo esteso così come
viene ipotizzato dalla matematica armonica è l’idea che esso sia uno ed immobile. Infatti, secondo l’ipotesi
interpretativa che stiamo portando avanti, le quattro estensioni – o, in termini antichi, “elementi” – che costituiscono
l’universo sarebbero il tempo, lo spazio, il magnetismo e la massa. Ma se il tempo è parte integrante del frattale,
questo significa che, in un senso profondo, il divenire e dunque il passato, il presente e il futuro, debbano essere
considerati come un’illusione. Un’idea questa che – coscienti o meno che ne siamo – è entrata a fare parte del
patrimonio del pensiero Occidentale per mezzo della teoria della relatività. Infatti, siccome nell’ambito di questa
teoria la velocità della luce rimane la stessa a prescindere da quale punto di riferimento si scelga di misurarla, ne
dobbiamo concludere che in relazione alla luce ogni ente del cosmo rimane perfettamente immobile. La teoria di
Einstein sembra dunque una sorta di ribaltamento concettuale rispetto al pensiero newtoniano. In questo, i corpi
hanno un moto assoluto rispetto a uno spazio assoluto assolutamente immobile, in quella i corpi hanno un moto
relativo in relazione ad altri corpi, ma tutti i corpi sono immobili rispetto alla luce.
In questo senso, che il divenire sia un’apparenza è un pensiero che è già entrato a far parte della filosofia della scienza
moderna, anche a prescindere dalle ipotesi della matematica armonica e, anche chi non ne sia cosciente, pensa
almeno a livello matematico in questa forma (ovviamente, se è un fisico di professione). Una forma che è
radicalmente distinta dalla percezione comune che abbiamo del tempo e dello spazio. Nella nostra percezione
quotidiana del mondo infatti, da un lato, noi crediamo che lo spazio sia interamente dato nell’istante presente, e che
esso non abbia un prima e un dopo, ma sempre stia lì, nella sua infinità, a disposizione della nostra percezione. Invece,
quanto al tempo, le nostre idee sono radicalmente diverse, dato che esso sembra darsi in modo successivo e
parcellizzato. Gli oggetti che in quest’istante percepisco con i sensi, saranno fra un istante disposti in modo diverso,
ovvero si saranno mossi nell’infinito contenitore immobile in cui sembrano trovarsi: un contenitore che non viene in
nessun modo alterato dal suo contenuto. Invece, con il mutare della loro posizione nello spazio noi vediamo mutata
anche la loro posizione nel tempo che, così rappresentato, ci appare come un’estensione in qualche modo simile allo
spazio, che però si dà e si fa istante per istante, e dunque solo istante per istante si rende disponibile alla nostra
percezione. In altre parole, lo spazio ci pare come un dato intero e immobile, il tempo come un processo. Queste che possiamo chiamare “evidenze del senso comune” sembrano però contestate dalla teoria di Einstein, che
vede spazio e tempo correlati a formare un tutto unico quadrimensionale. Se pensiamo tempo e spazio al modo
einsteiniano, non possiamo più fare le usuali distinzioni, fra uno spazio dato interamente alla percezione in un
presente intemporale, e un tempo che invece esiste solo in modo parcellizzato, istante per istante (e dunque
inesistente in quanto totalità). Nel pensiero einsteiniano, non possiamo pensare allo spazio e al tempo ma invece a
una sola entità, lo spaziotempo, che appare come un’entità indivisa e perciò interamente data in un presente
metafisico – un presente metafisico che è poi quello connesso alla luce, dal cui punto di vista tutte le entità
dell’universo restano immobili.
E di un universo di questo genere, che è quello della teoria di Einstein, ma anche quello della matematica armonica,
quale miglior metafora che quella che troviamo nel poema di Parmenide?

Essendo ingenerato è anche imperituro, tutt’intero, unico, immobile e senza fine. Non mai era e sarà, perché è ora
tutt’insieme, uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare? Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti
permetterò né di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare ciò che non è. E quand’anche, quale
necessità può avere spinto lui che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima? Di modo che è necessario o che
sia del tutto o che non sia per nulla.

Certo, se prendiamo queste immagini alla lettera, ovvero se volessimo usarle come metafora dell’esperienza comune
che si ha del mondo, queste parole di Parmenide paiono, ancora prima che false, del tutto incomprensibili, dato che
non si può trovare nessun modo di derivarle da quella che possiamo chiamare la nostra esperienza quotidiana. In essa
infatti, come direbbe Moore, ogni cosa è sé stessa, e non un’altra cosa e l’una qualità è la negazione dell’altra (il
freddo non è caldo, il qui non è là, l’oggi non è il domani, etc.), cosa che fa sì che noi riteniamo del tutto ovvio
concepire un mondo dove l’essere è intriso di non essere, e il non essere intriso di essere.
D’altra parte, anche la teoria di Einstein contrasta con il nostro senso comune in modo non troppo dissimile dalla
dottrina di Parmenide, se la dottrina di Parmenide ne può essere una metafora tanto soddisfacente. Infatti, come
abbiamo detto, ove si decida di seguire il punto di vista di Einstein fino alle sue ultime conseguenze, sembra che vi
debba essere un senso profondo in cui si può dire che lo spaziotempo è costituito in modo tale che passato e il futuro
devono esser dati e coesistere senza discontinuità in un presente metafisico in modo paragonabile a quello in cui,
nell’esperienza comune, lo spazio ordinario si offre alla sensibilità umana come un’entità continua, continuamente e
interamente presente, se non ai nostri occhi, almeno alla nostra intuizione. Forse, se volessimo esprimere
poeticamente e dunque anche un po’ cripticamente tali concezioni, ci sarebbe difficile trovare metafore più possenti
di quelle di Parmenide

Giammai poi la forza della convinzione verace concederà che dall’essere alcunché altro da lui nasca. Perciò né nascere
né perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami, ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini; è o
non è. Si è giudicato dunque, come di necessità, di lasciare andare l’una delle due vie come impensabile e inesprimibile
(infatti non è la via vera) e che l’altra invece esiste ed è la via reale. L’essere come potrebbe esistere nel futuro? In che
modo mai sarebbe venuto all’esistenza?

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