Il Codice Snefru – Parte 13

LA VERSIONE NEANDERTHAL
DEL CALENDARIO MAYA TZOLKIN RITROVATA NELLA GROTTA DI NERJA

A Virginia Trimble e Alexander Badawy
per aver scoperto la connessione fra i pozzi della Camera del Re
e la costellazione di Orione

O les énormes avenues du pays saint, les terrasses du temple! Qu’a-t-on fait du brahmane qui m’expliqua les Proverbes? D’alors, de là-bas, je vois encore même les vieilles! Je me souviens des heures d’argent et de soleil vers les fleuves, la main de la compagne sur mon épaule, et de nos caresses debout dans les plaines poivrées. – Un envol de pigeons écarlates tonne autour de ma pensée. – Exilé ici, j’ai eu une scène où jouer les chefs-d’œuvre dramatiques de toutes les littératures. Je vous indiquerais les richesses inouïes. J’observe l’histoire des trésors que vous trouvâtes. Je vois la suite! Ma sagesse est aussi dédaignée que le chaos. Qu’est mon néant, auprès de la stupeur qui vous attend?
A. Rimbaud

parte prima: UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE DELLA FUNZIONE COMPLESSIVA DEL SISTEMA CALENDARIO MAYA HAAB’-TZOLKIN

1. Come tutti gli archeologi sanno, o almeno dovrebbero sapere, nell’antichità il problema della misurazione del tempo era molto complesso. La finalità simbolico-religiosa dei calendari andava molto al di là di quello che oggi è considerato l’unico scopo “razionale” dell’unico calendario adottato, che è quello di misurare la durata dell’anno solare per un’infinità di scopi pratici. Al contrario di quanto accade oggi, nell’antichità il calendario solare era quasi sempre associato a quello delle fasi lunari, ma molto spesso la misura del tempo si serviva anche dei cicli di altri corpi celesti, del tutto sconnessi dal ciclo delle stagioni, che segue inesorabilmente quello del Sole.
Forse, la più celebre fra tutte le misurazioni del tempo “alternative” è quella connessa con il ciclo di Sirio, importantissimo nell’Antico Egitto, la cui durata si considerava pari a 1460 o 1461 anni solari, a seconda dei conteggi. In questo caso risulta immediatamente evidente come il conteggio del tempo non avesse alcuna utilità pratica, come, del resto, di nessuna utilità pratica era l’osservazione di quelle stelle, i cosiddetti decani, la cui levata segnava il passaggio di un’ora notturna (curiosamente, nell’Antico Egitto la notte doveva essere divisa in 10 parti eguali, qualsiasi fosse la stagione: questo significa che i decani che segnavano le ore in estate non potevano essere gli stessi di quelli dell’inverno, il che, a sua volta, significa che misurare il tempo aveva un’importanza simbolico-religiosa che travalicava qualsiasi senso pratico che si possa immaginare).
L’oggetto della nostra indagine è però un sistema particolare, che venne adottato da molte culture precolombiane, Aztechi compresi, e la sua struttura fa sospettare che fosse in realtà enormemente antico. Ma, siccome viene per solito conosciuto come un sistema tipicamente Maya noi, per non ingenerare confusioni nel lettore, ci adegueremo a quest’uso, e parleremo del “sistema Maya Haab’-Tzolkin”, pur consapevoli dei limiti storico-teorici di questa definizione.
Il primo elemento di questo sistema, il calendario Haab’, era un calendario solare, composto da 20 mesi di 18 giorni ciascuno, per un totale di 360 giorni. Era completato, come quello Antico Egizio, da 5 giorni che venivano considerati particolarmente infausti, perché si credeva che in quei giorni i morti tornassero sulla Terra a chieder conto ai vivi del male ricevuto (gli Antichi Egizi credevano invece che in quei giorni nascessero gli déi, ed è per questo che li consideravano “fuori dal tempo”). Il calendario solare Maya, come quello Antico Egizio, viene definito “vago” perché non prevedeva il recupero dei circa 0,25 giorni in più che occorrono alla Terra per completare la sua orbita attorno al Sole. Dunque, nel corso dei secoli, le stagioni erano destinate a spostarsi lungo il calendario, fino a tornare al punto di partenza dopo circa 365,25/0,25 = 1461 anni solari (cioè, almeno nell’Antico Egitto, al termine della durata di un ciclo di Sirio).
Il calendario Tzolkin misurava invece un periodo pari a 260 giorni, divisi in 20 unità di 13 giorni ciascuna. Siccome il 20 era il numero comune al sistema, era il 13 che lo caratterizzava rispetto al calendario Haab’, come il 18 caratterizzava quello Haab’ rispetto a quello Tzolkin. Insieme formavano un sistema calendario integrato, noto comunemente come “sistema Haab’-Tzolkin” che può anche essere rappresentato come una ruota, o come un sistema di due ruote dentate

Questo sistema calendario aveva un significato simbolico e religioso molto importante per i Maya. Era fatto in modo, per esempio, che ogni giorno avesse un nome diverso. Ma, siccome questo argomento non fa parte del nucleo della presente ricerca, che si rivolge essenzialmente al suo significato scientifico-matematico, rimandiamo il lettore alle fonti che possono essere facilmente reperite in rete.
Stante la loro diversa struttura, i due conteggi del tempo procedevano in modo asincronico fino a ricongiungersi dopo 52 anni Haab’ o di 73 anni Tzolkin, ovvero dopo 18980 giorni solari. Questa unità di tempo veniva definito come un Grande Anno, al termine del quale il conteggio ripartiva da zero. E qui possiamo subito notare come in questo numero vi sia una chiara allusione ermetica a π, dato che

18980 : π7 = 18980 : 3020,293227776.. = 6,284158.. ≈ 2π = 6,283185..

Un ciclo precessionale costituito da 26000 anni Haab’ si concludeva dopo 500 Grandi Anni, mentre due cicli precessionali costituiti da 52000 anni Haab’ erano costituiti da 1000 Grandi Anni. É facile intuire che due cicli precessionali siffatti venissero immaginati dai Maya come una sorta di Grande Anno di dimensioni maggiori di quello ordinario. Forse, come ancora oggi accade nell’induismo, il Grande Anno di 52 anni era considerato un “Grande Anno umano”, mentre quello di 52000 era considerato un “Grande Anno Divino”.

2. Quanto alla funzione pratica del calendario Haab’ non pare che vi siano grossi problemi, dato che serviva a misurare l’anno solare. Quando al calendario Tzolkin invece, a causa della sua durata particolarmente anomala, gli studiosi non hanno ancora raggiunto un accordo su quale fosse la sua funzione, ovvero quale fosse il ciclo cosmico a cui era riferito. Ma noi crediamo che la soluzione di questo problema possa essere trovata in almeno due cicli cosmici, di cui ci è restata una testimonianza scritta della loro importanza per la cultura Maya: si tratta del ciclo di Venere e di quello di Marte.
Vi sono poi altri cicli celesti, che vedremo più oltre, di cui possiamo dimostrare matematicamente la compatibilità con il calendario Tzolkin. Noi li prenderemo in considerazione, diciamo così, a livello di esperimento mentale. Un esperimento mentale che può fondarsi, fra l’altro, sul fatto che il lascito scritto della cultura Maya è stato quasi completamente distrutto dai Conquistadores,. Dunque non è impossibile che questa cultura, per cui l’astronomia fu tanto importante, fosse a conoscenza altri cicli, oltre a quelli di cui ci resta una testimonianza scritta. Senza contare poi che in queste culture aveva un peso difficilmente calcolabile il sapere che noi definiamo esoterico: il che significa che un certo tipo di sapere astronomico fosse per principio escluso dalla scrittura e riservato a quella orale.
Possiamo cominciare la nostra analisi prendendo in considerazione il ciclo di Venere. In prima istanza, possiamo notare che esso rimanda in qualche modo al calendario Tzolkin già per il fatto che contiene due semicicli di 263 giorni l’uno, molto vicini alla durata di un periodo Tzolkin di 260 giorni. Questi due cicli erano intervallati da dei periodi più brevi – rispettivamente di 8 e 50 giorni – in cui il pianeta scompare dalla vista dell’osservatore terrestre. E qui sembra notevole il fatto che moltiplicando la durata complessiva del ciclo di Venere – (2 ∙ 263) + 50 + 8 = 584 giorni solari – per quella dell’anno Tzolkin (260 giorni solari) otteniamo un ciclo di 416 anni Haab’ di 365 giorni l’uno, oppure di 8 Grandi Anni. Infatti

584 ∙ 260 = 416 ∙ 365 = 151840 giorni solari

151840 : 18980 = 8 Grandi Anni, pari a 52 anni Haab’ o a 73 anni Tzolkin

Se consideriamo quel ciclo precessionale un po’ idealizzato a cui abbiamo accennato sopra, pari a 26000 anni Haab’, allora vediamo che 2 cicli precessionali equivalgono a 125 di questi cicli di 416 anni Haab’, oppure a 73000 anni Tzolkin, oppure a 32500 cicli di Venere.

52000 : 416 = 125

(52000 ∙ 365) : 260 = 18980000 : 260 = 73000 anni Tzolkin

(52000 ∙ 365) : 584 = 18980000 : 584 = 32500 cicli di Venere

3. E qui possiamo notare due cose. La prima è che 8 cicli precessionali composti da 26000 anni Haab’ sono pari a 130000 cicli di Venere: troviamo quindi il numero tipico del calendario Tzolkin, il 13, moltiplicato per 104. La seconda è che i 32500 cicli di Venere, divisi per 2 e poi per 104, ci danno un rapporto che nel corso di questa ricerca abbiamo incontrato molte volte (cfr. The Snefru Code parte 3), ovvero quello fra il sesto e il settimo numero della serie di Fibonacci. Un rapporto che, nel caso degli 8 cicli precessionali, risulta dai 130000 cicli di Venere – divisi ancora una volta per 104 – divisi per gli 8 cicli precessionali: la proporzione numerologica, che tanto era importante per le culture astronomiche dell’antichità, sembra perfetta

(32500 : 2) : 104 = 13 : 8 = 1,625

(130000 : 104) : 8 = 13 : 8 = 1,625

Un altro ciclo celeste che si adatta a questo strano modo di contare i giorni sono i movimenti periodici di Marte, di cui i Maya registrarono accuratamente le fasi di “moto retrogrado”. Sono quelle in cui il pianeta, sopravanzato dalla Terra nella sua orbita attorno al Sole, pare retrocedere nella sua parabola lungo l’eclittica. Il numero di giorni che intercorre fra le metà di due periodi retrogradi è 780. Un numero che, come subito si vede, corrisponde esattamente alla durata di 3 periodi Tzolkin di 260 giorni l’uno.
Il ciclo di Venere e quello di Marte trovano perciò una sincronia ogni 780 ∙ 584 = 455520 giorni solari, pari a 1248 anni Haab’ (oppure a 24 Grandi Anni). Questo periodo di tempo corrisponde al triplo di quei 416 anni Haab’ pari ai 584 anni Tzolkin che erano l’intervallo di tempo necessario alla sincronizzazione fra il ciclo di Venere con il sistema Haab’-Tzolkin. Questo significa che per trovare la sincronia fra il ciclo di Venere e di Marte con il ciclo precessionale di 26000 anni Haab’, occorrono 6 cicli precessionali

(26000 ∙ 6) : 416 = 375

(26000 ∙ 6) : 1248 = 125

375 : 125 = 3

4. Fin qui ci siamo basati su testimonianze scritte accettate da tutti gli studiosi. D’ora in avanti procediamo con il nostro esperimento mentale, in cui, per prima cosa, prenderemo in considerazione il rapporto fra il calendario Tzolkin e il ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna. Questo esperimento si fonda, oltre che, come detto, sulla distruzione della stragrande maggioranza del patrimonio culturale dei Maya, anche su fatto che il periodo Tzolkin sembra avere qualcosa a che fare con la durata espressa in giorni del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, la cui durata è pari a circa 6798 giorni, per un totale di circa 18,61 anni solari. Questo periodo di tempo, diviso per la durata di due periodi Tzolkin (2 ∙ 260 = 520 giorni solari), ci dà un risultato che sembra molto interessante, dato che esso sembra riportare la durata di questo lungo ciclo lunare al numero tipico del calendario Tzolkin, vale a dire al 13. Notiamo di passaggio che la radice sesta del risultato del rapporto ci da un’ottima approssimazione del numero caratteristico del raggio classico del protone

6798 : 520 = 13,0730769..

6√13,0730769.. = 1,534839.. ≈ rp = 1,535

Se il ciclo si compisse esattamente in 13 periodi di 520 giorni, o in 26 di 260, il numero di giorni sarebbe pari a 26 ∙ 260 = 6760 giorni. Vi è dunque, diciamo così, sul breve periodo una differenza di ben 38 giorni. Una differenza che però, sulla durata del ciclo precessionale di 26000 anni Haab’, si cancella del tutto o quasi del tutto, per di più in modo quasi perfetto. Infatti, la durata di 6798 giorni che abbiamo usato sopra è leggermente approssimata verso l’alto e, se dividiamo la durata di un ciclo precessionale per una cifra leggermente diminuita, otteniamo un numero “rotondo”

(26000 ∙ 365) : 6797,994269340.. = 9490000 : 6797,994269340.. = 1396 cicli di retrogradazione dei nodi della Luna, pari a 36500 anni Tzolkin

Abbiamo dunque che i 6 cicli precessionali di 26000 anni Haab’ di 365 giorni corrispondono

1) a 375 periodi di 416 anni Haab’ (o di 584 anni Tzolkin) connessi con il ciclo di Venere

2) a 125 periodi di 1248 anni Haab'(o di 1752 anni Tzolkin) connessi con il ciclo di Marte

3) a 1396 ∙ 6 = 8376 cicli di retrogradazione dei nodi della Luna pari a circa 6798 giorni l’uno.

Inoltre dobbiamo fare 3 ulteriori osservazioni, che sembrano molto interessanti. La prima riguarda la durata dell’orbita di Saturno attorno al Sole, che è pari a circa 29,458 anni terrestri e dunque a 29,458 ∙ 365,25 = 10759,5345 giorni solari. Questo significa che in un ciclo precessionale formato da 26000 anni Haab’ di 365 giorni ciascuno – per un totale di 9490000 giorni solari – vi sono un numero di periodi di Saturno attorno al Sole pari a

9490000 : 10759,5345 = 882,008417..

Arrotondando la cifra, possiamo dire che in un ciclo precessionale così calcolato, pari a 26000 anni Haab’ oppure a 36500 anni Tzolkin, può essere calcolato anche per mezzo di 882 periodi di Saturno attorno al Sole.
La seconda nota che dobbiamo fare la riguarda la durata dell’orbita di Giove attorno al Sole, che corrisponde a circa 4333 giorni terrestri. Divisa per il numero di giorni “puri” di un anno Haab’ (che, lo ricordiamo, erano 360, proprio come i gradi dell’angolo giro) ci da un numero molto prossimo al 12 (per la precisione 12,036..). Il che ci spinge a pensare che ogni anno “puro” possa essere usato per misurare quello che potremmo definire come un “mese di Giove”.
Ma ben più importante di questo sembra il fatto che in un ciclo precessionale di 26000 anni Haab’ di 365 giorni ciascuno ci stanno un numero di cicli di Giove attorno al Sole che si trova fra 2191 e 2190 (per la precisione circa 2190,164..). Forse a un astronomo occidentale la differenza fra questi due numeri risulta banale, ma c’è da dubitare che le cose stessero così anche per un astronomo Maya. Infatti, questi 2190 periodi di Giove si possono suddividere in 6 sottoperiodi di 365 anni Haab’ ciascuno. Il che vuol dire che dopo 60 cicli precessionali, adottando un conteggio del genere, si sarebbe compiuto, per così dire, un giro completo di 360 gradi (corrispondenti ai giorni puri del calendario Haab’).
In questo modo scopriamo che l’anno Haab’ – sulla durata di un ciclo precessionale – può servire a misurare il periodo di Giove attorno al Sole in maniera accurata e simbolicamente splendida. L’unica cosa che dobbiamo fare è intendere in questo caso che un giorno corrisponde a un’orbita di Giove attorno al Sole. Quanto al resto, la struttura del calendario può rimanere tranquillamente la stessa, compresa la sua associazione con il calendario Tzolkin.

5. La terza osservazione che ci resta da fare è, crediamo, molto più importante delle altre due. Infatti, se prendiamo il solito ciclo precessionale fatto di 26000 anni Haab’, noi vediamo che corrisponde a un numero di anni lunari – la cui durata media risulta pari a circa 354,36 giorni solari – che si situa fra i 26781 e i 26780. Come nel caso precedente, a un astronomo occidentale la differenza fra questi due numeri risulta banale. Ma in questo secondo caso abbiamo ancora più ragioni di dubitare che le cose stessero così anche per un astronomo Maya.
Infatti, il 26780 può essere numerologicamente suddiviso in 103 periodi Tzolkin di 260 unità ciascuno. In pratica, lungo un ciclo precessionale di questo genere, si può usare il calendario Tzolkin per contare gli anni lunari, tenendo ogni anno come se fosse un giorno. Il che farebbe sì che dopo 6 cicli precessionali sarebbero trascorsi 618 di questi periodi.
Questa sembra una chiarissima al numero d’oro. Ma, a dir la verità, ne troviamo una ancora più chiara nel rapporto fra la durata dell’anno solare (365,25 giorni) e quella dell’anno lunare (354,36 giorni). Due numeri che, come ci apprestiamo a constatare, hanno un significato scientifico e matematico rimasto finora del tutto incompreso, e che non di meno ha quasi del miracoloso.
Come primo passo della nostra analisi, possiamo notare che il rapporto fra la durata dell’anno solare e di quello lunare è pari a circa 10 ∙ (ɸCheope – 1)

(365,25 : 354,36) ∙ 6 = 1,030731459.. ∙ 6 = 6,18438875.. ≈ (ɸCheope – 1) ∙ 10 = 0,618590346..

Ma questo, appunto non è che il primo passo. Quelli che ci restano da fare ci condurranno in un mondo di proporzioni matematiche degno di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Il rapporto fra la durata dell’anno solare e di quello lunare l’abbiamo segnalata più volte in passato perché, fra l’altro, corrisponde in modo praticamente esatto a 2ɸ/π

(2ɸ/π) ∙ 6 = 1,030072429600.. ∙ 6 = 6,18043457.. ≈ 1/ɸ ∙ 10 = 6,18033988..

Ma, come spesso succede in questi casi, quando il rapporto fra due numeri risulta significativo, risulta significativo anche il prodotto. Qui, in primo luogo, possiamo notare che la sua radice è quasi identica alla somma dei due numeri divisa per 2. In secondo luogo, tanto il prodotto che la somma ci consentono di ottenere in modo semplice e diretto un’ottima approssimazione di √π

√(365,25 ∙ 354,36) = √129429,99 = 359,763797.. ≈ (365,25 + 354,36) : 2 = 359,805

Ln (Ln √(365,25 ∙ 354,36) = Ln (Ln √129429,99) = Ln (Ln 359,763..) = 1,772482.. ≈ √π = 1,772453..

Ln {Ln [365,25 + 354,36) : 2]} = Ln (Ln 359,805) = 1,772502.. ≈ √π = 1,772453..

Infine, quelle che forse potrebbero anche essere più che delle curiosità, ma che, anche solo come curiosità, esprimono un’armonia talmente meravigliosa da fare impallidire il genio di Bach.
Infatti, se sommiamo la parte intera di 365,25 e 354,36 alla rispettiva parte decimale, viene sempre fuori lo stesso numero, il 390:

365 + 25 = 390; 354 + 36 = 390;

Se poi sommiamo i componenti di questo numero otteniamo 9 + 3 + 0 = 12, il numero di mesi dell’anno solare e lunare. Inoltre, 390 ∙ 2 = 780, ovvero, numerologicamente parlando, la durata di un ciclo di Marte, pari a 780 giorni. E qui possiamo notare di passaggio che 6 cicli di Marte attorno al Sole sono l’equivalente di 13 anni solari “puri” di 360 giorni ciascuno. Il che ha conseguenze importantissime quanto al rapporto fra i cicli che abbiamo considerato e il “Lungo Computo”, un calendario che i Maya usavano per misurare lunghezze di tempo molto grandi, che si fondava appunto su unità quasi-annuali pari a 360 giorni ciascuna.
Ma, tornando all’analisi numerologica del 365,25 e del 354,36, se facciamo la somma di tutti i numeri che compongono la durata dell’anno solare e di quello lunare, troviamo in ambedue casi il 21.

3 + 6 + 5 + 2 + 5 = 21; 3 + 5 + 4 + 3 + 6 = 21;

Sommando le cifre che compongono il 21, abbiamo per due volte che 2 + 1 = 3. Questa somma è solo apparentemente insignificante, dato che differenza fra 365,25 e 354,35 è pari
a 3,32: a livello numerologico si stabilisce così un ulteriore, potente legame simbolico fra l’anno solare e quello lunare.

√(365,25 – 354,36) = √10,89 = 3,3;

Il quadro armonico-numerologico è completato dal fatto che il doppio logaritmo di 3,3 ci dà come risultato un valore vicinissimo a √π/10. Ma abbiamo visto sopra che sia dal prodotto, sia dalla somma dell’anno solare che di quello lunare è possibile ricavare valori vicinissimi a √π. Questo significa che la durata di questi periodi di tempo è stata costituita dalla mente divina proprio sul fondamento di √π

Ln (Ln 3,3) = 0,177244078.. ≈ √π/10 = 0,177245385.. (-1,3 ∙ 10-6

6. Forse adesso abbiamo un’idea più chiara di quello che Pitagora intendeva con il termine, fino ad oggi rimasto completamente incomprensibile, di “armonia delle sfere”. Dopo quello che abbiamo visto dobbiamo pensare che non si trattasse di un’armonia visibile, immediatamente rappresentabile per mezzo di figure geometriche, come credeva Keplero. Si trattava invece, molto probabilmente, di una nascosta proporzione numerologica che percorre tutti i numeri fondamentali che riguardano i cicli cosmici.
Questa consapevolezza ci aiuterà a non stupirci troppo, quando scopriamo che un’altra allusione molto complessa a π e ɸ è contenuta nei 103 periodi Tzolkin – composti da 260 cicli di retrogradazione dei nodi della Luna – che in questo contesto vanno intesi come giorni – di cui si compone un ciclo precessionale.
Infatti, se noi dividiamo 103 per 2 otteniamo un 51,50, che numerologicamente equivale ai circa 51°50′ dell’inclinazione della Grande Piramide. Questo angolo, come abbiamo già visto a partire da The Snefru Code parte 3, ha come caratteristica fondamentale quella di essere costituito da funzioni molto ben approssimate di π e di ɸ

tg 51°50′ = 1,27229571.. ≈ √ɸCheope = 1,272238321..

cos 51°50′ = 0,617951097.. ≈ 1/ɸCheope = 0,617821552..

sen 51°50′ = 0,786216535.. ≈ (2 + Ln π)/4 = 0,786182471.. ≈ πCheope/4 = 0,785714285..

Ma, come abbiamo abbondantemente dimostrato nei lavori precedenti, proprio questi due numeri sono alla base di quella che possiamo senz’altro definire come la struttura armonica del cosmo, che si estende dai parametri fondamentali dell’atomo fino alle galassie a spirale. Un’armonia che gli Antichi Egizi hanno riprodotto nelle loro opere sacre figurative e architettoniche, facendo sì che esse si possano descrivere-ricostruire attraverso quello stesso diagramma – fondato su ɸ e π – con cui il fisico italiano Fappalà ha ricostruito lo spazio tempo. Nei lavori passati abbiamo fatto molti esempi, ma forse nessuno è altrettanto chiaro e possente come il profilo della Grande Piramide

 

Ma, come abbiamo visto nelle parti precedenti di questo lavoro, la Piramide ci dà la possibilità di descrivere, sia pure in modo complesso, anche le relazioni interne alle orbite dell’atomo, come anche quelle di sistemi solari con orbite “stressate”, oltre a dar luogo a effetti estetici davvero stupefacenti, ove sovrapposta ad opere figurative costruite con il medesimo codice geometrico

In The Snefru Code parte 7, sulla base delle immagini che vediamo qui sotto, siamo arrivati al punto di ipotizzare che il profilo della Grande Piramide possa essere inteso come una sorta di strumento geometrico in grado di descrivere le orbite dell’elettrone intorno al nucleo

Ma, se è vero che nei calendari Maya sono presenti in codice quegli stessi dati matematici che caratterizzano la Grande Piramide e le costanti delle fisica, questo costituisce un indizio che anche chi li ha elaborati fosse in possesso di una cultura scientifica altrettanto avanzata che quella che possiamo riscontrare nell’Antico Egitto.
Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che, a livello numerologico, altre informazioni scientifiche importantissime sembrano contenute sia nei numeri tipici dei cicli cosmici prediletti dai Maya, sia negli orientamenti di Teotihuacan, il loro centro religioso più importante, di cui possiamo vedere una piantina nell’immagine sottostante

5

Infatti, il numero d’oro e il Pi greco sembrano in grado di gettar luce anche sull’enigma dell’orientamento “sbagliato” di Teotihuacan, un luogo progettato secondo assi molto inconsueti che si possono notare nell’immagine sopra e che sono qui sotto descritti da Giulio Magli

“Il progettista decise che la città andava costruita secondo una griglia orientata a dei “punti cardinali”. Solo che i “punti cardinali” li decise lui: invece del nord usò la direzione 15.5 gradi nord-est e invece dell’est usò la direzione 16.5 gradi sud-est.
(..) È come se per qualche motivo esistessero un “asse nord-sud teotihuacano” spostato di 15.5 gradi a est del nostro, sul quale fu orientato il Viale dei Morti, e un asse “est-ovest teotihuacano” spostato di 16.5 gradi a sud rispetto al nostro.
(..) La precisione con cui gli allineamenti furono realizzati dimostra che il fatto che l’angolo tra l’asse T-nord-T-sud e l’asse T-est-Tovest non sia retto (cioè di 90 gradi) ma invece di 91 gradi è certamente intenzionale e non fu dovuto a errori.”
Giulio Magli, Misteri e Scoperte dell’Archeoastronomia, Newton Compton, p. 172

Per analizzare questo problema possiamo partire dalla constatazione che se dividiamo un anno solare per il resto di 5,25 giorni che troviamo fra i 360 giorni “puri” del calendario Haab’ e la sua durata effettiva di 365,25 arriviamo a scoprire un rapporto piuttosto interessante. Possiamo infatti considerare un anno solare di 365,25 giorni, invece che come un periodo di tempo, come un angolo di 365°,25. Se lo dividiamo per i 5,25 gradi-giorni che lo differenziano da un angolo di 360° ecco che otteniamo un risultato pari a 365°,25 : 5°,25 = 69°,5714. Questo è un angolo molto simile a quello caratteristico del Circolo Megalitico di Nabta Playa che, come abbiamo visto in The Snefru Code part. 5, è praticamente pari alla sezione aurea del mezzo giro (cioè dell’angolo di 180°).
Ma se adesso dividiamo per questi stessi 5°,25 i 16,5° di deviazione a Sud dell’asse Est-Ovest teotihuacano, è forse con un certo grado di incredulità che scopriamo di ottenere un’approssimazione a π che sembra assolutamente identica a quella che nella Grande Piramide è espressa dal rapporto fra la metà del perimetro e l’altezza (880 : 280 = 22/7). Infatti

16,5 : 5,25 = 22/7 = πCheope = 3,142857..

E questo dato pare confermare l’ipotesi che si è fatta in un recente articolo di World Mysteries, in cui si fa notare che la disposizione delle due Piramidi a Teotihuacan ha dei connotati tali che le rendono sovrapponibili a quella di Cheope e di Micerino come possiamo vedere nelle foto sottostanti

Ma la connessione fra i numeri fondamentali che costituiscono l’essenza della struttura intima, matematica, dell’universo fisico e questo luogo sacro la possiamo trovare anche per altre vie, vie che ci portano a comprendere fra l’altro anche il motivo per cui certi numeri fondamentali (come il 144, il 72, il 54, che sono tutti multipli interi del 18, il numero fondamentale del calendario solare Maya Haab’) ricorrono nei miti cosmologici che si possono trovare in tutto il mondo. Essi furono codificati a Teotihuacan in una maniera altrettanto rigorosa che ingegnosa, che è stata scoperta solo recentemente

L’ingegnere americano Hugh Harleston jr. misurò, tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, molti degli edifici di Teotihuacan e scoprì la misura base di 1,059 m che da allora si chiama hunab o “unità”. Con l’ausilio del sistema hunab la Via dei Morti si rivela essere il modello esatto del Sistema Solare. La linea mediana è rappresentata dal Tempio del Sole di Quetzalcóatl. I tronconi di piramide ancor oggi conservati nascondono le orbite dei pianeti Mercurio (36 hunab di distanza dal Sole), Venere (72 hunab) la Terra (12 ∙ 8 = 96 hunab) e Marte (144 hunab). Viene simbolizzata persino la Cintura degli Asteroidi, con un canale artificiale costruito sotto la Via dei Morti, alla giusta distanza di 144 ∙ 2 = 288 hunab.
Horst Bergmann – Frank Rothe, Il Codice delle Piramidi, Newton Compton, pp. 26-27

Il profondo significato scientifico di questi numeri interi noi lo capiamo quando ci rendiamo conto che sono numerologicamente connessi a numeri accompagnati da dei decimali. In effetti, prendendo una tangente uguale a π, noi vediamo che essa è caratteristica dell’angolo di 72°34321…, che sul piano numerologico è praticamente identico a quell’unità di tempo fondamentale per gli antichi che era il giorno precessionale (che, lo ricordiamo, risulta pari a 26000 : 360 = 72,222.. anni solari). Se poi eleviamo il numero di Eulero ad una potenza pari all’angolo con tangente pari a π abbiamo un’altra sorpresa

e72,343212848587141521182266521077 = 2,619739.. ∙ 1031 ≈ ɸCheope2 ∙ 1031 = 2,619834.. ∙ 1031

Se poi prendiamo l’angolo pari a 72° (una “mossa” che la nostra scienza e la nostra matematica escludono ma che l’antica saggezza connessa con la numerologia senz’altro consente) noi vediamo che il suo coseno è pari a 1/(2ɸ). Ma in ɸ e π, come abbiamo abbondantemente dimostrato nelle parti precedenti di questo lavoro, sono contenuti i valori di tutte le costanti della nostra fisica.

7.

Invece, quanto ai cicli cosmici prediletti dai Maya, ci resta ancora da osservare che il rapporto fra i 780 giorni del ciclo di Marte e i 584 del ciclo di Venere danno luogo a un numero molto vicino alla radice quarta di 10/π e, aggiungendo 2, all’inverso di 10/c, che a sua volta corrisponde a G/2

(780 : 584)4 = 1,335616438356..4 = 3,182196709.. ≈ 10/π = 3,183098861..

1/[(780 : 584) + 2] = 1/(1,335616438356.. + 2) = 1/3,335616438356.. = 0,29979466.. ≈ 10/c = 0,29979246

[(780 : 584) + 2] ∙ 2 = 3,335616438356.. ∙ 2 = 6,671232.. ≈ G = 6,672

Invece, il rapporto fra i 780 giorni del ciclo di Marte e i 6798 del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna da luogo a una buon approssimazione del numero di Eulero meno 1, elevato alla quarta potenza

4√(6798 : 780) = 4√8,715384615.. = 1,718191789.. ≈ e – 1 = 1,718281828..

Abbiamo poi che i 18,6119.. anni del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, elevati al quadrato, ci danno un’ottima approssimazione della durata dell’anno delle eclissi (346,6 giorni solari)

18,61192 = 346,403180.. ≈ 346,6

Prima di finire, dobbiamo ancora notare due cose. La prima è che dividendo i 36500 anni Tzolkin corrispondenti alla durata di un ciclo precessionale di 26000 anni Haab’ per i 1396 cicli di retrogradazione dei nodi della Luna, a loro volta corrispondenti allo stesso periodo di tempo, dividendo per 10 il risultato e poi facendo l’inverso della radice otteniamo una buona approssimazione del valore di ɸ che venne codificato nelle misure della Grande Piramide (ɸCheope = 1,618590346..)

1/√[(36500 : 1396) : 10] = 1/√(26,146131.. : 10) =

= 1/√2,614613.. = 1/1,616976.. = 0,618438.. ≈ ɸCheope – 1 = 0,618590..

La seconda è che dai numeri tipici del sistema Haab’-Tzolkin nel suo complesso (il 20, il 18, e il 13) possiamo dedurre delle buone approssimazioni e della costante di Dirac, e del numero d’oro

√(20/18) = √1,111111.. = 1,054092.. ≈ ħ = 1,054571..

√[(18 : 13) – 1] = √(1,384615.. – 1) = √0,384615.. = 0,620173.. ≈ ɸ = 0,618033..

Muovendoci in un modo un po’ diverso, possiamo ottenere il valore esatto di ɸ e un’approssimazione davvero ottima di π

[√(18 – 13) + 1] : 2 = (√5 + 1) : 2 = 1,618033988.. = ɸ

3√(18 + 13) = 3√31 = 3,141380.. ≈ π = 3,141592..

Moltiplicando il 18 e il 13 otteniamo infine il numero caratteristico del sarcofago di Djedefre, il 234. Attorno a questa cifra ruotano tutte le sue misure interne, esterne ed i volumi. Quest’opera è un vero e proprio capolavoro matematico, e di essa, a partire da The Snefru Code parte 7, abbiamo analizzato le possibili connessioni con le costanti della nostra scienza. Se lo intendiamo numerologicamente come un angolo, vediamo che l’inverso del suo seno corrisponde esattamente a 2/ɸ.

parte seconda:

IL CALENDARIO TZOLKIN RITROVATO NELLA GROTTA DI NERJA

1.

Sembra dunque che possiamo legittimamente interpretare il sistema calendario Haab’-Tzolkin come un modo di integrare in un solo sistema 3 cicli celesti che per i Maya erano fondamentali: il ciclo solare, il ciclo di Venere, il ciclo dei moti retrogradi di Marte. Inoltre, abbiamo visto che, senza alterare in nulla la sua struttura, esso può servire a misurare il ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, il ciclo delle fasi lunari e il periodo di Giove e Saturno attorno al Sole, se solo li proiettiamo sulla durata di un ciclo precessionale un po’ idealizzato, pari a 26000 anni Haab’.
E’ vero che per il pensiero moderno la misurazione del tempo su questa scala non ha proprio alcun senso, dato che noi diamo senso al tempo in relazione alla durata della vita di un individuo. Ma per culture abituate a pensare alla vita individuale come partecipazione all’eterno girare su sé stessa della divina ruota cosmica, forse il ciclo precessionale era addirittura un’unità di misura piuttosto ridotta. Ci basti pensare che in India a tutt’oggi si crede che un singolo “kalpa” o “giorno di Brahma” dura ben 4 miliardi e 320 milioni di anni. Al “giorno di Brahma” segue una “notte di Brahma”, in cui l’universo viene parzialmente annientato e in cui la vita rimane latente. Questo periodo dura altri 4 miliardi e 320 milioni di anni.
Un “anno di Brahma” è costituito da 360 di queste entità. Un’intera vita di Brahma dura per 100 di questi anni divini, per un totale di 3110400000000 anni umani, al termine del quale si pensa che l’universo venga annientato. Questo “niente” dura altri 3110400000000 anni, dopodiché la vita di Brahma ricomincia da capo (si noti l’allusione a π contenuta in questo numero, che può essere decodificata, per esempio, facendo 3√31,104 = 3,144889.. ≈ 2 + Ln π = 3,144729..).
Per avere un’idea anche visiva della proporzione fra la vita umana e quella della divinità, possiamo dare un’occhiata alla tabella sottostante

6e

Come subito si vede, in questa immagine del mondo non vi è posto per un tempo lineare, che si diparte da un’esplosione originaria fino ad una definitiva morte termica. Stante il fatto che questo tipo di immagine circolare del tempo dominava incontrastata in tutto il mondo antico, con un eterno ritorno delle stesse divinità e un eterno ripetersi di avvenimenti già accaduti di cui in Occidente possiamo farci un’idea a partire dalla lettura dell’Ecclesiaste, è del tutto chiaro che per queste genti i 26000 anni di un ciclo precessionale fossero da paragonarsi a un battere di ciglia. Non meno chiaro sembra che il sistema calendario Haab’-Tzolkin sia da riferirsi a cicli di questo genere, e non certo a quelli connessi a una singola vita umana. In questo senso, sembra anche del tutto ragionevole pensare che questo sistema servisse a misurare e sincronizzare anche il ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, quello di Giove e quello di Saturno con gli altri 3 di cui sappiamo per mezzo di fonti scritte.

2. Una possibile conferma della nostra ipotesi ci viene anche dalle pitture scoperte negli anni ’50 nelle grotte di Nerja. Queste pitture, che possiamo vedere qui sotto, sono state interpretate come delle figure di foche, o di pesci, eseguite nel modo rozzo e approssimativo che ci si può aspettare da gente che noi crediamo culturalmente molto arretrata, come gli uomini di Neanderthal. Comunque sia, la figura più a sinistra assomiglia in modo piuttosto caratteristico alla molto più celebre “foca di Cosquer”, che vediamo nella foto sotto

Però, almeno ad un astronomo, questi strani animali possono ricordare qualcosa di molto familiare. Infatti, se confrontiamo il loro profilo con quello del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, ecco che subito si intravede un’interessante somiglianza. Se consideriamo quello che abbiamo visto nelle grotte di Chauvet, ovvero quelle che paiono delle prove inequivocabili di osservazioni astronomiche che si riferiscono a un periodo compreso fra il 46000-44000 AC, ecco che questa ipotesi diventa ancora più plausibile, dato che i dipinti di Nerja risalgono proprio a quest’epoca

Vi sono altri reperti Neanderthal che fanno pensare che queste genti fossero dediti a dei culti astronomici. In una tomba sulle Alpi sono stati ritrovati questi finissimi manufatti, risaltenti a circa 40000 anni fa

La figura del bisonte morente – una raffinata scultura in avorio, è molto simile a quella che compare nel celebre “zodiaco di Lascaux” che vediamo qui sotto. La somiglianza è tale da far supporre una derivazione diretta, dato che sembra impossibile che due simboli tanto simili possano essere stati inventati in tempi e luoghi indipendenti l’uno dall’altro (anche se sembra altrettanto chiaro che la figura, originariamente Neanderthal, sia stata esteticamente elaborata dai Sapiens).

Noi possiamo interpretare la gobba dell’animale (o anche il suo muso, che ha un profilo ancora più simile) come un diagramma d’orizzonte del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna. Ma il diagramma d’orizzonte in gioco potrebbe essere anche un altro, per esempio, uno solare: oppure quello che vi mettiamo accanto, che è quello delle fasi lunari, che ha una curvatura più accentuata e più simile alla gobba del bisonte. Se questo fosse vero, allora la testa voltata potrebbe essere un modo simbolico con cui l’animale morente (cioè il ciclo alla sua fine) guarda al suo nuovo inizio o, come potremmo dire, al suo eterno rinascere

Questa non è la sola testimonianza che possiamo esibire di un culto lunare fra i Neanderthal. Infatti, se poniamo attenzione a quello che potremmo definire come il ritmo decorativo della collana di denti d’animale, ritrovata nella stessa tomba dove è stato trovato questo splendido bisonte, vediamo che esso ricorda in modo ancor più evidente il ciclo delle fasi lunari

Inoltre, la proiezione del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna sui profili degli animali non pare esaurirsi con la cultura Neanderthal. Attraverso i bisonti di Altamira essa sembra arrivare fino alla cultura antico Egizia, dove prende la forma del più classico dei copricapo faraonici

Come abbiamo visto in The Snefru Code parte 4, il diagramma d’orizzonte di questo ciclo lunare lo si può ricavare dalla spirale di Fibonacci, e dunque, in ultima analisi, da π e da ɸ. Troviamo la dimostrazione visivo-geometrica di quest’affermazione nelle immagini qui sotto, che per di più ci permettono di osservare come quello stesso schema, che serve per ricostruire il diagramma d’orizzonte del ciclo di retrogradazione dei nodi della Luna, serve anche per ricostruire la forma della sua orbita attorno al Sole

Il fatto che il diagramma d’orizzonte di questo ciclo lunare sia fondato su π e ɸ ha permesso agli Antichi Egizi di costruire le loro figure umane in modo tale che il loro profilo sia sempre e comunque una sorta di allusione ermetica a questo ciclo celeste. Lo abbiamo già visto nella foto sopra a destra, e lo vediamo ancor meglio in quelle che seguono

Ma, al di là dell’intrinseca somiglianza fra la forma dei copricapo Antico Egizi e quella dei bisonti dipinti nella preistoria, dobbiamo anche tenere in considerazione il fatto che la cultura Antico Egizia – finché è esistita – ha rivendicato la provenienza del suo sapere scientifico e religioso risalente a profondità di tempo che per l’uomo moderno sono semplicemente inimmaginabili. Manetone, che è a tutt’ora considerato una fonte affidabile quanto alla successione dei Faraoni durante il periodo dell’Egitto dinastico (cioè successivo al 3000 AC), sostiene che al suo tempo il Regno esisteva già da più di 30000 anni. E quest’affermazione – che finora è stata giudicata assolutamente inattendibile – alla luce delle scoperte fatte nel corso di questo lavoro diventa al contrario assolutamente ragionevole. Assolutamente ragionevole risulta anche attribuire alla cultura Neanderthal un sapere di tipo astronomico, che avrebbero poi fissato con le loro pitture sulle pareti della grotta di Nerja, come avrebbero fatto circa 10000 anni più tardo i Sapiens a Chauvet.
Neppure possiamo escludere che l’astronomia Sapiens sia un’eredità ricevuta in modo più o meno diretto dai Neanderthal. La somiglianza fra il bisonte di Lascaux e quello ritrovato nella tomba Neanderthal sulle Alpi – che rivediamo ancora una volta nelle foto sottostanti – sembrano indicarlo in un modo piuttosto chiaro.

3. Ma, al di là degli accostamenti estetico-formali – che pure hanno il loro peso – noi siamo in grado di fondare la nostra ipotesi quanto al significato delle pitture di Nerja anche su una base matematica abbastanza solida.
Infatti, se rivediamo la figura, possiamo renderci conto che nel corpo dei due pesci sono state tracciate 23 barre verticali. Ma se ad esse aggiungiamo quelle 3 che possiamo individuare nei punti di congiunzione fra i due “animali” – che sembrano legati l’uno all’altro quasi come gemelli siamesi – ecco che arriviamo al fatidico numero di 26, che è l’unità base del periodo Tzolkin moltiplicata per 2

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In pratica, sembra che questi “pesci” o “foche” che siano, rappresentino un antenato del calendario Tzolkin, dato che ne contengono il numero fondamentale, e che il loro profilo assomiglia a un ciclo lunare che questo calendario era in grado di misurare. Ma se questo fosse davvero un antenato del calendario Tzolkin, ecco che esso potrebbe contenere anche tutta l’astronomia implicita nel sistema Haab’-Tzolkin che, proiettato sul ciclo precessionale, è capace di sincronizzare in modo magistrale il ciclo solare, quello delle fasi lunari, quello di Venere, quello di Marte, il ciclo di retrogradazione de nodi della Luna, non meno che il periodo di Giove e di Saturno attorno al Sole.
D’altra parte, sembra impossibile di riuscire a spiegare in altro modo il sistema di barre che attraversa i due pesci o foche che siano se non come un modo di segnare il tempo, dato che a livello estetico non paiono aggiungere nulla alle figure, se non un elemento di astratta e del tutto impenetrabile enigmaticità. I Neanderthal di Nerja sarebbero dunque i predecessori dei Sapiens che ad Altamira tracciarono il complesso codice calendario, che sembra un sistema misto solare-lunare, che vediamo nell’immagine sottostante

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Effettueremo il conteggio delle barre della prima striscia e delle ultime due includendo nel conto anche gli estremi del simbolo, dato che partiamo dal presupposto che in queste strisce sia stato effettuato un conto lunare: sembra allora logicamente significativo includervi anche gli estremi del sistema, perché la Luna arriva a sorgere e a tramontare in punti estremi che si trovano più a Nord e a Sud che i due solstizi, così che il ciclo lunare sembra contenere dentro di sé quello solare. Fra l’altro, quella sorta di parentesi graffa orizzontale che vediamo in questo disegno di Altamira sembra un simbolo lunare anche perché, attraversando indenne i millenni, è arrivato a influenzare, per esempio, anche questo celebre dipinto di Piero della Francesca. Il simbolo lunare che sovrasta la Madonna è ovviamente un simbolo di fertilità, una potenza che da tempo immemorabile è associata alla Luna in quanto simbolo femminile. Suscita emozione pensare che un simbolo estetico adottato pochi secoli fa deriva direttamente da un simbolo matematico antico di almeno 15 millenni

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Dunque, considerando questo sistema di conteggio come una sorta di immagine dell’orizzonte astronomico, e considerando la traiettoria lunare quasi come una “parentesi vivente” che include dentro di sé i punti di levata del sole, si arriveranno a contare 27 barre: e il ciclo delle levate e dei tramonti della luna da nord a sud è giusto di 27,2 giorni.
La striscia inferiore invece conta 29 barre: e il ciclo delle fasi lunari ne dura 29,5. Nella parte centrale di questa complessa struttura matematica si contano invece ventiquattro barre – molto più lunghe delle altre e piuttosto inclinate, di cui 17 vanno da sinistra a destra, e 7 da destra a sinistra: queste 24 barre sembrano rappresentare i 24 mesi di due anni solari, che si possono misurare con 24 mesi solari più o meno “normali” o con 24,75 mesi lunari di 29,5 giorni ciascuno.
E i nostri lontani progenitori devono aver messo in relazione l’anno solare con quello lunare proprio in questo modo, o in un modo simile, dato che nella striscia incompleta, che sembra rimanere all’esterno del sistema, si trovano 18 barre, che diventano 20 se includiamo nel conto anche quei due tratti che uniscono la striscia al resto del sistema.
Queste 20 barre potrebbero rappresentare proprio quello 0,75 % di mese lunare che manca al ciclo lunare per accordarsi in modo più o meno “perfetto” con quello solare (in effetti anche in questo modo rimane un errore di circa due giorni, dato che 29,5 ∙ 0,75 = 22,125). Osservando le 24 barre centrali, lunghe e inclinate, si nota che l’ultima, ovvero la settima da destra, in connessione con la sesta da sinistra forma una sorta di “freccia”, che sembra “puntare” all’ottava barra della striscia superiore, quella dove nella nostra ipotesi si conta la durata del ciclo delle levate e dei tramonti della luna. E, curiosamente, quando il ciclo dei due anni solari finisce, il ciclo delle levate e dei tramonti della luna è trascorso più o meno all’80%. Più esattamente, dopo due anni solari è arrivato a 26 cicli interi che fanno 27,2 ∙ 26 = 707,2 giorni, a cui mancano ancora 22,8 giorni per accordarsi con il conteggio dei due anni solari. In un ciclo di levate e tramonti della luna 22,8 giorni sono pari a 22,8 : 27,2 = 0,8382, ovvero più o meno pari a quella percentuale che sembra indicata dalla “freccia” che il sistema delle barre inclinate sembra formare al momento in cui va a terminare.

4. Così, sulle pareti di Altamira noi non troviamo dipinti dei “segni astratti”, ma sistemi calendari creduti “segni astratti” a causa dell’ovvia mancanza di familiarità con l’apparato simbolico della matematica di molti millenni fa. Lo stesso vale per il modo per noi inconsueto con cui gli Antichi Egizi usavano l’alta geometria per disegnare le loro steli, che noi abbiamo frainteso come un ingenuo abbozzo di arte figurativa, del tutto privo di senso della prospettiva. Lo stesso forse vale per la simbologia matematico-astronomica dei Neanderthal, di cui fra l’altro, per ovvie ragioni, ci sono arrivate meno testimonianze, e il cui significato abbiamo forse percepito in modo ancora più distorto. D’altra parte, nella stessa tomba alpina in cui è stato ritrovato il bisonte scolpito nell’avorio, è stato ritrovato anche questo strano ciondolo

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La decorazione consiste in una fila di animali incisi in modo tale per cui dalla coda dell’uno sembra nascere la testa dell’altro. L’associazione col passare del tempo sembra ovvia: infatti, quale metafora è più spontanea – almeno per chi vive immerso nella natura – del passare dei giorni, dei mesi, degli anni e infine dei millenni, se non come una carovana interminabile, in cui gli animali nascono e muoiono l’uno dall’altro, l’uno nell’altro, animali che passano interminabilmente, inesorabilmente, interminabilmente, inesorabilmente simili gli uni agli altri?
D’altra parte, considerando l’avanzatissima e per noi quasi inimmaginabile scienza fisico-matematica che gli Antichi Egizi hanno mostrato di possedere con un’impresa come la costruzione della Grande Piramide, occorre per forza di cose supporre che l’impresa della conoscenza del cosmo sia iniziata un gran numero di millenni prima di quanto supponga l’evoluzionismo.
Oggi come oggi, parlare di un’astronomia Neanderthal sembra un’ipotesi azzardata o fin quasi fantascientifica. Fra qualche anno forse, sarà considerata un’ovvietà, per qualche motivo negletta dalla pseudo-scienza del ventesimo secolo.
Noi, convinti come siamo di essere i primi al mondo ad aver sviluppato le scienze quantitative, siamo parimenti convinti di essere i primi ad avere rappresentato entità come i diagrammi d’orizzonte di cicli celesti quali quello della retrogradazione dei nodi della luna. Quindi non siamo stati capaci di riconoscere nei copricapo faraonici il profilo di questo diagramma, proprio come non siamo stati capaci di riconoscere nei “disegni astratti” di Altamira un parente molto stretto della nostra simbologia matematica.
In effetti, i nostri antenati avevamo un modo di rappresentare le loro conoscenze davvero molto lontano dal nostro, che magari non ha ancora finito di stupirci. Chissà che la soluzione dell’enigma delle cosiddette “Veneri del Paleolitico” – donne molto grasse e dotate di protuberanze carnose dalle forme e dalle dimensioni stupefacenti – non sia infine quello di rappresentare in modo tridimensionale la struttura dell’atomo. Confrontando le immagini che vediamo sotto, l’ipotesi sorge in modo inevitabile

A varie riprese, nel corso di questo lavoro abbiamo dimostrato che i costruttori delle Piramidi della IV Dinastia erano a conoscenza di una teoria dei campi unificati, capace di descrivere l’universo a partire dall’atomo fino alle galassie a spirale. In particolare, in The Snefru Code parte 8 abbiamo mostrato le prove inquestionabili – scoperte dall’astronomo Tom Brophy – che già nel 7000 AC (o addirittura 10 millenni prima) gli Antichi Egizi conoscevano la distanza dalla Terra delle stelle della Cintura di Orione. Un rilevamento di questo genere, per uomini della nostra cultura, presuppone la tecnica e la scienza più avanzate del ventesimo secolo, le quali, a sua volta presuppongono l’enorme apparato industriale in grado di supportarle. Dunque centrali elettriche gigantesche, alimentate dal carbone, dal petrolio o dall’uranio, dunque lo sfruttamento massivo di pozzi di petrolio, miniere di carbone e di uranio, dunque linee dell’alta tensione estese per centinaia di chilometri, dunque trasformatori e linee di distribuzione immense e intricatissime. Ma nulla di questo si trova nel passato ancestrale dell’umanità.
Questo significa che la tecnica e la scienza del passato si fondavano su dei presupposti che nulla avevano a che fare con le nostre. La mente dell’uomo moderno funziona solo servendosi di protesi tecnologiche la cui complessità è di solito del tutto inaccessibile al suo fruitore: ma come possiamo escludere che gli uomini dell’antichità potessero accedere a quelle stesse conoscenze – cui noi abbiamo accesso per mezzo degli acceleratori particelle – direttamente, per mezzo del loro spirito?
In The Snefru Code parte 11 abbiamo visto che il “salto quantico” con cui l’elettrone salta da un’orbita all’altra in un tempo pari a 0 può essere spiegato per mezzo di energia che si trasforma in spazio: come possiamo escludere allora che quelle dottrine, che asseriscono che la mente del saggio può staccarsi dal corpo e vagare per gli infiniti universi che compongono l’infinito universo, non corrispondano a uno stato possibile, raggiungibile dalla mente umana? Come possiamo escludere che la mente del saggio – giunto a un certo livello di ascesi – corrisponda allo stato energetico dell’elettrone, quando salta da un’orbita all’altra? Che possa dunque viaggiare per l’infinitamente grande e per l’infinitamente piccolo? I risultati raggiunti dalla scienza del Paleolitico sembrano una conferma inoppugnabile di questa ipotesi.
Del diagramma d’orizzonte del ciclo di retrogradazione dei nodi della luna queste genti facevano il copricapo di un Faraone adorato come un dio. Con una teoria fisica molto più avanzata della nostra costruivano paesaggi sacri giganteschi e disegnavano le figure delle divinità di una religione astronomica per noi incomprensibile. Come possiamo escludere che le Veneri del Paleolitico, che rappresentano divinità femminili e terrestri, non siano la rappresentazione di una materia sentita come divinità o come parte del corpo divino dell’universo?