IPOTESI DI INTERPRETAZIONE DELLA STELE DI SNEFRU

 

A mio padre

Aussitôt après que l’idée du Déluge se fut rassise,
un lièvre s’arrêta dans les sainfoins et les clochettes mouvantes,

et dit sa prière à l’arc-en-ciel,
à travers la toile de l’araignée.
A. Rimbaud

1. LA STELE DEL SINAI

In una delle cave di pietra usate dagli Antichi Egizi per la costruzione dei loro monumenti più celebri, le Piramidi, si trova un rilievo attribuito al Faraone Snefru, colui che viene tenuto come il capostipite della IV Dinastia, quella a cui si attribuiscono le celeberrime Piramidi del Plateau di Giza, un luogo in cui, oltre alle Piramidi più impressionanti, si trova anche la scultura più celebre del mondo, la Grande Sfinge. Una delle interpretazioni correnti di questo enigmatico complesso iconico-geroglifico è che esso ci parli del re divino nell’atto di abbattere un nemico. Conviene osservare attentamente quest’opera, che costituirà il tema di questa breve indagine.

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In effetti, a prima vista sembra del tutto evidente che la scena a cui assistiamo sia quella dell’uccisione di un avversario: ma di quale avversario si tratti invece non è chiaro. Seguendo una linea di interpretazione di tipo immediato, realistico, possiamo pensare che il Faraone dovrebbe esser ritratto mentre uccide un nemico proveniente da nord-est, visto che il rilievo è stato scolpito in una cava situata nel Sinai. Ma chi conosce profondamente l’arte iconografica Antico Egizia sa per principio che con ogni probabilità le cose non stanno così. Per rifarci a un esempio molto celebre, il rilievo di Ramses II che rappresenta la sua altrettanto celebre vittoria contro il nemico ittita a Qadesh ci parla di una battaglia vinta dal carro del Faraone contro l’intero esercito avversario, ed è del tutto chiaro che non vi è un solo storico moderno che abbia mai preso o che possa prendere seria in considerazione la verità – come potremmo chiamarla? – “fattuale” di questa narrazione. Tutto quel che sappiamo quanto ad armamenti, tattica e strategia antichi e moderni, e tutto quanto è ragionevole supporre quanto alle condizioni e alle vicende reali o realistiche di una battaglia in campo aperto ci impedisce di credere seriamente – fosse pure per un attimo – che un intero esercito, formato da migliaia di persone, colto di sorpresa dal nemico nel proprio accampamento, in rotta e in preda al panico, possa essere salvato dall’azione di un singolo purchessia. La storia dell’eroe che in campo aperto travolge da solo come un turbine una massa di nemici è tenuta nell’Occidente moderno come una favola cui solo i bambini molto piccoli possono prestar fede senza tema di ridicolo o disprezzo. Dunque, non sembrando ragionevole supporre che i costruttori di opere che rappresentano il punto più alto mai raggiunto dall’architettura umana nel corso della sua storia fossero dei bambini o degli stupidi, dobbiamo supporre che il rilievo della battaglia di Qadesh, pur sembrando narrare quella che a noi appare come una favola costruita distorcendo in modo fantasioso e quasi delirante un evento reale, deve per forza avere un altro significato. Forse, la prospettiva della narrazione era del tutto diversa da quella che assumerebbe uno storico occidentale in relazione allo stesso evento. Questo ci spinge a pensare che anche nel caso del rilievo di Snefru il nemico abbattuto non sia quel che potremmo definire un nemico reale, terreno, geograficamente e culturalmente definito. Probabilmente, il re divino sta abbattendo un nemico anch’esso divino, un demone, come si potrebbe dire, un demone che perennemente incombe sull’Egitto, che perennemente lo minaccia e da cui perennemente il popolo ha bisogno di essere protetto e salvato.

2. THE SNEFRU CODE

Questo tipo di interpretazione delle vicende storiche “reali” – che dal punto di vista di un occidentale moderno risulta talmente sorprendente e discutibile che si è portati contrastarla con il sarcasmo ancor prima che con ogni sorta di argomento empirico – risulta confermato dal fatto che nel rilievo oggetto della nostra indagine gli antichi scultori e disegnatori sembrano aver codificato – con un metodo geometrico-matematico ancora da identificare nei suoi esatti connotati ma di certo molto complesso – tutte e cinque le Piramidi più celebri di quel periodo della storia Antico Egizia che siamo soliti chiamare come “Antico Regno”. Analizziamo le immagini:

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Queste immagini sembrano mostrarci come un fatto ovvio e incontestabile un’ipotesi storica che appare al contrario quasi del tutto incredibile: nel rilievo di Snefru si vedono impresse secondo un codice che appare già a prima vista piuttosto raffinato non solo le due sue Piramidi più celebri, la Piramide Rossa e la Piramide Romboidale, ma anche quelle di tutta la sua ancor non nata discendenza: troviamo infatti anche quelle di suo figlio Cheope, di suo nipote Chefren e del suo bisnipote Menkaure. In pratica, sembra che tanto l’immagine iconografica che i geroglifici siano stati studiati formalmente e dimensionati metricamente in modo magistrale per entrare in contatto in un modo sempre e comunque simbolicamente significativo con ben cinque Piramidi, che hanno strutture interne e/o inclinazioni tipiche diverse. Puntando la cuspide delle Piramidi in altri punti caratteristici del rilievo possiamo osservare dei sistemi di intersezioni forse ancora più sconvolgenti.
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Le probabilità che una cosa di questo genere possa essere accaduta “per caso” – come va di moda dire in Occidente ogni volta che non capiamo i prodotti dell’intelligenza dei nostri antenati – è di una su qualche miliardo di miliardi di miliardi (abbiamo fatto questa cifra tanto per dare un’idea: probabilmente il numero effettivo è molto più piccolo). Quindi, sillogisticamente parlando, se è vero che il rilievo del Sinai appartiene a Snefru e se è vero che anche le Piramidi di Giza sono codificate in questo rilievo, questo potrebbe voler dire soltanto che

1) Già ai tempi di Snefru gli Antichi Egizi avevano sviluppato una matematica e una geometria di livello molto alto, o addirittura altissimo: dunque non sarebbe vero quel che si pensa di solito, cioè che gli Antichi Egizi costruirono i loro massimi monumenti in forma di Piramidi perché – come a volte si sente ancora dire – si tratta di una struttura naturalmente stabile e sicura che dunque si può tirar su a occhio, senza progettazione preventiva o addirittura senza badare più di tanto a quel che si fa.

2) Dunque non sarebbe vero che l’alta matematica arrivò in Egitto in epoca tarda, come un’influenza della Grecia Classica: al contrario questa matematica esisteva già da almeno 2500 anni e – anzi – a guardare queste immagini possiamo supporre che al momento in cui il rilievo di Snefru venne scolpito già da molti secoli o addirittura da millenni dei complicatissimi teoremi geometrici venivano sviluppati – annessi a una potenza di calcolo che almeno a prima vista appare davvero strabiliante.

3) Dunque per migliaia di anni non solo la matematica come scienza non si è – come si pensa di solito – “evoluta”, ma si sarebbe al contrario involuta fino al punto di essere dimenticata, per poi essere reinventata molti millenni dopo per vie e con forme diverse prima nella Grecia Classica e poi nell’Occidente moderno.

4) Inoltre, del tutto diversamente da come di solito si crede, ai tempi di Snefru tutto il complicatissimo piano architettonico che ha portato alla costruzione delle Piramidi di Giza era già nelle menti degli architetti del bisavolo: questo vuol dire che tutto quel che è accaduto successivamente non sarebbe altro che la messa in atto di un piano immaginato molto tempo prima e non un succedersi di produzioni architettoniche decise volta per volta.

5) Avremmo così la prova cogente e irrefutabile che l’attuazione di questo piano non dipendeva dalla volontà di un singolo Faraone, ma da un progetto precostituito che andava avanti indipendentemente dal fatto che un Faraone vivesse abbastanza a lungo da poter costruire la “sua” Piramide, che a questo punto possiamo affermare che non era affatto sua.

6) Dunque sembrerebbe del tutto possibile, anzi, assolutamente probabile, che l’impresa architettonica connessa alla costruzione di una Piramide come quella di Cheope sia durata molto più a lungo che la vita di un singolo Faraone. Che quanto nelle Piramidi ci appare elemento approssimativo o incompiuto non dipenda dal fatto che un singolo Faraone sia morto prima che fosse finita, ma da qualche altro motivo di cui non possiamo per ora immaginare la natura se non in via assolutamente ipotetica.

7) Quindi la collocazione cronologica del Plateau di Giza nel 2500 a.C. circa entrerebbe in discussione e non potrebbe essere più considerata ovvia e assodata. Ne verrebbe di conseguenza che tutte quelle datazioni del Plateau che fino ad adesso sono state definite “controcorrente” – quali per esempio quella di John Anthony West – sarebbero da considerarsi a questo punto non solo geologicamente fondate dallo stato e dal tipo di corrosione della Sfinge e dalle evidenze di un’abilità nella lavorazione della pietra di stampo futuribile: esse diventerebbero a questo punto anche filologicamente e archeologicamente possibili e pensabili.

8) Dunque la funzione tradizionale che si attribuisce alle Piramidi, ovvero quella di essere la tomba di un singolo Faraone, non sarebbe più accettabile e risulterebbe inesorabilmente confutata. Con ogni probabilità i nomi “Snefru”, “Cheope”, “Chefren” e “Menkaure” si riferirebbero o a singoli Faraoni che si sono appropriati di queste strutture in tempi più o meno vicini al Medio o al Nuovo regno, oppure ad antichissime divinità stellari, connesse con il cielo del Duat. Quindi, data la disposizione delle Piramidi di Giza a immagine della Cintura di Orione, si può pensare che Cheope fosse la controparte terrena o l’avatar di pietra di Alnitaki, Chefren di Alnilam, Menkaure di Mintaka – mentre le Piramidi di Snefru, dovrebbero riferirsi alle due stelle più luminose delle Pleiadi, che costituiscono la costellazione precessionalmente “rivale” di Orione, vale a dire il Toro (da un punto di osservazione come Giza, o Nabta Playa, Orione e il Toro sembrano nei millenni ruotare come attorno a un centro comune, così che quando il ciclo precessionale colloca al massimo il Toro, Orione giunge al minimo, e vice versa).

9) Dunque, la Orion Connection Theory immaginata da Bauval risulterebbe da questa scoperta confermata in un modo che sembra addirittura inequivocabile. Giza e Dahshur non sarebbero più da considerarsi delle strutture venute fuori dalla somma casuale delle volontà di singoli individui, che seguendo un autonomo capriccio di sovrani onnipotenti ne hanno fatta una qui e una là secondo come si alzavano al mattino, ma un’immagine terrena del piano stellare sacro, divino, ovvero un’immagine del Duat in una certa epoca.

10) Bauval indica, come è noto, il 10.500 avanti Cristo circa: a partire da una scoperta di questo genere non sarebbe più impossibile pensare che questa sia la data effettiva in cui fu costruito o addirittura abbandonato il Plateau, che è precisamente quel che si pensa sia successo a Gobeki Tepe, un sito megalitico importantissimo che venne interrato dai suoi costruttori intorno appunto al 10.500 a.C., probabilmente in connessione con il concludersi di una fase del ciclo precessionale.

11) Questa potrebbe essere dunque la ragione della misteriosa fine di molte civiltà, fra cui molto celebre è il caso della civiltà Maya. A ben vedere, una cosa del genere non pare più di tanto irrazionale, dato che se si accetta il fatto che una complesso architettonico venga costruito in onore di un dio considerato come il più potente – perché identificato con una costellazione che sta salendo all’orizzonte – nel momento in cui il moto si inverte è chiaro che un’altra divinità-costellazione debba prendere il suo posto. A questo punto diventa ovvio che la città – non rispondendo più allo stato delle cose nell’ambito del mondo divino – venga poi abbandonata: il motivo dell’abbandono non sarebbe dunque per nulla diverso da quello per cui è stata costruita e dunque né più né meno “ragionevole” di questo.

12) Dunque, espressioni come “Antico Regno” o “Medio Regno” o specialmente “Periodo Intermedio” non avrebbero avuto per gli Antichi Egizi il senso che si tende ad attribuirgli nell’ambito della storiografia occidentale moderna. Queste espressioni infatti non sarebbero da riferirsi a particolari eventi storici, culturali o politici, ma bensì al ciclico mutare della posizione delle costellazioni – intese letteralmente come divinità – al momento della levata eliacale all’Equinozio di Primavera. Un ottimo esempio di “Periodo Intermedio” potrebbe essere rappresentato proprio dal rilievo di Snefru, dato che in esso il Faraone-dio viene rappresentato con un copricapo adornato fra l’altro con delle corna. Siccome le corna sono una caratteristica del Toro – ma il Faraone viene tradizionalmente inteso come un avatar umano di Osiride-Orione – possiamo ipotizzare che nel periodo cosmico rappresentato dal rilievo il Toro si trovasse più in alto o più o meno alla stessa altezza di Orione cosicché, per poter incarnare la sua potenza, il Faraone dovesse indossarne dei simboli caratteristici.

13) Dunque potremmo anche supporre che tutti i resti che sono stati datati col carbonio 14 in particolar modo a Giza non appartengano ai costruttori del sito, ma invece a persone che per vari motivi hanno ivi vissuto e operato quando le Piramidi erano state già da molti secoli o da vari millenni costruite; un po’ come è accaduto ai Greci Classici, che sono vissuti e hanno operato fra i resti delle costruzioni ciclopiche dell’antica Micene, attribuendole senza incertezze all’opera e al tempo dei Titani.

In alternativa a queste conclusioni, potremmo ipotizzare che il rilievo creduto fino ad ora di Snefru non sia stato attribuito correttamente, e che invece appartenga a un sovrano di molto successivo all’Antico Regno, ovvero a un tempo in cui tanto la geometria delle Piramidi di Giza come di quelle di Dahshur era tanto ben conosciuta da consentire la costruzione di una loro immagine in codice – del tipo di quella che abbiamo appena visto. Ma qui la prima cosa che viene in mente è che tutti gli eventuali dubbi che potremmo avanzare quanto alla correttezza dell’attribuzione verrebbero introdotti a partire da questa scoperta e in particolare per evitarne la “spiacevole” conseguenza di dover riscrivere interamente Storia e Preistoria, dato che fino ad adesso non è che ci fossero molte discussioni in merito. Inoltre, pur ricorrendo a una scappatoia di questo genere, rimarrebbero aperti dei problemi di importanza capitale: perché una tale immagine è stata costruita? perché è stata scolpita nel Sinai? come può essere un caso che ben cinque Piramidi costruite in modo arbitrario da quattro sovrani diversi possano alla fine andare a collimare in un codice tanto unitario e coerente – se già il codice di partenza non era il medesimo? Inoltre: perché tanto sforzo intellettuale prodigato alla costruzione di un rebus che all’occhio moderno risulta del tutto innocuo e inutile? e, soprattutto, di dove deriva la forza di calcolo, di induzione e di codificazione che è stata usata per questa immagine che, ove le Piramidi derivassero effettivamente da volontà diverse e fra di loro del tutto incoerenti, apparirebbe senz’altro nulla di meno che fantastorica?

In un altro senso, potremmo pensare che quello che vediamo nel rilievo sia un codice per la costruzione di piramidi e che perciò, ove adottato nel progetto, sempre e comunque ogni nuova piramide andrebbe a collimare in modo significativo con parti di questo complesso iconico-geroglifico, un po’ come ogni nuova figura musicale collima sempre e comunque in modo significativo con le leggi dell’armonia e della notazione musicale: ma a chi e perché può essere venuta un’idea di questo genere? Se questo che abbiamo ipotizzato è vero, perché le piramidi dovevano aprioristicamente collimare con un codice di questo genere?

ANALISI COMPUTERIZZATA

A questo punto risulta un dovere avvertire il lettore che l’indagine computerizzata di questo rilievo è appena all’inizio, e che un esperto sta controllando se non possano essere in essa contenuti anche i codici costruttivi di altre Piramidi dell’Antico Regno e – soprattutto – se essa non contenga un codice ulteriore – ancora più riposto e complesso. Ove si trasformassero in prova i primi indizi che sembrano indicarne in modo significativo la presenza sarebbe davvero difficile attribuirlo a degli artefici che noi tendiamo a considerare piuttosto “primitivi” – pur se dotati di un profondo quanto enigmatico “senso estetico” – dato che li reputiamo privi persino di mezzi per noi del tutto ovvi e banali quali la ruota e la carrucola.

È chiaro che – prima di offrire qualsiasi genere di certa conclusione – la materia implicherà un lungo studio che possa confermare o infirmare quelli che per ora non si possono considerare nulla di più che punti di partenza, o prime impressioni. Ma se di tali codici fosse infine confermata l’esistenza – tanto dall’analisi computerizza che da un per quanto complesso e sofferto accordo di lungo termine fra gli studiosi – il fatto verrebbe alla fine a porre questioni che verosimilmente non possono essere risolte nel breve spazio di un articolo e dalla debole mente di un singolo essere umano. Alla luce dei dati che paiono emergere occorrerebbe che esperti di architettura, astronomia, matematica Antico Egizie – oltre che di iscrizioni geroglifiche e iconografia – collaborassero per risolvere i problemi posti da una scoperta che apparirebbe davvero sconvolgente. Sembra infatti del tutto chiaro che il rilievo sia di certo anche un’opera d’arte, accompagnata però da significati reconditi che in questo momento non siamo in grado di neppure immaginare. Non è chiaro nemmeno se anche future indagini potranno fare di più che impigliarsi in quella che appare come una quasi magicamente intricata superficie. Diciamo questo perché sembra che gli scultori e gli architetti Antico Egizi abbiano operato con le Piramidi come hanno fatto con il rilievo di Snefru, ovvero in modo tale che il loro significato occulto risultasse incomprensibile ai non iniziati. È come se Bach, in una sua opera fondamentale, avesse incorporato altre opere secondo un sistema, di modo che incrociandole si potesse ottenere un genere di esperienze e di conoscenze del tutto diverso da quello del semplice godimento della musica.

In conclusione, occorre sottolineare come la scoperta del Codice Snefru poco o nulla si presti a quei titoli trionfalistici tanto di moda nella stampa cosiddetta “popolare”, enfasi che servono solo da specchietto per le allodole per attirare la curiosità di lettori sprovveduti, in cui vengono sistematicamente promesse irrealistiche epifanie gnoseologiche quali “scoperto il segreto degli Antichi Egizi!” “rivelato il mistero della Grande Piramide!” o cose del genere. Al contrario, la scoperta di questo almeno per adesso del tutto muto ed enigmatico Codice di Snefru costituisce casomai la rivelazione di un socratico sapere di non sapere, il dissolversi di un’apparenza tenuta per assodata conoscenza. L’unica cosa che forse davvero già a questo punto ci rivela è che quasi tutto quel che credevamo di conoscere quanto all’Antico Regno e all’Egitto Prefaraonico – e forse anche quanto all’intera Preistoria – non corrisponde alla verità, e che se a questa vogliamo arrivare dobbiamo rassegnarci a ricominciare daccapo.

APPENDICE FOTOGRAFICA: ALTRE RELAZIONI GEOMETRICHE FRA IL RILIEVO DI SNEFRU E LA GRANDE PIRAMIDE